Era salita agli onori della
cronaca nazionale al tempo dello
scontro sulle 24 ore. Aveva
fatto capolino nel match
televisivo Bersani-Renzi. Aveva
indispettito Monti, che contava
di prelevare quei 700 milioni di
euro dal lavoro supplementare
gratuito dei docenti per
risanare i conti pubblici. Poi
la Scuola è scomparsa dal
dibattito politico. Tutti ne
proclamano la “centralità”. Ma
nessuno entra nel merito, se non
per scandire qualche slogan,
spesso un po’ vecchiotto.
C’è da scommettere però che il
milione di lavoratori del
settore, docenti in particolare,
reduci dalle batoste degli
ultimi anni, nella veste di
elettori staranno ben attenti
sul dove mettere la crocetta.
Troppe le promesse di
“valorizzazione” finite nel
bidone.
L’attuale Offerta Politica
sembra confezionata su misura di
elettore, specialmente quello
incerto. Riguardo
all’Istruzione, “rilanciare” ed
“investire” sono le parole
magiche. Qualità, efficienza,
valutazione e merito sono le
tematiche più trendy, a cui si
aggiungono produttività e
flessibilità. Si glissa invece
sulle risorse. Logoro appare
ormai il discorso della scuola
più “moderna ed europea”.
COSA CI CHIEDE E NON CI CHIEDE
L’EUROPA
Forse vale la pena di ricordare
cosa ci chiede davvero l’Europa.
Le priorità strategiche sono
delineate nella comunicazione
della Commissione europea
“Ripensare l'istruzione:
investire nelle abilità in vista
di migliori risultati
socioeconomici” del 20/11/2012.
In sintesi:
–
Investire nell'istruzione e
nella formazione per sviluppare
le abilità necessarie alla
crescita e alla competitività.
–
Non ridurre la spesa, ma
spendere meglio, in maniera più
mirata ed efficiente, anche
mettendo a punto dei modelli di
partenariato e di partecipazione
ai costi (per esempio,
coinvolgendo le imprese nel
settore tecnico professionale).
–
Sviluppare una Istruzione e
Formazione Professionale di
eccellenza, in particolare i
sistemi di formazione duale per
agevolare l'occupazione
giovanile.
–
Valutare e certificare i
“risultati di apprendimento” per
sostenere la mobilità.
–
Conoscere più lingue (lingua
materna più altre due lingue)
–
Sfruttare al meglio il
potenziale delle Tic, per
rendere più efficace
l'apprendimento e ridurre le
barriere all'istruzione, in
particolare quelle d'ordine
sociale.
–
Rivedere e rafforzare il profilo
di tutte le professioni
dell’insegnamento: insegnanti di
ogni livello, dirigenti
scolastici e formatori degli
insegnanti.
–
Dare un deciso sostegno allo
sviluppo professionale continuo
degli insegnanti.
Quello che non ci chiede
l’Europa è di ridurre di un anno
il percorso degli studi. I 27
Paesi Ue si dividono infatti
abbastanza equamente tra quelli
che terminano il percorso
scolastico a 18 anni (13 Paesi,
tra cui Spagna e Francia) e
quelli che lo terminano a 19
anni (15 Stati, tra cui Italia,
Germania, Danimarca). Finlandia
e Romania offrono due opzioni,
dipende se si continua il ciclo
di studi.
L’ATTUALE OFFERTA POLITICA PER
LA SCUOLA
Il
primo a rilanciare “Una scuola
dove si impara davvero” è stato
Matteo
Renzi. Il suo
programma fa leva su merito e
valutazione, sia per le scuole
sia per i docenti, secondo un
modello che alla fine risulta
molto simile a quello da anni
proposto da Valentina Aprea del
Pdl: “Gli istituti scolastici
devono godere di un'ampia
autonomia, anche riguardo alla
selezione del personale
didattico e amministrativo, con
una piena responsabilizzazione
dei rispettivi vertici e il
corrispondente pieno recupero da
parte loro delle prerogative
programmatorie e dirigenziali
necessarie”. Altri punti
riguardano la valutazione degli
istituti scolastici attraverso
il completamento del nuovo
Sistema di Valutazione, centrato
sull’azione di Invalsi e Indire,
e la valutazione e
incentivazione degli insegnanti,
attivando in ciascun istituto
scolastico un meccanismo
finalizzato all’attribuzione di
un premio economico annuale ai
migliori. Un programma che
rileggiamo quasi identico
nell’Agenda Monti. C’è chi dice
infatti che abbiano in comune lo
stesso maître à penser ed
estensore del testo.
Quanto a
Pier Luigi Bersani,
a parole si è dimostrato
sensibile al tema di ridare
dignità alla scuola e a chi ci
lavora. “La riforma -ha detto-
deve partire dalla
considerazione del ruolo, della
dignità, dell’importanza degli
insegnanti”, ma ha aggiunto
anche: “miracoli non ne prometto
ma mi impegno”.
Nell’intervento del 30/11/2012
“Non c’è democrazia senza
istruzione”, reperibile in vari
siti internet, Bersani aveva
rilanciato le proposte
“storiche” del Pd: dall’organico
funzionale (senza dire però con
quali risorse), al tempo pieno e
modulo di 30 ore con le
compresenze nella primaria, alla
lotta alla dispersione
scolastica, al piano
straordinario per l'edilizia
scolastica. Senza trascurare il
rilancio dell’istruzione e
formazione tecnica e
professionale, per finire con le
“Scuole aperte tutto il giorno”,
una idea molto simile al centro
civico e ludico di Profumo,
anche qui senza specificare con
che mezzi. Avendo ricevuto più
critiche che consensi, il leader
del Pd attualmente ha scelto
alla voce “Sapere”una proposta
molto più generica, limitandosi
all’enunciazione di principio
che è necessario “avviare
un’opera di ricostruzione vera e
propria”. “Garantiremo processi
di riqualificazione e di rigore
della spesa, avendo come
riferimento il grado di
preparazione degli studenti e il
raggiungimento degli obiettivi
formativi”. Seguono altre vaghe
indicazioni circa l’impegno per
un piano straordinario contro la
dispersione scolastica, misure
operative per il diritto allo
studio e un investimento sulla
ricerca.
Anche il Movimento 5 stelle di
Beppe
Grillo dedica alla
Scuola una pagina in 13 punti
del suo programma politico. Si
va dall’abolizione della legge
Gelmini ad un grande impulso
alla diffusione di internet
nelle scuole, all’insegnamento
obbligatorio della lingua
inglese fin dall'asilo,
all’abolizione del valore legale
dei titoli di studio. Altri
punti riguardano l’università:
valutazione dei docenti
universitari da parte degli
studenti, investimenti nella
ricerca, integrazione
università/aziende, sviluppo di
strutture di accoglienza per gli
studenti. È detto papale papale
che le risorse finanziarie dello
Stato saranno erogate solo alla
scuola pubblica.
Nel sito di Sel di
Nichi
Vendola, troviamo un
corposo “Quaderno di scuola” di
102 pagine, che comprendono
università e ricerca, scuola,
politiche giovanili. Per la
scuola, viene presentata “una
proposta di revisione
complessiva”, pur nella
consapevolezza che servono
ulteriori riflessioni aperte al
personale e alla società. In
sintesi, viene proposto un
percorso scolastico dai 5 ai 18
anni, con un primo ciclo di
sette anni e un secondo ciclo di
cinque anni, con progressivo
innalzamento dell’obbligo di
istruzione a 18 anni. Qualunque
percorso di formazione
professionale deve essere
spostato successivamente alla
frequenza del percorso di
istruzione obbligatoria e va
eliminata la possibilità di
espletare l’ultimo anno
dell’obbligo nell’apprendistato.
Una proposta questa che appare
in controtendenza sia rispetto a
quanto è stato fatto finora, da
Fioroni in poi, sia alle linee
strategiche della Ue.
Anche Italia Futura di
Montezemolo ha annunciato di
voler “rimettere la Scuola al
primo posto”. Intanto, il 24
dicembre, è stata pubblicata
l’Agenda di
Mario Monti. “Bisogna
prendere l’istruzione sul
serio”, così si intitola il
relativo paragrafo, che enuncia
obiettivi in linea con la
strategia di Lisbona 2020.
Inoltre, bisogna “investire in
capitale umano”, puntando su
autonomia e responsabilità come
principi fondanti per un nuovo
modello organizzativo,
completare e rafforzare il
sistema di valutazione centrato
su Invalsi e Indire, inserire
con gradualità meccanismi di
incentivazione dei dirigenti
scolastici e degli insegnanti,
attraverso un premio economico
annuale agli insegnanti che
hanno raggiunto i migliori
risultati.
Questo aspetto in particolare
rappresenta una novità (nello
schema di Regolamento del
Sistema nazionale di
valutazione, approvato dal
Consiglio dei ministri del 24
agosto scorso, non se ne parla),
o meglio un ritorno al passato
di Gelmini-Brunetta, quand’era
in voga parlare di performance e
premialità selettiva. “Il merito
e la produttività dovranno
essere gli elementi essenziali
per la valutazione del lavoro
svolto da tutti i dipendenti
pubblici e per la parametrazione
delle pubbliche retribuzioni”,
così sta scritto in un altro
punto dell’Agenda.
Monti è molto prudente sul dove
trovare le risorse da investire:
“Man mano che si riduce il costo
del debito pubblico e si
eliminano spese inutili,
possiamo creare nuovi spazi per
investimenti nell’istruzione”.
E
come la mettiamo con le
pensioni? Gli insegnanti
italiani sono fra i più vecchi
d’Europa e la riforma li porta a
67 anni, in condizioni
lavorative che non sono più
quelle di una volta. Secondo
Monti “la riforma delle pensioni
ha dato al Paese il sistema più
sostenibile e avanzato in
Europa”. Nessuna marcia
indietro. Al massimo,
“dovrebbero” essere consolidate
delle misure per
l’“invecchiamento attivo” e
soprattutto i lavoratori saranno
invitati a “meglio pianificare
il loro futuro e i loro risparmi
attraverso la previdenza
complementare”.
DOMANDE IN CERCA DI RISPOSTA
Per i soggetti politici che
volessero misurarsi con la
scuola “reale” per rendere
davvero “centrale” istruzione,
formazione, educazione,
suggeriamo alcune domande:
1)
Quale scuola vogliamo per le
nuove generazioni?
2) Come tornare ad
investire sulla scuola, per
renderla al passo con le sfide
del XXI secolo, e dove reperire
le risorse?
3) Quale docente? Quali
competenze, percorso di
formazione, percorso di
carriera? Quale stato giuridico?
Quale riconoscimento economico?
Quale rivalutazione sociale?
4) Come reclutare
personale docente giovane ed
assicurare il necessario
ricambio generazionale?
5) Come assorbire il
precariato che logora metà vita
professionale dell’aspirante
docente?
6) Come gestire il
Sistema nazionale di
valutazione?
7) Quali proposte per
l’autogoverno delle istituzioni
scolastiche?
8) A chi giova
l’eventuale riduzione di un anno
del percorso di studio e
diplomare i 18enni?
9) Come si colloca la
scuola paritaria rispetto ai
finanziamenti pubblici?
10) Come affrontare il problema
dell’eccessivo innalzamento
dell’età pensionabile rispetto
all’esigenza di rinnovamento e
al lavoro stesso?
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