la storia
«La scuola del futuro? Nell'attesa
gli studenti giocano a carte in classe»
De Nicola, prof a San
Giovanni a Teduccio: «Mi sento come il maestro di Vigevano»
di
Roberto Russo,
Il Corriere del Mezzogiorno, 27.7.2013
NAPOLI — «Il maestro è
un miss...un miss..». Un missile? «Ma no, è un missionario!!!». Il
siparietto tra
il preside Pereghi che interrogava un confuso maestro Mombelli,
l'indimenticabile Alberto Sordi, rappresenta uno dei momenti più
esilaranti di un film dal sapore amaro, appunto Il Maestro di
Vigevano (regia di Elio Petri, 1963). Sarebbe il caso che quel film
lo vedessero i dirigenti del Ministero della pubblica istruzione (pardon,
Miur), per riflettere sullo stato reale della scuola pubblica in
Italia e soprattutto nel Mezzogiorno.
Una scuola devastata e
in larga parte distrutta dai tagli, eppure presuntuosamente forzata
ad adeguarsi al terzo millennio con una informatizzazione spinta. Da
Roma è ormai tutto un fiorire di webcircolari e webprotocolli con
cui si invitano i capi d'istituto ad accelerare «il processo di
dematerializzazione delle attività delle segreterie scolastiche»
(sic). Sarebbe facile fare ironia sulla dematerializzazione di quel
poco che ancora rimane in piedi nelle aule degli istituti, visto che
più della metà hanno problemi statici. Ma tutto sommato
dematerializzare, cioé rinunciare alla carta a favore del computer è
giustissimo. «Se però lo Stato ci desse anche i soldi per comprare
ad esempio la carta igienica sarebbe meglio, perché a volte dobbiamo
fare la colletta».
Angelo De Nicola, 54
anni, non è il maestro di Vigevano ma un professore di economia
aziendale che da vent'anni insegna alla «Rosario Livatino»,
quartiere San Giovanni a Teduccio, periferia orientale di Napoli.
Eppure da qualche tempo si sente anche lui colpito dalla sindrome
Mombelli.
Professor De Nicola, la «dematerializzazione»
della scuola non le piace proprio? Vuole fare il nostalgico con
gessetto e lavagna?
«Macché, magari fosse tutto vero. Magari le scuole ottenessero i
mezzi elettronici che il Ministero
in modo altisonante finge di darci. La verità è che dobbiamo
adeguarci al futuro senza pesare sui bilanci degli istituti. Come si
fa? Le imprese private che forniscono le attrezzature, mica fanno
beneficenza. Le Lim, ad esempio, da noi sono solo 4 o 5».
Lim, per
qualcuno è una sigla misteriosa, ci spieghi meglio.
«Sono le lavagne interattive multimediali. Bellissima invenzione,
per carità: gli studenti possono vedere filmati, noi siamo in grado
di scrivere e disegnare in tempo reale, ci si collega a internet e
la lezione viene benissimo. Na' squisitezza, altro che gessetti e
cancellino. Però
se la mattina noi prof, come tanti ragionier Fantozzi, dobbiamo
accapigliarci per la classe giusta allora non funziona...».
La classe giusta?
«Quella dove c'è una Lim. La lavagna interattiva diventa una specie
di oggetto del desiderio, per ottenerla non dico che ci si azzuffa
ma poco ci manca. Io stesso non riesco ad usare questo totem
elettronico che poche volte. E come si fa a parlare con il
linguaggio di studenti che hanno fra i tredici e i 17 anni e
arrivano in classe con iPhone, iPad, telefonini, agende digitali? E
poi, magari fosse solo un problema di accaparrarsi la prima Lim
disponibile...».
Perché, c'è altro da sapere nella
dematerializzazione della scuola?
«Sì. Tutta la rivoluzione a costo zero si basa su altri due progetti
che ci stanno facendo impazzire e, a mio avviso, stanno anche
snaturando la nostra professione. Sono: il registro elettronico e i
nuclei di autovalutazione». Partiamo dal registro elettronico.
Perché dice che c'è da impazzire?
«Perché è un'altra magnifica utopia. Le scuole entro l'anno prossimo
dovranno adeguarsi a fare tutto online. Iscrizioni elettroniche,
pagella in formato elettronico, da inviare alle famiglie in e-mail;
registri on-line con assenze, presenze, voti; invio in tempo reale
dei dati alle famiglie segnalando anche se il ragazzo ha marinato le
lezioni».
Bello, moderno, efficiente,
funzionale e anche economico perché si risparmia carta e tempo. E
allora?
«Anche questa è un'annusatina di futuro che il Ministero ci concede.
Di recente ho frequentato un corso per aggiornarmi sulle
potenzialità del registro elettronico, ovviamente tenuto da un
esperto di una delle aziende individuate per le forniture. Ebbene,
egli stesso alla fine del corso mi ha detto che per noi resterà un
sogno perché sono strumenti ancora molto costosi. L'ex ministro
Profumo, ad esempio, voleva accelerare i tempi e proponeva a modello
una scuola di Brindisi già tutta informatizzata. Vuol sapere quanto
era costata la rivoluzione informatica solo in quella scuola? Mezzo
milione di euro. Capito? Qui a San Giovanni a Teduccio il mese
scorso sono stato costretto a proporre una colletta tra docenti,
studenti e famiglie: un euro a testa per ritinteggiare le aule che
così come sono fanno francamente schifo. Ecco, questa è la nostra
realtà».
Okey, niente
registro elettronico. Passiamo al nucleo di autovalutazione. Per il
Ministero dovete valutarvi sulla base di un fascicolo elettronico e
poi ci sono le valutazioni esterne da parte di altri prof, cosa non
va?
«Tutto. In pratica uno strumento che doveva servire a potenziare e
migliorare la scuola e la didattica si è trasformato in un
regolamento di conti informatico tra noi prof. Una specie di maligno
Facebook dei docenti. Uno scrive male del collega, l'altro ricambia.
E tutto viene pubblicato. Non parlo tanto della mia scuola perché
proprio le difficoltà ambientali ci spingono a essere più solidali,
però spesso questi metodi fanno emergere il peggio di noi stessi. E
sa qual è la cosa più dolorosa?».
No, dica lei.
«Che la maggior parte delle accuse al collega e delle valutazioni
negative vengono espresse perché in ballo ci sono finanziamenti per
progetti. Più dimostro che io sono un prof migliore di un altro, più
ho accesso a fondi e altro che normalmente non avrei».
Un po' di sana concorrenza stimola.
«È vero, ma se si in ballo non ci fossero i diritti basilari degli
studenti. La guerra tra noi avviene per ottenere una sedia, una
lavagna elettronica. Se si sgomita per migliorare va bene, ma se la
lotta è per l'ossigeno allora è tutto molto misero e doloroso».
Il vostro
istituto però appare attivo sul fronte del contrasto alla
dispersione scolastica.
«Si fanno mille iniziative. È venuto Saviano, è venuto il sindaco,
sono venuti quelli di Libera, per carità, le visite non mancano. Il
problema resta la didattica. Non ho difficoltà ad ammettere che
l'insegnamento vero è proprio sta diventando a sua volta un'utopia.
Ma lo sa che siamo costretti a vedere i ragazzi che giocano a carte
in classe e non possiamo intervenire?».
A carte in classe sembra un po'
troppo.
«Davvero. Il fatto è che per non allontanarli dalle scuole, per
evitare la fuga dai banchi si concede di tutto. Vengono in classe
con i telefonini accesi e parlano quando vogliono. Inutile chiedere
loro di spegnerli. Ovviamente non puoi requisirli e poi, se non sei
attento, ti capita anche di peggio. Una collega ha subito una
lettera di richiamo perché durante la sua ora si era verificato il
furto di un telefonino; le hanno imputato scarsa attenzione. Ma si
può continuare così?».
Allora, come fate a tenere a bada
ragazzi tanto difficili?
«C'impegnamo al massimo ma sappiamo che non basta. Di recente
abbiamo persino partecipato a un progetto di danza». Scusi, cosa
c'entra il ballo con un istituto tecnico? «È un modo per trasmettere
loro i valori dello stare insieme, un'esperienza educativa, anche un
metodo per tenerli lontani dalla strada, per appassionarli».
Insomma, si fa di tutto ma di farli
studiare non c'è verso?
«È così, e non credo che servirà a molto dematerializzare la scuola,
ammesso che ci riesca senza spendere soldi, è una lotta impari. Ecco
perché a volte mi sento tanto come Sordi-Mombelli».