Non volevo fare la prof. Quando i prof vanno in tilt Ansia, insonnia, depressione, apparente svogliatezza e scatti d'ira improvvisi. E' la sindrome da 'burn out': una malattia professionale che colpisce gli insegnanti. Un disagio grave di cui solo ora si inizia a parlare ma che le scuole non sono in grado di affrontare per la mancanza di formazione di risorse di Mariangela Vaglio, L'Espresso Blog 22.7.2013 Spesso sono bollati a torto come "fannulloni": sono infatti insegnanti che ad un certo punto smettono, per così dire di essere efficienti come il sistema vorrebbe. Fanno fatica a fare lezione, a concentrarsi, hanno problemi a gestire le classi e i rapporti con colleghi e genitori. In una parola arrancano o si fermano del tutto. Ma non è questione di cattiva volontà o "svogliatezza". Sono insegnanti colpiti, molto spesso, dalla sindrome del burn out, una patologia che in Italia è quasi completamente sconosciuta eppure causa danni gravissimi: chi ne è affetto soffre di crisi di ansia, insonnia, depressione, scatti d'ira improvvisi e ingiustificati; ha l'impressione di non riuscire più a controllare le cose da fare e tenere dietro ai mille impegni, rispettare le scadenze, fra normative che cambiano in continuazione, classi sempre più numerose, genitori pronti alla contestazione continua dei metodi di insegnamento e dei voti, tagli al budget e precariato diffuso. La categoria professionale degli insegnanti è la più colpita da una serie di disturbi che solo oggi cominciano ad essere riconosciuti nelle letterature specialistiche come correlate strettamente al lavoro che svolgono, cioè malattie professionali, esattamente come sono correlati al lavoro alcune patologie fisiche di operai in reparti a rischio: il costante impegno con i ragazzi in una età problematica, i rapporti sempre più difficili con le famiglie, lo scarso riconoscimento sociale del proprio ruolo, il senso di essere costantemente giudicati da tutti e accusati di non essere all'altezza. Tutte queste ansie e le relative frustrazioni spesso causano negli insegnanti contraccolpi psicologici fortissimi, che li rendono alla fine inadatti a svolgere un lavoro per altro, molto spesso amatissimo: sono infatti, paradossalmente, gli insegnanti più coinvolti nella scuola, quelli che danno la vita per il loro mestiere, che rischiano di più il burn out. Un libro recente, "Pazzi per la scuola", di Vittorio Lodolo D'Oria, ha analizzato il problema del burn out: l'autore, che da anni si occupa di seguire docenti in crisi, sottolinea come non solo il problema sia tragicamente sottovalutato, ma come nella scuola italiana manchi molto spesso qualsiasi struttura per farvi fronte: non esistono convenzioni con psicologi che possano monitorare i docenti a rischio e spesso i Dirigenti Scolastici non sono neppure formati per affrontare il problema e lo scambiano con una generica "svogliatezza" o scarsa resa del docente, colpevolizzandolo ancora di più. Il risultato è che se un insegnante comincia a manifestare problemi di esaurimento, nessuno se ne occupa davvero finché non si manifestano episodi gravi, e anche allora non è ben chiaro come si possa aiutarlo o riconvertirlo. Gli insegnanti spesso non sanno a chi rivolgersi: alcune testimonianze sono state raccolte e diffuse dalla rete, per esempio sul sito di una docente, Isabella Milani, e sono strazianti: "Sono veramente delusa e amareggiata, mi sento un fallimento completo. Ero andata lì piena di belle speranze, felice di stare con i bambini... ed è veramente frustrante vedere che i bambini non mi ascoltano, non mi seguono, non hanno alcun rispetto di me. Torno a casa dopo quattro o sei ore in quella classe senza voce e più che mai avvilita, mi viene da piangere." Racconta Alessandra, maestra; Sonia rincara la dose: "Ho bisogno di aiuto, mi sento un disastro come insegnante, quando mi trovo a gestire una classe ognuno fa quello che vuole: impiego molto tempo per "prepararmi" per affrontare la lezione e mi riempio di ansia e stress tale, da soffrire di mal di testa e di spossatezza, e quando sono stanca non riesco neanche a parlare bene". Le storie raccolte sono decine, non si può parlare di un fenomeno isolato. Secondo Isabella Milani uno dei problemi fondamentali è la solitudine degli insegnanti: «Nella scuola, o hai la fortuna (rara) di imbatterti in un bravo dirigente, o sei solo. Nessuno ti ha aiutato prima e nessuno ti aiuta durante. Non mi risulta che ci siano programmi di formazione per spiegare come affrontare il problema. Ci sono insegnanti, giovani, ma anche meno giovani, per i quali entrare in classe è come entrare nella fossa dei leoni.» Secondo la Milani, e il problema emerge anche dagli studi di Lodolo D'Oria, i Dirigenti Scolastici non sono sempre in grado di gestire il problema: «Credo che spesso siano i dirigenti stessi quelli che non aiutano gli insegnanti. Quando non sono proprio loro a creare un clima intimidatorio nei confronti di chi si ribella a una gestione personalistica della scuola.» Ma spesso, come sottolinea un pdf messo in rete dall'Avis di Ragusa sul problema intervenire da parte dei Dirigenti non è nemmeno facile, perché se ai docenti viene suggerita una visita specifica con il medico del lavoro essi vivono la cosa come un episodio di mobbing. Come uscirne? Secondo la Milani ci vorrebbero investimenti seri: «Credo che gli investimenti dovrebbero servire a rendere più gestibili le classi. creando classi meno numerose e affiancando insegnanti di sostegno a quelle difficili. Servirebbe inoltre una formazione pratica per gli insegnanti che stanno per entrare nella scuola, fatta da docenti che insegnano da anni, che siano diventati formatori e che vengano esonerati dall'insegnamento per dedicarsi a preparare le future leve. La possibilità di avere a disposizione uno psicologo sarebbe molto utile. Ma ci vogliono soldi: finché la gente (e i politici che hanno mai messo piede in una scuola pubblica) non si rendono conto di quello che significa l'insegnamento nessuno investirà nulla.» Soldi, che non ci sono, e forse anche una cultura diffusa, che non si limiti a ritenere il malessere di un insegnante un fatto "privato" o una incapacità sua, da risolvere da solo, e ancora una volta, senza pesare sullo Stato. |