La Grande Malattia/2:
la disabilità e i suoi paradossi

di Raffaele Iosa, da ScuolaOggi  14.6.2013

In questo secondo articolo scrivo, a proposito di iatrogenesi educativa, su alcuni paradossi che stanno avvenendo nel mondo dei bambini e giovani detti “disabili ex la Legge 104/92”. Ai cosiddetti “altri” che di mese in mese si aggiungono (con la Legge 170 sui DSA e la nota BES di dicembre 2012) rinvio al prossimo n° 3 di questa saga sulla Grande Malattia.

Partiamo dai numeri paradossali

L’ epidemiologia sui disabili è materia poco studiata. I dati MIUR catalogano tre aree obsolete utili solo per gli organici. Poche ricerche serie, su territori ristretti, non fanno massa critica di analisi sistemica. Si sa poco su rapporti (e distorsioni) tra certificazioni, diagnosi funzionali, PEI, gestione risorse, governance locale. Le rare ricerche serie evidenziano crescita di nuovi paradossi dati dalla iatrogenesi, dalla scuola competitiva. dalla crisi economica, con mutazioni della definizione antropologica stessa di disabilità, mentre la retorica dell’integrazione resta quella degli anni 70, che come un mantra ripete ad ogni circolare il “dover essere” (es. sostegno alla classe e non all’alunno h), mentre poco cambia nelle pratiche reali. Ma dominano anche le seriose “stime previsionali” della iatrogenesi arcisicura delle migliaia di nuovi dolori in arrivo: basta cercarle!

Io sono uno dei rari tignosi che dall’80 si occupa invece di statistica epidemiologica con passione.

Un primo paradosso è presto detto: aumentano gli studenti certificati, nonostante la “magnifiche sorti” della tecnologia medica e il salutismo della mitizzata prevenzione. Utilizzo dati ufficiali sul decennio 2002-2011 nella mia regione, Emilia Romagna, nota per buoni servizi sociosanitari e rapporti strutturati con l’istruzione. Qui gli studenti aumentano nel decennio del 23%, mentre quelli con disabilità aumentano esattamente del doppio, il 46%. E tutto questo (ecco il paradosso) a fronte di un periodo in cui si è cercato aggressivamente di prosciugare le certificazioni ex Legge 104/92. Ci hanno provato vari governi con pratiche più severe di diagnosi, (es. DPCM 185/2006), fino al rito della Commissione Legale e l’intervento INPS per l’invalidità. Ci ha provato la regione, riducendo le categorie ICD-10 certificabili. E’ noto che l’accanimento pare quasi una caccia ai “falsi disabili”, senza comprendere che c’è altro nell’ aumento, spesso autoprodotto dalle stesse politiche scolastiche dell’epoca neodarwiniana. La stessa politica che poi “protegge i DSA” con leggi apposite! La sinistra intanto piange solo per i tagli ai posti di sostegno (inesistenti), sapendo poco di ciò che accade nel tessuto sociale del dolore evolutivo. Oggi non si certificano i DSA, altrimenti le certificazioni sarebbero quadruplicate! L’indurimento della buro-clinica aumenta paradossalmente le certificazioni. Ma non è una forma estrema di iatrogenesi, questa, l’aver iper-clinicizzato la disabilità scolastica? Esito disastroso, dunque!

Il fenomeno non è solo cispadano, il Lazio ha il 3,2% di alunni certificati (+77%), Lombardia e Veneto pari all’Emilia Romagna (+50%). Una tendenza all’aumento che viene da lontano: già la Relazione MPI al Parlamento del 2000 descrive così l’ aumento nel decennio precedente 89 /99: “ Il numero di bambini e ragazzi certificati (pari nel 2000 a 124.155 alunni) è aumentato del 33% dal 1989 al 1999 (da 1.27% a 1.65% della popolazione scolastica). Dunque, fenomeno di lungo periodo. Come si spiega questo aumento nonostante l’ accanita severità? Bella domanda per la nostra ricerca.

Partiamo da due elementi “oggettivi” che spiegano solo in parte l’aumento in questo decennio.

1. Aumentano ancora gli studenti disabili delle scuole superiori, dall’1,56% del 2002 al 2,26 del 2012 rispetto alla popolazione totale delle secondarie. Un bel segno, questo. Nella nostra istruzione superiore passano gran parte dei disabili. E merita ricordare con eccellente successo: nel 2011/2012 terminano gli studi il 72% della media epidemiologica/anno. Giovani alunni una volta nei cronicari.

2. La nostra regione ha avuto nel decennio un elevato ricongiungimento di figli minorenni ai lavoratori emigranti già residenti in Italia. Tutto l’aumento demografico in regione è dovuto a loro. In Emilia Romagna (a.s. 2010-2011) gli alunni disabili con cittadinanza straniera sono il 2,8% della popolazione straniera complessiva, a prescindere da dove sono nati. Dunque percentuale disabile superiore a quella italiana (2,44%), che segnala questioni cliniche interconnesse a quelle socio-economiche, oltre che ad una iatrogenesi che clinicizza questioni linguistiche ed etniche.

3. Più studenti h alle superiori e più stranieri h spiegano solo in parte l’aumento degli alunni disabili nel decennio, vi sono altri elementi di carattere qualitativo. Caratteri già anticipati nel primo articolo sulla Grande Malattia e in un altro del 2012 “Dall’integrazione all’isolazione”, entrambi in www.scuolaoggi.org. Temi di cui scrivo in quasi assoluta solitaria.

Il fatto è che in Italia il “disabile 104” è l’incrocio di numerose varabili (forse da sempre, oggi di più) ben oltre il dato meramente clinico soi disant “oggettivo”. E’ invece un dato sociale, perfino ideologico che muta con gli idola tribus delle diverse epoche. Vale molto in primis l’idea stereotipica di “normalità”. Vale il clinicismo della “salute asintomatica” che recinta ogni difficoltà in disturbi. Vale quanto una società sia aperta-tollerante con le diversità e o invece chiusa e competitiva. Per l’integrazione scolastica vale molto inoltre il cosiddetto “6 ideale-ideologico” degli apparati curricolari: se il 6 sale con il merito e la frenesia dei tanti saperi, i ragazzi out aumentano. Vale se l’organizzazione della scuola degrada: più alunni per classe, meno compresenze, meno flessibilità vuol dire aumento delle certificazioni! Vale la tendenza delle famiglie a cercare per ogni “dolore” dei figli una “scusante” fuori dalla coscienza e dalla volontà (sia genitoriale, sia filiale). La scusante bio-neuro-genica è eccellente viatico all’irresponsabilità. E anche quando il “dolore” ha palesi origini biologiche (es. Down) domina l’azione clinica, si riduce l’engagement familiare e sociale, la scolarità cede ai tecnicismi e ai farmaci, separa rispetto al sostegno diffuso, di reciprocità, di scambio. Vale per l’epoca della “fine della responsabilità” con una diffusa accentuazione delle “attenuanti cliniche” per ogni evento della vita (dalla dislessia agli omicidi).

Aumentano i disabili dunque anche come effetto della ricerca di attenuanti all’insuccesso, davanti alla scuola di oggi così strapazzata. Ma cambia così anche il nostro sguardo ermeneutico sulla diversità: da persona a sintomo, da integrazione a terapia deterministica, con un welfare ristretto all’ invalidità, dominato da punteggi, con effetti strutturali sui redditi, l’ assistenza, l’essere o no dentro la cura. Insomma, l’aumento attuale delle certificazioni è segno di una vasta regressione culturale, che chiude l’epoca dell’inclusione verso un’ isolazione che ospita ragazzi disabili quasi per caso nelle nostre aule. La Grande Malattia è nella scuola, nella società, prima che nei nostri figli.

Altro che ICF e visione bio-psico-sociale olistica! Disabili non più interi, ma strappati in sintomi a seconda dei poteri clinici dell’epoca, degli interessi dell’industria della cura, una nuova Lourdes cui non difettano denaro e la pubblicità. E se la scuola affoga col mito delle “competenze”, dei punteggi Invalsi equivocamente intesi, la certificazione è uno strumento di “difesa” piuttosto che un progetto. Soprattutto se il territorio scolastico è meno amico aperto, più isolato dalla paura del futuro, la certificazione diventa una perfetta attenuante per non avere un figlio out. Un super-paradosso!

Sirena straordinaria per genitori afflitti da figli “che non sono come si dovrebbe” (perché il dolore esiste e resta certificazioni o meno!). Dunque: “Meglio un po’ ammalati che cattivi e bocciati”.

Ribadisco per l’ennesima volta: il dolore, le difficoltà del vivere, le disabilità esistono, eccome! Anzi, è vero che con l’epoca delle passioni tristi aumentano. Ma è il modo, la filosofia clinica omologante, l’incrocio tra variabili di quest’epoca, tra cui l’attuale deriva della scuola, a provocare una mutazione antropologica che mette in discussione alla radice l’integrazione come vissuta e amata in Italia fin dagli anni 70. Ribadisco anche che disabilità motorie, genetiche, sensoriali sono destini che meritano maggiore attenzione e cura per uno sviluppo dei potenziali di ognuno. L’esperienza ci insegna che si cresce bene solo con l’inclusione pedagogica. Ma queste disabilità sono in calo, non in aumento, e non a caso!

Sedare e isolazionare

Non è un caso, infatti, che l’area in grande aumento certificativo, quella che provoca il paradosso dei numeri, riguarda i “disturbi” di intelligenza e carattere. Timbrati ora da un’ Inquisizione medica legale, non dai soliti neuropsichiatri infantili troppo generosi. Come sempre, fin dai tempi del libro Cuore, ciò che “disturba” (notare l’inversione semantica del termine disturbo) la scuola sono oggi i bambini “stupidi” e/o “cattivi”. Con certificazioni super-legali, quindi un epitaffio duro!

Dunque l’intelligenza. La questione del QI torna di moda, ma attenzione al come! Il presidente Obama lancia grandi progetti di studio sul “cervello”, in Cina si studiano 100.000 DNA di umani con un Q.I. >160 per trovare “il gene del genio”. E nell’epoca di una distorta mitizzazione delle “competenze” (e della competizione), l’intelligenza torna misura sacra e spartiacque: non più “diverse intelligenze” (Gardner) ma alte, medie basse. Ritorna il vecchio Eysenk senza una discussione scientifica ed ermeneutica di cosa sia oggi intelligere. Uno spartiacque fondato su test scolasticistici centrati sul “6 ideale-ideologico”, e (per gli stranieri) colonialisti. Non è il riflesso anche del ritorno dei voti nella scuola di base? E’ un caso che la Legge 517 /77 integrava i disabili e contemporaneamente aboliva i voti? Dominano fantasiose teorie deterministiche sull’intelligenza pre-derminante l’esperienza, anche se i più buoni pensano che “qualcosa si può aumentare”, ma solo (appunto) con “buone tecniche” separative. Tutti argomenti di cui abbiamo continui segnali para-scientifici su cui si fanno cattedre, master, formazioni utilitaristiche. Una dura sfida al pedagogico, il rischio che l’integrazione come “speciale normalità” diventi “speciale specialismo” che isola la persona, messa all’angolo del suo “livello intellettivo” e non dentro tutte le diverse intelligenze mescolate nella classe. E, d’altra parte, lo stesso Invalsi ordina di non contare proprio questi bambini stupidotti o cattivacci con disturbi vari, perché “rovinano il vestito” della scuola.

Bocciare è sgradevole, però come si fa?... Poveri insegnanti, travolti dalle risorse ridotte, travolti dal mito che competenze e “società della conoscenza” vogliano dire “fare tanto”, non “fare bene”. Segnalo il paradossale (non casuale in questo discorso) iato nelle Nuove Indicazioni, dove la premessa moreniana (complessità, la crisi del dualismo cartesiano, ecc.) è seguita da conoscenze e competenze (si scusi il bisticcio)…a iosa. Siamo alla testa ben piena, non alla testa ben fatta. Soprattutto alla testa omologata. Nessuna divergenza è più normale. Venti anni fa questi bambini “stupidini” non sarebbero mai stati certificati, ma accolti con le loro diverse intelligenze in una scuola più lenta, più accogliente, più aperta alle differenze di quella odierna.

Sull’aumento delle certificazioni per disturbi di “carattere e personalità” che “disturbano” la scuola (es. oppositività e condotta) ci ha già insegnato tutto Faucault. L’omologazione comportamentale è premuta da una società adulta tanto anarchica, individualista e oscena negli adulti, quanto severa verso i “bambini cattivi” e non omologati al bon ton e al sano consumismo. I ragazzi stranieri in quest’area, abbondantemente certificati, pagano due volte, per la loro “diversa” intelligenza, e stili di vita. Al. “separare e punire” illuminista si sta sostituendo il “sedare e curare” della post modernità. Il mito è il Ritalin, e tutto ciò che per scorciatoie riduce l’etica della responsabilità, la dialettica tra bene e male, l’idea di colpa, il conflitto come sviluppo. Si omologano le persone a cloni asintomatici sorridenti alla modernità consumista. Il pensiero critico che è stato utile in passato per de-istituzionalizzare e umanizzare le differenze è oggi considerato “relitto del 68”.

Naturalmente, in fatto di intelligenza e carattere/personalità non neghiamo la sofferenza diffusa e le difficoltà della scuola. Arrivo anche a capire (ma ne soffro per il paradosso) che in un epoca triste davanti ad un figlio con un carattere particolare la certificazione diventi non un “progetto di vita” ma una specie di “auto-difesa individualistica protettiva” da un mondo frenetico e duro.

Per la scuola diventa anche una crisi dell’ottimismo pedagogico. Anche per lei la certificazione diventa una difesa, nell’epoca della tristezza e della penuria.. La malattia clinicamente legittimata rende tutto più semplice e nessuno colpevole. Ma non c’è salvezza né rimedio (art. 3 Costituzione), solo terapia e adattamento. Insomma, se qualcosa non va è fuori dalla coscienza.

Ma c’è di più. Con la Legge 170 e la CM del dicembre 2012 sui BES la clinicizzazione e separazione dei “bambini inadeguati” continua semplicemente “allargando il recinto iatrogeno”, garantendo non pro-getti ma malintese pro-tezioni compensative/ dispensative (notare anche qui il gioco semantico del –pro) senza riflettere sull’idea di persona, di differenza, di contesto educativo, e di quell’incrocio complesso di tante variabili presentato sopra. Un modo che rischia di aumentare l’isolazione, ovviamente anche se si continua a scrivere il solito mantra sulla “partecipazione di tutti al progetto pedagogico”. La sanitarizzazione dei BES come un fatto naturale ed anzi benevolo. Su questo tema scriverò ampiamente nel terzo articolo di questa saga. Faccio qui solo notare che i BES da recintare sono vicini ai “disturbi” di intelligenza e carattere già in aumento nei disabili. Quindi il tormentone stupidi-cattivi aumenta! E tutto questo, mentre l’UNESCO da molti anni, soprattutto dopo l’introduzione dell’ICF, chiede a viva voce di abrogare il termine BES, perché con la globalizzazione ed una visione psico-socio-biologica il “bisogno” non è mai speciale, ma terreno comune dell’eterogeneità umana e sociale del presente. Lo sapeva dell’UNESCO chi ha scritto la nota BES? Siamo ancora i primi in Europa?

La babele scientifica e le lobby

I paradossi iatrogeni derivano anche dall’enorme aumento delle ricerca scientista sull’area umana. Con risultati importanti, come ad esempio la tecnologia cocleare per i sordi, che pure lascia libertà a chi preferisce la lingua dei segni. Ma in molte aree del dolore, e non a caso soprattutto in quelle dell’intelligenze e del carattere, la babele scientista è elevata: 28.000 riviste accademiche pubblicano milioni di ricerche impossibili da confrontare. Le teorie e i loro fans si scontrano, le cosiddette “Linee guida” che il Ministero Sanità produce (che dovrebbero essere indipendenti) sono terreno di conflitti durissimi, perfino politici. Si pensi all’autismo: si tratta di un’epidemia o di una ri-definizione di disabilità una volta descritte con altri codici? In un solo giorno i mass media segnalano una ricerca USA su 14 bambini che individua un rapporto tra autismo e forma della placenta, con nuovi sogni sull’utilizzo di staminali. Una manifestazione contro i radar NATO di Sigonella presenta una ricerca USA sul rapporto tra autismo e radiazioni. E che dire di chi collega l’autismo alle vaccinazioni? Paradossale, però, è che le ricerche più prestigiose sulle eziologie dei dolori moderni sono vaghe e senza prove certe, ma fideisticamente tutte sicure che “certamente è a base biologica e anche genetica”. Ognuna con i suoi neuroni e con i suoi geni. Sui DSA sono più “giuste” le teorie di Giacomo Stella o quelle di Piero Crispiani, entrambi accademici ma di diversa scuola? Grande confusione sotto il cielo, nuovi miti per la famiglie, raccolta fondi per la ricerca.

Accompagna la babele l’esplosione di associazioni e movimenti, a carattere volontaristico, di famiglie “a difesa” di una certa teoria clinica. Con il delicato fenomeno che a questi gruppi sono iscritti anche i clinici e i ricercatori. Per carità, nulla di male, ma non vi è una distorsione deontologica tra ruoli? Non nascono così, e non sempre bene, nuove lobby di pressione l’un contro l’altra armata? E tutti questi naturalmente a dire che “la scuola è ignorante”, che si devono fare master, e che i Ministeri devono accogliere le loro tesi.

Fenomeni emotivi di iatrogenesi riducono l’indipendenze scientifica, si confonde la deontologia con la fede carismatica, girano interessi e miracoli. Per fortuna la cara e sana FISH cerca di andare oltre i rischi lobbystici, ma che fatica a trovare relazioni serene e di reciproco dialogo tra tutti!

Il sostegno iatrogeno isolante

Un altro paradosso emerge dalla ricerca regionale: il grande aumento dei docenti di sostegno nel decennio, +65% a fronte del (lo ricordo) del +46” dei disabili. Gli educatori degli enti locali non sono calati nonostante la crisi economica. Eppure nessuno ci crede, i mass media e il dire comune enfatizzano i “tagli sui più deboli”. Nel 2002/2003 i docenti di sostegno erano in rapporto di 1 ogni 2,25 alunni con disabilità. Nel 2011/2012 il rapporto è 2,06. Gli insegnanti curricolari sono aumentati nel decennio del 3% a fronte di un aumento della popolazione del 23%. Dunque: gli insegnanti di sostegno sono passati dal 10% del 2002/2003 al 16% della popolazione docente regionale. Dunque, perchè questo malessere? Da cosa deriva questa sconcertante miopia?

Naturalmente una prosaica ragione c’è e i dati lo dicono: con un aumento del 23% degli studenti e solo del 3% degli insegnanti accade una brutta complicazione organizzativa-didattica nella scuola: aumento alunni/classe, prosciugamento compresenze. Da qui lo spostamento (quasi freudiano) della sofferenza scolastica complessiva (classi eterogenee, poche risorse) sui posti di sostegno come “aiuto indiretto” alla crisi di personale. Dunque il MIUR, poco attento, da una parte ha tagliato e dall’altra ha dovuto dare, con scarsi risparmi ma con maggiore confusione e mala scuola.

Inoltre noto che le uniche “battaglie” fatte dai genitori dei disabili non sono state per avere “meno alunni per classe” o “più integrazione del figlio in classe”, ma esattamente l’opposto: solo sostegno, sostegno, e ancora sostegno fino alla copertura 1:1. Da qui la Sentenza della Corte Costituzionale e la nuova babele sulla “valutazione di gravità”. Mai periodo è stato peggiore e più confuso per riflettere seriamente sull’inclusione. Tutto questo aumenta l’effetto della iatrogenesi e l’uso del tecnicismo che pensano ormai la scolarizzazione disabile in chiave “speciale” e non inclusiva.

Leggo e sento, intanto, movimenti dei sostegni precari che criticano USP e ASL perché “certificano poco” e perfino “perché ci sono troppi educatori delle cooperative”. Una guerra tra poveri che nasconde il disabile come “pretesto”, come ci insegnò Marinella Longhi in un magnifico libro degli anni 80 dal titolo profetico “Più che un bambino un pretesto”, sul corporativismo degli organici.

La fame di sostegno, la ricerca di un posto a prescindere: perfetti interfaccia della sanitarizzazione. Con il disimpegno ministeriale sulla formazione di tutti i docenti, e la vergognosa incapacità dei sindacati ancora chiusi nella buro-pedagogia delle graduatorie formali che sfavorisce la continuità dei sostegni. E adesso i timori che per i BES si debbano spalmare i sostegni La disabilità come merce di altro, triste paradosso del miglior ex-paese al mondo in fatto di integrazione.

Tutto ciò accade mentre cresce una neo-fatica dell’insegnare connessa non ai numeri (o non solo a questo) ma alla nuova complessità sesistenziale presente nei nostri studenti, che è universale e non restringibile in recinti algoritmici. La novità sta in una inedita eterogeneità sociale diffusa tra bambini e ragazzi che rende complessa la gestione d’aula. L’eterogeneità è la vera novità della post.modernità a questo inizio secolo, impone didattiche nuove, flessibili. Per tutti, non per coloro che entrano secondo la iatrogenesi di moda. Sarà la ri-composizione della disarmonia il futuro (possibile) della pedagogia, senza omologazioni, recinti, isole. La disarmonia non compresa e anzi costretta alla certificazione, accompagnata dalla tristezza, fa chiudere genitori, insegnanti, società in una paura del presente e delle nuove relazioni eterogenee. Non c’è dubbio gli snodi critici non sono dentro la scuola o quanto meno solo dentro di essa, ma in quello che in pedagogia, sociologia, filosofia, politica consideriamo persona, relazione, amicizia, bene e male, etica, solidarietà.