Non volevo fare la prof.

Il Ministro Carrozza, la didattica digitale
e l’intramontabile fascino di lavagna e gessetto

di Mariangela Galatea Vaglio, L'Espresso Blog 21.7.2013

«L’accelerazione sui libri digitali non poggiava su alcuna seria e documentata validazione di carattere pedagogico e culturale, così come non sono state valutate le possibili ricadute sulla salute di bambini e adolescenti esposti a un uso massiccio di apparecchiature tecnologiche».

Anna Maria Carrozza


Con queste parole Anna Maria Carrozza, Ministro dell’Istruzione del Governo Letta ha in pratica messo una sorta di pietra tombale sull’obbligo, istituito dal suo predecessore Profumo, per le scuole di dotarsi dal prossimo anno di testi in ebook, e, da quanto si capisce, frenato molto la possibilità che nei prossimi anni partano a tappeto le cosiddette classi 2.0, cioè quelle classi in cui gli alunni avranno ciascuno il proprio tablet connesso in rete.

La dichiarazione del Ministro è sicuramente un modo per rassicurare gli editori scolastici, sul piede di guerra perché con i nuovi limiti imposti da Profumo (tutti i libri dovevano essere anche digitali, e i costi tagliati del 20% sulle edizioni scolastiche) e che sarebbero entrati in vigore con il nuovo anno scolastico, essi rischiavano un disastro economico: magazzini di copie cartacee invendute e valanga di nuovi testi adottati in tutte le scuole, con precoce pensionamento dei vecchi. Forse è soprattutto un prendere atto senza dirlo della situazione della scuola italiana, in cui, salvo rare isole felici, la rivoluzione tecnologica non può nemmeno iniziare, perché la dotazione tecnologica più avanzata sono pc dei tempi di Annibale, e, complici i tagli degli anni passati, non ci sono nemmeno i fondi per dotarsi di una rete wifi.

Sulla rete, già oggi, sono cominciati ad apparire post indignati assieme a simpatici sfottò che ridicolizzano la dichiarazione del Ministro. E immagino che da questo blog ve ne aspettereste un altro. Invece mi sa che vi deluderò. Perché, anche se formulata così è una dichiarazione goffa e che fa venire un po’ i brividi, non posso però fare a meno di constatare, da insegnante che ha una forte, fortissima simpatia ogni possibile cazzabubbolo digitale, che forse il Ministro tutti i torti non ha, e anzi solleva un problema che dovremmo tutti porci. Cioè, in breve: ma siamo sicuri che la scuola digitale insegni meglio e sia più efficiente di quella con lavagna e gessetto?

In alcune mie classi da anni ho le LIM, le lavagne multimediali. Ho messo a punto sistemi per cui, tramite la posta elettronica, i miei alunni interagiscono con me, ci scambiamo gli appunti delle lezioni; abbiamo costruito blog e giornalini di classe on line, facciamo lezione dando link a voci della Treccani e di Wikipedia, usando filmati di Youtube e altre risorse in rete. E’ tutto molto bello, e per un docente molto stimolante. Il mio problema però sono le ricadute. Che, nella mia esperienza forse troppo limitata per trarne dei dati statisticamente rilevanti a livello scientifico ma abbastanza approfondita per trarne qualche considerazione personale, è, devo essere sincera, molto scarsa. Cioè, per essere chiari: alla fine di tutto, la mia esperienza come insegnante mi dice che i ragazzi bravi e interessati raggiungono lo stesso livello sia che in classe usino il tablet sia che abbiano un quaderno ed una lavagnetta di ardesia, pure scrostata. E che le classi dove ci sono e vengono usati i supporti digitali non hanno mediamente performance o risultati migliori di quelle dove si usano i vecchi metodi. Che anzi gli alunni che hanno a disposizione gli strumenti digitali hanno spesso una capacità di memorizzazione dei dati minore, perché lo so che è brutto dirlo e sembra poco moderno, ma essere costretti a ricopiare a mano, sul vecchio quaderno di carta uno schema dalla lavagna o sottolineare con la matita un passo su un libro old stile funziona meglio, per il nostro cervello, anche per quello dei piccoli nativi digitali. Che usare in classe tanta tecnologia aiuta i ragazzi ad essere molto più veloci e forse rende le lezioni più divertenti, o almeno meno barbose: ma non sempre le rende più efficaci. Perché i natici digitali sono già velocissimi di loro, e sono capaci anche di trovare centinaia di informazioni in pochi secondi: ma il problema è che la scuola deve servire loro per imparare a gerarchizzare e scegliere, ed incasellare quelle informazioni in schemi mentali efficaci, e quindi il traguardo con i ragazzi di oggi, paradossalmente, non è stimolarli ad essere veloci, ma rallentare i loro processi, insegnare loro a diventare sistematici ed organizzati. Cosa che viene molto più facile con gli strumenti vecchi e non digitali: il riassunto, lo schema fatto sul quaderno, la tabella che permette di mettere in ordine, con pazienza e su un vecchio foglio di carta, le informazioni raccolte e farne una sinossi.

Per cui, anche se la forma con cui il concetto è stato enunciato mi fa un po’ orrore (la salute minacciata dagli strumenti tecnologici fa venire in mente quelli che credevano che lasciando il cellulare accesso ci si potessero cuocere sopra le uova), sulla sostanza io credo che invece bisognerebbe ragionare molto, e a mente fredda. Perché purtroppo anche l’ex Ministro Profumo aveva un po’ lasciato passare questa idea naif, che bastasse riempire le classi di pc, tablet e computer per crescere automaticamente una generazione di piccoli geni, veloci ed intuitivi. E invece non è così semplice, perché gli esseri umani sono complessi e i pc, i tablet e gli smartphone sono solo oggetti, e da soli non fanno miracoli: per impostare una nuova didattica digitale, portata avanti da docenti che sappiano usare perfettamente le nuove risorse, ci vogliono anni di studio e di sperimentazione. E come tutte le sperimentazioni c’è anche il rischio che alla fine ci accorgiamo che la vecchia didattica, quella con lavagna e gessetto funzionava meglio e rendeva di più. Ci abbiamo pensato?