Serve ancora studiare?/1. da TuttoscuolaNews, n. 593 1.7.2013 La scorsa settimana il governo ha varato il ‘pacchetto lavoro’ a sostegno dell’occupazione, soprattutto di quella giovanile, inserendovi una norma che fa discutere perché sembra incoraggiare l’abbandono degli studi secondari, o comunque svalutarne il valore sul mercato del lavoro. La misura prevede un bonus, in forma di taglio dei contributi, per le imprese che assumono giovani tra i 18 e i 29 anni. Per essere assunti questi giovani devono essere o disoccupati da almeno 6 mesi o avere un familiare a carico oppure - questo è il punto contestato - non essere diplomati, non possedere cioè un titolo di scuola secondaria superiore. Perché il governo di un Paese, come l’Italia, dove il 18% dei giovani non completa gli studi secondari (uno dei più alti tassi in Europa) ha approvato una misura di questo genere? La risposta, a quanto risulta, è che vi sia stato costretto da quella stessa Europa che ha fissato al 10% entro il 2020 il benchmark per la dispersione, intesa come percentuale di giovani che abbandona gli studi prima di aver conseguito il diploma. I giovani non diplomati sono la categoria più a rischio di disoccupazione di lunga durata e di emarginazione sociale. Ma non è che in questo modo si finisce per favorire i Paesi che hanno una bassa percentuale di giovani non diplomati anziché quelli, come il nostro, dove tale percentuale è talmente alta da fare ritenere che il principale problema di questi giovani sia quello di come aiutarli a finire gli studi, prima ancora che quello di trovare loro un lavoro? |