Lettera al Ministro Carrozza dal blog di Maria Chiara Carrozza, 3.6.2013
Pubblico (con il consenso dell'autrice) una
lunga, ma interessante lettera che mi ha colpito molto: Gentilissimo Ministro sig.ra Carrozza, sono un’insegnante e cercherò di scriverle poche righe (tenendo conto dei suoi impegni) perché vorrei che fosse proprio lei in persona a leggere quanto ho da raccontarle. Vorrei metterle a disposizione la mia personale esperienza di docente di scuola superiore... di secondo grado (insegno Scienze al biennio di un Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato) affinché possa avere una visione realistica della quotidianità della vita che si svolge all’interno di aule (quasi sempre aule “pollaio”) piene di ragazzi per lo più smarriti rispetto alla propria storia personale ed al proprio futuro. È un mio piccolo grande sogno quello di poter riferire a chi effettivamente ha il potere di cambiare le cose (noi abbiamo solo il potere di cambiare il modo in cui viverle…) quelle che sono le problematiche che quotidianamente noi, docenti che lavorano e ragazzi, affrontiamo… Magari queste righe potranno “fermentare” in uno dei suoi rari momenti di riposo e suggerirle nuove strade da percorrere per ridare fiducia e dignità a chi lavora dentro la Scuola Statale e per consegnare un orizzonte di speranze, più ampio di quanto non sia quello presente, a tutti i ragazzi che filtrano attraverso di essa e agli uomini e alle donne che vi lavorano con amore e con lo sguardo rivolto al futuro.
Ho quarant’anni ed insegno da dieci
(sono di ruolo da cinque) dopo aver lavorato in ambito universitario
come biologa per sei anni. Diciamo che prima di trovare la mia
realizzazione personale dal punto di vista lavorativo (molto meno da
quello economico) ho “girato” un po’ tra le realtà a disposizione
all’interno di questo paese per chi a metà degli anni ’90 si è
laureato brillantemente in una disciplina scientifica. Prima di passare a quanto ho di concreto da dirle sig.ra Ministro, La invito quindi a fare tutti gli sforzi che umanamente le è possibile portare avanti, nelle condizioni in cui si troverà ad operare, per dare alla Scuola Statale e ad i suoi lavoratori DIGNITÀ al pari di quella ricevuta dall’Università e dalla sacro santa Ricerca Scientifica. Le parlo di quello che conosco meglio: il biennio degli istituti professionali. Insegno Scienze per due ore la settimana per un totale di 9 classi che quest’anno sono state dieci istituzionali. Classi piene come uova (altro che decreto sulla sicurezza nei luoghi di lavoro..) piene di ragazzi che nel 70% dei casi NON vogliono venire a scuola. Ragazzi poco e male alfabetizzati (l’italiano è troppo spesso un’opinione anche per gli italiani madre-lingua), ragazzi stranieri che sono in Italia da uno o due anni e che vengono inseriti nelle classi solo in base all’età… A questo proposito ricordo che nel 2007 o 2008 la Lega propose un anno di italianizzazione linguistica obbligatoria per tutti i ragazzi stranieri in età scolare all’arrivo nel nostro paese. Furono subito tacciati di razzismo e segregazione, perché la lingua “si impara mentre si lavora in classe” bla bla bla… Io non sono mai stata leghista ma riconobbi in quell’idea una sensatezza che andava perseguita, magari affinando la proposta e tarandola rispetto alle differenti classi d’età: un bimbo di sei anni può ben inserirsi in una prima elementare anche se non sa a settembre una sola parola di italiano, ma già in una seconda vedo qualche difficoltà in più… non le dico poi cosa significa avere in una classe superiore uno, o più spesso molti, ragazzi stranieri che non capiscono quello che sentono. Altro che integrazione! Si creano invece situazioni di reale disagio, per loro e per noi che siamo chiamati ad insegnare loro (che cosa? se non capiscono ciò che diciamo?) e a valutarli (come? se non parlano o quando lo fanno si esprimono male??). Invece di affrontare la questione sollevata dalla Lega, fu liquidato il tutto, per paura sicuramente di essere tacciati di razzismo e perdere così tanti bei voti benpensanti (magari di quei cattolici che mandano i figli alle scuole private o comunque in scuole senza stranieri) e anziché analizzare il problema (che esiste!) e trovare una soluzione, si scelse come troppe altre volte di buttare “l’acqua sporca con tutto il bambino dentro” senza cercare di trattenere e sviluppare l’idea di fondo che era ed è necessaria: inserire gli stranieri nelle classi non solo in base all’età ma anche in base alla competenza linguistica, unico strumento per un’integrazione reale e non fatta solo a parole! Vinse invece ancora una volta il cancro del “buonismo” e della falsa accoglienza, della retorica e dell’ignoranza (quella di chi decide senza conoscere la realtà ma inseguendo solo un’idea o peggio ancora la convenienza politica ed i giochi di partito). Ora infatti siamo pieni di ragazzi che parlano poco o male l’italiano e che di conseguenza vegetano in classe senza capire niente arrivando a smettere di frequentare dopo poco; per chi supera i primi mesi partono poi i corsi di “italiano per stranieri”, rigorosamente in orario mattutino (sennò non li frequenterebbero…) ma saltando in questo modo sempre le solite materie… Ottima soluzione davvero. Come nascondere la polvere sotto il tappeto… tanto… chi lo alzerà mai?? Ma non è certo la scarsa conoscenza della lingua italiana la sola difficoltà che incontriamo tutti i giorni noi insegnanti di frontiera, la frontiera del biennio, quella terra di nessuno che va dai 14 ai 16 anni ove ora è posto il termine dell’obbligo scolastico. Le scuole medie infatti, anziché trattenere i ragazzi che non sono ancora pronti per le superiori ed insegnare loro a scrivere bene, a leggere bene, a parlare, a comprendere un testo scritto, a maneggiare i fondamenti della matematica e della geometria, ad accettare le sfide e le sconfitte, a ricominciare se necessario, se ne liberano promuovendoli a oltranza (altrimenti, secondo i luminari di non so quale pedagogia, rimarrebbero sconvolti a vita…) e mandandoli a noi (e non certo ai licei dove dovranno affrontare altre problematiche, ma non certo queste che le sto descrivendo) noi che ci ritroviamo come giocolieri a gestire le situazioni più disparate e disperate cercando di evitare che ci collassino tra le mani. Una soluzione a questo stato di cose potrebbe essere data dal fare CLASSI PRIME di massimo quindici-diciotto ragazzi. Se la lotta alla dispersione scolastica vuole essere davvero qualcosa di credibile, oltre che efficace ed efficiente, è questo che si deve fare per permetterci di seguire da vicino TUTTI i ragazzi. In aggiunta a questo non dovrebbero essere “tenuti in vita” quei sistemi attualmente in mano alle province/regioni (penso alle FIL, cioè agli ex-uffici di collocamento) che aspettano come avvoltoi i ragazzini di sedici anni appena usciti dal sistema scolastico (il famigerato drop-out) per costruirci sopra corsi-fotocopia di quelli che un qualsiasi istituto professionale, soprattutto prima della decapitazione apportata dalla Riforma Gelmini-Tremonti, è in grado di fare e molto meglio! Il nostro Istituto si vede nella condizione di avere prime che partono con 27-30 allievi di cui arrivano alla fine dell’a.s. circa in venti. Quei dieci che fine hanno fatto? Ed i bocciati che non si reiscrivono? Siccome ora come ora nessuno può iniziare a lavoricchiare come si faceva un tempo, quando bastava un po’ di buona volontà da un lato e di autorità dall’altro, questi ragazzi, troppo spesso figli di “nessuno”, vegetano perdendo letteralmente tempo, in attesa dell’attivazione dei corsi FIL. Corsi che avrebbero senso per riqualificare cinquantenni usciti dal sistema, esodati vari, o altre categorie deboli sul mercato del lavoro, ma comunque adulti! Invece la FIL scopiazza quello che dovremmo fare noi, a volte utilizzando gli stessi docenti della scuola (quando non ne trovano di esterni). Lo Stato dovrebbe mettere noi della Scuola Statale nelle condizioni di lavorare bene sia dal punto di vista logistico (penso alle strutture e ai macchinari necessari ad un IPSIA che sforna meccanici, elettricisti e tecnici di questo tipo, ma anche ai laboratori di altro tipo in altre tipologie di scuola), che economico (senza soldi nessun sistema può muoversi… i soldi sono come l’olio che fa girare gli ingranaggi: devono arrivare in tempo e nella giusta quantità) che regolamentare (penso al monte orario non solo delle discipline scientifiche, cosa che riguarda me ed altre migliaia di colleghi nelle mie stesse condizioni, ma anche dei laboratori tecnici, ridotti all’osso sempre grazie a questa bellissima riforma che ha “ridato” la dignità perduta agli istituti professionali, ora diventati vero ricettacolo di situazioni complesse e articolate spesso oltre ogni immaginazione!). Ridurre il numero degli allievi nelle prime potrà portare ad una reale diminuzione del drop-out e ad un reale miglioramento delle condizioni lavorative in classe e dell’efficacia dell’azione didattica, soltanto se in contemporanea viene modificata l’età entro cui va concluso l’OBBLIGO SCOLASTICO. Se riportarlo a 14 anni (età alla quale termina il primo ciclo) può oramai essere anacronistico perché troppo mutato rispetto al passato è il contesto extra-scolastico, andrebbe allora direttamente innalzato a 18 anni, bypassando questa mezza misura dei sedici anni che getta il ragazzino che esce dal sistema scolastico (senza uno straccio di qualifica ufficiale in mano…) nel limbo di quella formazione professionale affidata agli esterni a cui mi riferivo sopra. Prima della Riforma Gelmini (…) gli istituti professionali rilasciavano al terzo anno una Qualifica Professionale che permetteva ai ragazzi che non se la sentivano di frequentare anche la quarta e la quinta di trovare un impiego. Adesso questo non è più possibile a meno che la scuola non si complichi grandemente la vita con gli IeFP, un ibrido della formazione che vede le regioni mettere le mani in pasta dentro le scuole che vi aderiscono e sulle quali ricade comunque il peso dell’organizzazione di un doppio percorso: il Gelmini “puro” ed il Gelmini misto IeFP. I ragazzi di 16 anni che vogliono uscire dal sistema scolastico non si ritrovano quindi nulla in mano, per cui gioco forza, allo stato attuale, il loro passo successivo potrà essere solo quello di attendere l’ennesimo corso FIL. Per chi vive ogni giorno con questi ragazzi e legge nei loro occhi la perdita di fiducia verso il futuro e di senso rispetto al presente, perdita che porta a depressione o rabbia, tutto ciò NON HA SENSO. E non sono la sola a vederla in questo modo, a notare soprattutto l’assoluta mancanza di attenzione e di interesse da parte delle istituzioni verso la crescita di questi ragazzi (attraverso la cura del loro presente) e verso ciò che diventeranno ed il contributo che potranno dare al paese quando saranno adulti (il nostro futuro). Non vedo lungimiranza né politica né tanto più umana. Vedo solo miopia ed interessi piccoli e locali che devono essere mantenuti alla faccia dello sviluppo del nostro paese. La terza modifica che introdotta negli IPSIA potrebbe migliorarne la situazione, dopo la riduzione del numero degli studenti per classe e l’innalzamento dell’obbligo scolastico fino ai 18 anni (almeno allora quando finiranno avranno una qualifica seria in mano) è quella di RIDISTRIBUIRE LE MATERIE all’interno dei cinque anni. In pratica: fare “sgassare” i ragazzini i primi due anni con moltissime ore di laboratorio pratico (affidato a docenti competenti) e poi, a partire dal terzo anno, aumentare via via le ore di altri insegnamenti (come italiano e matematica) e introdurre infine quelle materie (come scienze, chimica, diritto, fisica) che se svolte al biennio vengono vissute dai più come un giogo punitivo e senza senso, mentre affrontate successivamente potranno essere meglio comprese e fruite. Per l’Italia è necessario non snobbare la formazione professionale, anzi è imperativo investirvi, ridandola interamente in mano alla Scuola Statale e togliendo di mezzo le province e le regioni che dovrebbero limitarsi alla manutenzione degli edifici di cui sono proprietarie. Per la crescita di questo paese servono operai specializzati e formati a 360°, cosa che significa anche avere competenze linguistiche, logiche, scientifiche e civili sufficienti per potersi orientare nel mondo e votare con consapevolezza. Tanti altri sono gli aspetti sui quali si dovrebbe e si potrebbe intervenire per migliorare la qualità della scuola. Diminuire la burocrazia per esempio, che ci soffoca su tutti i fronti, sarebbe un altro punto: dai finanziamenti ai rimborsi minimi, dai verbali a tutte quelle procedure che hanno l’unico fine di tutelare la dirigenza dai ricorsi… La forma prevale da tempo sulla sostanza! Non posso infine, signora Ministro, non toccare l’aspetto economico. Come ben sa, e comunque potrà constatarlo in pochi clic, noi docenti italiani siamo i peggio pagati d’Europa! E per diventare docenti (non ITP...) è comunque necessaria una laurea e sempre più spesso sono graditi master e dottorati, se non altro per fare punteggio, oltre ad una competenza umana e psicologica che non si improvvisa né tantomeno si può apprendere da un qualsiasi corso di specializzazione. Lo scorso anno incontrando una ragazza australiana in vacanza, venni a sapere che la madre di lei, anch’essa insegnante di scienze alle superiori, prendeva in una settimana quello che un docente come me percepisce in un mese! 4:1 il rapporto! Al mio stupore ed incredulità ha risposto affermando che gli insegnanti sono lavoratori dello Stato e come tali il loro stipendio deve riflettere la dignità che lo Stato conferisce loro. La presidente della camera Laura Boldrini parlerebbe di “decoro istituzionale”… beh, il nostro stipendio è tutt’altro decoroso! Sono anche venuta a sapere come, pur essendo retribuiti dallo Stato, ogni insegnante può andare nella scuola che preferisce attraverso il dialogo diretto con la dirigenza e non in base ad un sistema computerizzato come il nostro che non valuta assolutamente la persona e le competenze ma soltanto l’anzianità di servizio ed i posti liberi o occupati in gioco: le scuole australiane infatti fanno a gara (attraverso benefit di vario tipo) per accaparrarsi gli insegnanti migliori! Non dico che questo sia il sistema “perfetto”, ma forse una via di mezzo tra la rigida casualità che governa il nostro e la continua messa in discussione che probabilmente muove il loro, sarà possibile trovarla. Qui da noi il sistema (e glielo posso assicurare) premia chi si imbosca e chi cerca di lavorare meno. Chi ci mette l’anima (ed il corpo perché alla fine accusa anche quello) a meno che non abbia un dirigente “illuminato”, riceve poco-nulla in cambio. Chi lavora in scuole (ed in classi) dove il disagio è enorme, come in quelle dove lavoro io, non ha né indennità di logorio e superaffaticamento mentale, né punteggi aggiuntivi per poter, richiesto il trasferimento in altra scuola, avere più chance di altri che provengono da realtà più tranquille e vivibili. Il punteggio aggiuntivo è rimasto quello degli anni cinquanta… scuole di montagna e piccole isole! E le realtà affollate e multiculturali cittadine dove le mettiamo? 1300 euro circa al mese per fare la vita che facciamo (noi che lavoriamo, perché ripeto, ci sono anche gli imboscati che andrebbero stanati..) è ver-go-gno-so! Gentilissimo Ministro, non la voglio angustiare oltre. Le cose da raccontarle sarebbero moltissime e le idee anche: dall’attenzione verso i disabili (e qui si aprirebbe un capitolo immenso visto che il sostegno al disabile dovrebbe garantire la presenza di personale sempre qualificato e motivato) alla valorizzazione del merito dei docenti (valutazione che potrebbe essere affidata senza dubbio anche ai ragazzi, nostri veri conoscitori) per arrivare all’organizzazione scolastica che potrebbe essere meno rigida e più flessibile (sia come orario nella giornata che come distribuzione dei giorni nell’arco dell’anno)… Ora però sono davvero esausta e mi preme intanto inviarle questi primi spot, spunti per una riflessione seria e spero partecipata, dai quali potrà ricavare mi auguro proficue illuminazioni per svolgere nel migliore dei modi la sua missione ed essere ricordata con stima e gratitudine da quanti lavorano nell’Universo Scuola. Il mio è solo un piccolo contributo, limitato. Un tentativo. Potrebbe, e questa sarebbe una grande idea ed una grande risorsa, anche attivare un canale, tramite il web, per un dialogo diretto con noi docenti, non filtrato dalla burocrazia ministeriale e dai suoi consulenti, per lo più avvocati che non hanno mai messo piede in un’aula scolastica come insegnanti (si ricordi sempre signor Ministro che i suoi più preziosi consulenti siamo noi: docenti ogni giorno in classe...). Tale Portale non dovrebbe diventare un muro del pianto dove far confluire lagnanze mai lette, ma un qualcosa adatto a richiedere a noi diretti interessati, ai ragazzi stessi ed ai loro genitori, informazioni concrete sulla realtà che quotidianamente viviamo, opinioni e suggerimenti. Qualcosa di buono e di assolutamente privo di interessi politici e secondi fini potrà sicuramente venirne fuori, se pensato (oserei dire con amore..) e guardando sia al futuro che al presente (perché noi viviamo nel presente). La lascio con questa mia personale considerazione, maturata in anni di esperienza sul campo scolastico e non solo… Un Paese che vuole riprendersi dall'abisso culturale e antropologico in cui è precipitato dopo decenni di populismo e malgoverno non può che cominciare dall'investire in una sana cultura scientifica, che promuova l'indagine, la correttezza ed il senso critico come strumenti di crescita personale e sociale. Aumentare il monte orario per classe dell'insegnamento delle scienze in TUTTE le scuole (quindi non solo nel Liceo scientifico ad indirizzo delle Scienze Applicate) diventa pertanto un imperativo oserei dire categorico per un paese che pensi seriamente a volersi risollevare dal medioevo culturale in cui annaspa da oramai troppo tempo. La ringrazio di cuore per la pazienza e l’attenzione che ha avuto nel leggere questa mia “rapida” lettera, e restando a sua disposizione Le faccio i miei più sentiti auguri affinché possa essere sempre guidata nel suo lavoro da una visione globale ed umana che metta al centro di tutto lo sviluppo della persona e le opportunità che questo paese dovrà essere in grado di offrirle. |