Se la concorrenza non libera la scuola di Emanuele Contu, i Mille 9.7.2013 Il recente Liberiamo la scuola di Andrea Ichino e Guido Tabellini è ricco di sollecitazioni per chi è convinto della necessità di liberare il nostro sistema di istruzione e formazione dalle troppe incrostazioni e rigidità che ne imballano il potenziale. Nelle grandi linee, Ichino e Tabellini propongono di dare facoltà alle scuole statali di uscire sperimentalmente dal vincolo con il Ministero dell’Istruzione per godere di una più ampia autonomia gestionale e didattica, conservando però il finanziamento pubblico in ragione del numero degli iscritti. Ci sono singoli aspetti della proposta su cui avanzerei perplessità più o meno profonde, ma il quadro d’insieme mi pare disegni una prospettiva sfidante e per questo di grande fascino: l’idea di una scuola che si costruisce dal basso e che trova nella sussidiarietà la sua dimensione naturale. C’è però un elemento ricorrente nel ragionamento dei due autori sul quale voglio qui soffermarmi: l’idea della concorrenza tra scuole autonome come leva del miglioramento. Scrivono Ichino e Tabellini che «la concorrenza, ossia il non poter contare su una clientela sicura, crea l’incentivo a non adagiarsi sugli allori e lo stimolo a migliorare continuamente i servizi e i beni offerti, sotto la pressione dei competitori». I due studiosi ripropongono a più riprese il binomio “autonomia e concorrenza” come se nella loro visione le due cose fossero inscindibili, quasi che non vi possa essere un’autonomia funzionante senza concorrenza. È un assunto di fondo che non condivido. L’attuale sistema, eccessivamente centralizzato a causa dell’incompleta applicazione della legge sull’autonomia, tende al livellamento verso il basso. L’alternativa non è però quella di indurre le scuole autonome a comportarsi come aziende concorrenti, intente a contendersi lo stesso mercato. Lo scopo del legislatore non può essere unicamente quello di creare le condizioni in cui la singola scuola possa sviluppare al massimo livello le sue potenzialità; occorre anche e contemporamente fare in modo che l’intero sistema di istruzione funzioni nel miglior modo possibile. La logica della concorrenza, in cui l’eccellenza di una scuola si nutre anche della debolezza di un’altra, perde di vista il benessere complessivo del sistema e finisce col costruire un sistema iniquo. Vien meno così uno dei mandati fondamentali della scuola: la tensione verso quell’uguaglianza sostanziale (e non puramente formale) per cui si punta ad assicurare a ogni cittadino il diritto di sviluppare appieno le proprie potenzialità. Rispetto alle ipotetiche scuole concorrenti di Ichino e Tabellini, la diversa natura delle scuole autonome “di sistema” si riverbera in almeno due aspetti: lo sviluppo delle buone pratiche e l’accessibilità dell’offerta formativa. Iniziamo dalle buone pratiche. Un’azienda che sviluppa una buona prassi interna può scegliere di custodirne gelosamente il segreto, perché le assicura un vantaggio sui concorrenti. In un’ottica di buon funzionamento del sistema, invece, ogni scuola dovrebbe puntare a diffondere le proprie buone pratiche e a vederle ripresa da altre scuole, che a loro volta la possono adattare al loro contesto e perfezionare, offrendo occasioni di riflessione anche alla scuola in cui quella pratica aveva avuto origine. Una logica collaborativa e non concorrenziale simile a quella dell’open software, in cui il codice sorgente di ogni programma viene messo a disposizione dell’intera comunità perché ogni programmatore sia libero di modificarlo, perfezionarlo, adattarlo a esigenze diverse. Si diceva anche dell’accessibilità dell’offerta formativa. Le scuole sono presidi territoriali e, quando virtuose, forniscono servizi e occasioni di aggregazione e di cultura al territorio su cui insistono, soprattutto attraverso le loro attività extracurriculari (quelle a frequenza volontaria che si svolgono al di fuori dell’orario normale di lezione). In regime di concorrenza, la scuola che offra ad esempio la possibilità di conseguire la certificazione ECDL non avrebbe alcuna convenienza ad allargare la stessa offerta agli alunni di un’altra scuola vicina. In un’ottica di sistema, invece, questa possibilità deve essere utilmente estesa all’intera popolazione scolastica del territorio, garantendo così il miglior utilizzo delle risorse disponibili e un beneficio il più diffuso possibile. Come scrivevano Manuela Sammarco e Marco Campione, la proposta di Ichino e Tabellini ha il limite di non confrontarsi con l’attuale legislazione sull’autonomia e sulla parità scolastica. Quelle leggi furono concepite proprio per cercare un punto di equilibrio e superare il centralismo che uniforma e livella verso il basso, preservando però l’unitarietà e l’equità del sistema. Solo ricollocata in questo quadro l’idea della fuoriuscita dal controllo stringente del Miur prospettata in Liberiamo la scuola può trovare gambe solide su cui camminare: per realizzare non scuole autonome concorrenti, però, ma un sistema unitario di scuole autonome
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