Disabilità e Cittadinanza

di Alfonso Amoroso, Educazione & Scuola 7.6.2013

La sentenza emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio del 4 giugno 2013 N. 05568/2013 REG.PROV.COLL., N. 05332/2011 REG.RIC, assume un importanza degna di essere presa in considerazione.

La storia che ha scaturito questa sentenza dimostra ancora una volta di quanto può essere grande il cuore umano e piccolo il motore celebrale delle istituzioni

Questa ragazza che chiameremo, come i suoi amici Jessica, con una grave disabilità cognitiva veniva data in affidamento ad una signora che con amore ricostruiva alla ragazza un tessuto sociale ed umano che alla stessa era mancato nell’infanzia. Infanzia difficile di questa ragazza, nata a Roma, che aveva frequentato solo le scuole e le istituzioni di questo paese, che però per questioni ottuse e non comprensibili non era cittadina italiana.

Scrivono i Giudici “La ragazza, nata a Roma da genitori bosniaci da sempre residenti in Italia, ha frequentato e frequenta le scuole italiane, comprende – pur non potendo parlare – la lingua italiana e si considera, nonostante la sua grave disabilità, una cittadina italiana.”

Ma la domanda per ottenere la cittadinanza veniva rigettata dal Ministero in quanto la stessa non aveva potuto firmare la domanda ed inoltre “in quanto la disabile non sarebbe in grado di manifestare la propria volontà di diventare cittadina italiana.”

Tradotto in burocratese non sai scrivere non sai parlare e pertanto non puoi diventare cittadino

La sentenza, anche in questo caso, in un paese, dove la magistratura è diventato l’unico difensore dei diritti dei cittadini tutti, ha fatto chiarezza e giustizia censurando il comportamento discriminatorio ed illegittimo del ministero

Ma in riferimento ai principi costituzionali ed internazionali ha sancito un obbligo da parte della P.A.  dicono i Giudici:

“Ritiene il collegio che la carenza del linguaggio verbale non può essere motivo per ritenere una persona incapace di manifestare la propria volontà né per sostenere che essa non possa in altro modo dimostrare di quanto meno comprendere la lingua italiana.

Infatti, la capacità di Jessica di comprendere la lingua italiana, pur senza sapersi esprimere, può– con le opportune cautele e gli adeguati strumenti – essere valutata, con l’ausilio di personale specializzato, ad esempio rivolgendole semplici ordini e verificando se essi vengono eseguiti, o comunque osservando le sue reazioni alle frasi che si pronunciano in lingua italiana.

Più arduo è invece certamente il procedimento di accertamento della volontà della disabile di diventare cittadina italiana alla luce delle sue limitazioni espressive e cognitive. Anche in questo caso, tuttavia, prima di giungere alla conclusione della impossibilità per la disabile di manifestare una tale volontà, l’amministrazione avrebbe dovuto valutare in concreto, all’esito di un accertamento approfondito e condotto con l’ausilio di personale specializzato, se una tale impossibilità effettivamente sussista, pur non essendo stata la disabile privata giuridicamente della capacità di agire. Nell’ambito di tali accertamenti potranno, eventualmente, essere presi in esame anche elementi indiziari, quali la permanenza in Italia, la comprensione della lingua e della cultura italiana, lo stile di vita, ecc.

Non risulta, invece, che tale istruttoria sia stata effettuata in quanto l’amministrazione – come si è detto – si è limitata al dato della impossibilità della disabile di sottoscrivere l’istanza e di esprimersi nella lingua italiana.

Letta questa sentenza non posso altro che aggiungere benvenuta tra noi Jessica e grazie per averci dato questa lezione di vita.