Apprendistato a 14 anni? di Maurizio Tiriticco, da ScuolaOggi 19.7.2013 La vicenda dell’obbligo di istruzione nel nostro Paese conosce da anni vicende alterne. Di fatto si scontrano due visioni: una, largamente sentita nel centro-sinistra, che sostiene che l’obbligo di istruzione, in quanto tale, debba essere assolto solo nei percorsi dell’istruzione (statale e paritaria, n.d.a); la seconda, largamente sentita nel centro-destra, che sostiene che tale obbligo possa essere assolto anche nei percorsi della formazione (professionale regionale, n.d.a.) e, addirittura nell’apprendistato. Da un lato, si sostiene la necessità che tutti i nostri giovani escano dal sistema di istruzione decennale avendo raggiunto competenze culturali e di cittadinanza tali che consentano consapevoli e ragionate ulteriori scelte di vita, di lavoro e di studio: il che è anche conforme con quanto ci indicano le due Raccomandazioni del Parlamento europeo e del Consiglio, una sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente (18 dicembre 2006), l’altra relativa all’istituzione di un Quadro Europeo delle Qualifiche, EQF (23 aprile 2008). Dall’altro lato, è ancora forte un adagio che viene da lontano e che vuole che non tutti siano adatti per lo studio prolungato sui banchi di scuola, per cui è necessario offrire loro percorsi brevi in cui il fare e la manualità siano prevalenti. Il succedersi delle norme è il seguente. Il comma 622 dell’articolo 1 della legge 296/06 (finanziaria 2007: governo di centro-sinistra) recita: “L'istruzione impartita per almeno dieci anni è obbligatoria ed è finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età. L'età per l'accesso al lavoro è conseguentemente elevata da quindici a sedici anni”. Di conseguenza, il dm applicativo 139/07 (ministro Fioroni) afferma che “l’adempimento dell’obbligo di istruzione è finalizzato al conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il 18° anno di età”. Il che è in sintonia con il diritto/dovere “all’istruzione e alla formazione per almeno 12 anni” (legge 53/03, alias “riforma Moratti”, art. 2, punto 1, comma c). In seguito, con il governo di centro-destra, con le leggi 133/08 e 183/10, si è deciso che l’obbligo può anche assolversi nell’istruzione e formazione professionale regionale e, a partire dai 15 anni di età, anche nei percorsi di apprendistato. In parallelo, con il dm 9/10, a distanza di tre anni dall’innalzamento dell’obbligo di istruzione (sic!), veniva varato il modello di certificazione delle competenze di fine obbligo; in tale modello le competenze relative alla cittadinanza attiva, indicate e suggerite dall’Unione europea e che nel dm 139/07 erano state opportunamente declinate alla nostra realtà scolastica, culturale e civica, venivano di fatto cancellate! Nel dm 9/10, infatti, si afferma semplicemente che “le competenze di base relative agli assi culturali sopra richiamati sono state acquisite dallo studente con riferimento alle competenze chiave di cittadinanza di cui all’allegato 2 del regolamento” (il dm 139/07). In effetti, è più che noto che si tratta di competenze, culturali e civiche, non assimilabili! Abbiamo esempi a iosa di soggetti validissimi sotto il profilo delle competenze culturali, ma sempre pronti a utilizzarle per egoistici tornaconti! E abbiamo anche tanti “buoni e onesti” cittadini, le cui competenze culturali, però, sono di livello “elementare”! La soluzione non è quella di contrapporre lo studio al lavoro! Nella società della conoscenza il dirottare studenti quindicenni all’apprendistato rivela un pericoloso retro pensiero: che vi siano soggetti “non portati ai libri e allo studio”, destinati a un fallimento culturale e recuperabili solo ad attività lavorative non impegnative, essenzialmente manuali. Il che significa anche riconoscere che una scuola obbligatoria decennale di base non è in grado di educare, istruire e formare e infine garantire il successo formativo a tutti gli alunni! Eppure si tratta di un impegno che abbiamo assunto con il varo dell’autonomia delle istituzioni scolastiche (si veda il dpr 275/99, art. 1, c. 2). Si tratta di un impegno di grande civiltà, a cui a tutt’oggi non abbiamo ancora dato valide risposte. Il quesito che ci dobbiamo porre allora è: vogliamo mantenere questo impegno e conseguentemente rafforzare la nostra istruzione obbligatoria decennale? Oppure è preferibile la via breve: cioè, riconosciamo di non essere in grado di mantenere i nostri impegni educativi e facciamo pagare lo scotto ai soggetti più deboli? E conseguentemente mandiamoli a “lavorare”… e al più presto! E a lavorare dove? E come? Con la crisi che oggi ci attanaglia!?
La via breve sembra trovare un certo consenso, purtroppo! Infatti, è
stata presentata recentemente alla Commissione Lavoro del Senato una
proposta emendativa al Decreto Lavoro con cui si ipotizza che ai
percorsi di apprendistato si possa accedere anche al compimento dei
14 anni di età. Se ciò si realizzasse, svuoteremmo i bienni iniziali
del secondo ciclo di istruzione e diremmo addio a un’istruzione di
base decennale ampia e forte per tutti! E il divario di sempre tra
cittadini che “pensano con la testa” e cittadini che “fanno con le
mani” si aggraverebbe! E diremmo addio per sempre a un Paese forte,
anche e soprattutto perché tutti i suoi cittadini dovrebbero
possedere una cultura di base che permetta a ciascuno di scegliere
consapevolmente il suo personale destino professionale. E non
saremmo più in grado di garantire a tutti i nostri giovani di
acquisire quelle competenze di cittadinanza e culturali di base che
sono necessarie per accedere a una società della conoscenza sempre
più complessa e che le stesse Raccomandazioni dell’Unione europea
sollecitano a tutti i Paesi membri. Se queste sono le finalità che ci dobbiamo proporre per rispondere alle necessità culturali e civili di una società della conoscenza e tecnologicamente avanzata, insistere sull’apprendistato significa soltanto avere la vista corta, e per di più dannosa per i nostri cittadini lavoratori di domani, che dovranno essere capaci, come si suol dire, di “pensare con le mani e fare con la testa”! |