RAPPORTO

Scuola, l'allarme Ocse: spesa ferma da 15 anni

 Lettera 43, 25.6.2013

Nonostante «dieci anni di austerità», una spesa per studente sostanzialmente ferma tra il 1995 e il 2010 e un aumento del numero di alunni per docente, la scuola italiana continua a garantire performance stabili in materia di apprendimento.

Inoltre gli insegnanti italiani sono in media più anziani e meno pagati dei colleghi dell'area Ocse.

È questo il verdetto dato dall'Ocse, nel rapporto Education at a glance pubblicato il 25 giugno. L'Italia, scrive l'organizzazione, «è l'unico Paese dell'area Ocse che dal 1995 non ha aumentato la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria», cresciuta di appena lo 0,5% in termini reali su 15 anni, contro una media che supera il 60%. La spesa per studente italiana resta comunque appena superiore alla media Ocse per le scuole primarie, e in linea con la media per le secondarie.

INVESTIMENTI UNIVERSITARI +39%, MA SONO PRIVATI. La situazione è opposta, invece, per l'istruzione universitaria, dove l'Italia ha aumentato la spesa complessiva per studente del 39%, contro una media Ocse del 15%. Il merito di questo risultato, sottolinea il rapporto, è però «ampiamente riconducibile» a un incremento «dei finanziamenti provenienti da fonti private», e non dei fondi pubblici destinati al settore. Inoltre, nonostante l'aumento, la spesa per studente universitario in Italia resta inferiore alla media (9.580 dollari contro 13.528).

LA LAUREA «PAGA» SEMPRE MENO. Inoltre secondo i dati Ocse in Italia la laurea 'paga' sempre meno in termini di retribuzione: tra i lavoratori 'senior' (55-64 anni) chi ha un titolo universitario guadagna in media il 68% in più di chi ne ha uno secondario superiore, ma tra i lavoratori under 35 la differenza scende al 22%. Di conseguenza, cala anche l'interesse dei più giovani a intraprendere un percorso accademico, e in parallelo il tasso di ingresso nelle università, che era invece aumentato nello scorso decennio, balzando dal 39% nel 2000 al 50% nel 2002 e al 56% nel 2006. Occorre quindi interrogarsi, su «quanto l'università sia stata capace di rispondere ai bisogni di questo nuovo pubblico. Ad un certo punto, era stata percepita come un veicolo di promozione. Ma oggi, in un momento di crisi in cui potrebbe e dovrebbe accompagnare il Paese verso un tessuto economico a maggior valore aggiunto, l'università viene sempre più vista come qualcosa di abbastanza irrilevante, che non offre miglioramenti».
 

Classi più numerose ma l'apprendimento non ne risente

Tra il 2005 e il 2010 inoltre, ha riportato sempre l'Ocse, sono stati «conseguiti risparmi nei settori dell'istruzione primaria e secondaria di primo grado aumentando il numero di studenti per insegnante», in particolare attraverso «un moderato aumento del numero di ore annue di insegnamento» per i docenti, e «una simultanea diminuzione delle ore di istruzione per gli studenti». Tale cambiamento, ha sottolineato l'organizzazione parigina, non ha «compromesso i risultati dell'apprendimento», misurati dai test Pisa, che restano «stabili nelle competenze di lettura (rispetto al 2000) e sono migliorati significativamente in matematica (dal 2003) e in scienze (2006)».

DOCENTI ANZIANI E MAL PAGATI. «L'Italia dispone del corpo insegnante più anziano tra i Paesi dell'Ocse», ha spiegato inoltre lo studio, secondo cui nel 2011, il 47,6% dei maestri elementari, il 61% dei professori delle medie inferiori e il 62,5% di quelli delle superiori aveva più di 50 anni. Sul fronte della retribuzione, i docenti italiani percepiscono salari che «tendono a essere inferiori rispetto alla maggior parte dei Paesi dell'Ocse». Tale differenza è limitata a inizio carriera (29.418 dollari per un prof italiano, contro 31.348 di media dei 34 membri dell'organizzazione), ma si amplia con il procedere dell'esperienza lavorativa (36.928 dollari per un prof italiano con 15 anni di anzianità, contro 41.665 di media Ocse).