Così i quiz INVALSI disorientano i bambini Domande confuse nei test per gli alunni delle elementari Giorgio Israel, Il Messaggero 13.5.2013
Infuriano le polemiche sui test Invalsi e chi li difende usa un
argomento perentorio: i critici sono insegnanti corporativi che si
oppongono alla “valutazione oggettiva” per fare il comodo proprio.
Vi sono persone del genere (come in ogni campo), ma molti si
oppongono guardando al merito, su cui i paladini dei test sono
elusivi. Proviamo a vedere su esempi cosa si sta confezionando per
valutare i nostri bambini.
Un insegnante mi invia, con commenti pertinenti, due test di
matematica recentemente “somministrati”. Nel test D2 si propone in
modo obliquo di effettuare la sottrazione 150 – 40 attraverso il
calcolo dell’altezza di una bambina. Vi sono tanti modi di proporre
una sottrazione ma questo è il più bizzarro di tutti. Provate a
chiedere a un bambino intelligente. La prima cosa che vi dirà – «con
quella chiarezza e profondità di pensiero che solo i bambini piccoli
possono avere, i bambini o i grandi filosofi il cui vigore
speculativo si apparenta alla semplicità e alla forza del sentimento
infantile» (Vasilij Grossmann in “Vita e destino”) – è: dove mai si
è visto un metro simile? Non solo è scomodo, ma è innaturale, perché
si cresce dal basso verso l’alto. Inoltre, se proprio si vuol
procedere dall’alto al basso, basta applicare alla testa della
bambina un metro a striscia e stenderlo in giù. Si dirà che
l’intento è di provocare un calcolo in un “modello” astratto di una
situazione reale. Ma così si presuppone un concetto difficile, che è
alla base del delicato rapporto tra geometria e aritmetica: che i
numeri si rappresentano sulla retta in modo equivalente in un verso
o nell’altro, e che la scelta del punto di origine è arbitraria. Chi
ha ideato il test propone al bambino un calcolo aritmetico
attraverso una situazione concreta irrealistica costruita su
concetti formali non esplicitati. Chi è costui? Una persona dalle
idee didatticamente confuse o un sadico, che pensa la matematica
come un’enigmistica a trappole?
Nel test D19 l’approccio è rovesciato. Invece di provocare il bambino
con concetti formali impliciti, ci si inchina all’immagine di un
essere puramente intuitivo, incapace di astrazione. Il test vuole
individuare se il bambino ha chiara l’idea di probabilità e la
traduce in quella di “facile”. Commenta giustamente l’insegnante che
chi ha ideato il test rivela la sua incompetenza matematica – la
parola “facile” in matematica è priva di significato – e
linguistica: perché mai un bambino di 7 anni dovrebbe considerare
sinonimi “facile” e “probabile”? È noto che nel linguaggio comune si
usa dire: «È facile che piova». Ma ciò non ha nulla a che vedere con
il concetto quantitativo di probabilità che è notoriamente molto più
ristretto di quelli analoghi del senso comune. Questo è un test di
matematica, ma di matematica non c’è nulla, bensì una confusione che
allontana dalla comprensione del concetto matematico, anche perché
il disegno è sbagliato: le palline nere e bianche sono a gruppi
separati, mentre una corretta valutazione di probabilità richiede
che siano mescolate. Un bambino dotato della profondità di pensiero
di cui si diceva, e che abbia visto in televisione che, al lotto,
prima di estrarre le palline si agita l’urna, penserà che vi sia
qualcosa dietro questa separazione e che la domanda contenga un
trabocchetto. Nonostante si muovano in direzioni opposte questi test
hanno un tratto comune: un’idea di “bambino” preconfezionata da
ideologie tecnocratiche.
È un bambino astratto, visto nella pura attività di apprendimento
formalizzata in queste ideologie. È un po’ come in economia l’homo
oeconomicus, l’uomo considerato astrattamente nella mera funzione di
produzione e scambio di merci: il puer discens, il “bambino
apprendente”. Inutile dire che queste astrazioni non funzionano, né
in economia né nell’insegnamento. È con simili test che l’Invalsi
pretende di conseguire una valutazione “rigorosa” e “oggettiva”
degli apprendimenti in quanto ente valutatore del sistema? Ogni
commento è superfluo, salvo la conferma che nulla può sostituire la
funzione, educativa e valutativa, di un buon insegnante. Tante cose
si possono fare in classe, anche proporre problemi a trabocchetto,
ma in un processo didattico basato sul dialogo, non sottoponendo il
bambino a test che generano una profonda antipatia per la
matematica. E la valutazione? Certo, gli insegnanti debbono migliorare e farsi valutare. Ma a questo non servono test sui loro allievi, bensì processi di formazione e valutazione in ingresso e in servizio, costruiti (con l’ausilio di commissioni ispettive) entro la “comunità educante” (in collaborazione tra scuola e università) e non affidati al controllo incontrollato di enti burocratici di stato. |