Quello che gli insegnanti non dicono

Siamo tutti esposti al burnout. E forse lo sono di più le persone che si pongono in una dimensione di ascolto e comunicazione diretta con gli alunni, quelle figure che, oltre ai compiti in classe, portano a casa le “correzioni” e gli oneri di un processo educativo non sempre lineare e gratificante

di Laura Alberico da Education 2.0, 22.1.2013

Il concetto di “casta” è ancora duro a morire, difficile liberarsi dai pregiudizi o riconoscere debolezze che la natura umana inevitabilmente porta con sé e, nonostante le diversità individuali, rende tutti uguali. Se la famiglia come istituzione rivela le sue lacune e fragilità, gli insegnanti, spesso, si barricano dietro al loro compito carico di responsabilità e doveri per mettere in secondo piano le problematiche di una professione che presenta i suoi lati oscuri, rischi che sono forse poco conosciuti e di cui si parla molto poco come se l’argomento fosse un aperto e discutibile riconoscimento di impotenza o incapacità a svolgere le proprie mansioni.

Il “burnout”, riconosciuto come uno stress psicologico continuo, conseguenza dell’esposizione alle provocazioni e atteggiamenti di disturbo ripetuto in ambito scolastico, mette a dura prova l’equilibrio psicofisico determinando un calo della “resilienza” cioè la capacità di affrontare le situazioni negative impegnando le risorse personali per superarle. Siamo tutti esposti a queste criticità e forse lo sono di più le persone che si pongono in una dimensione di ascolto e comunicazione diretta con gli alunni, quelle figure che, oltre ai compiti in classe, portano a casa le “correzioni” e gli oneri di un processo educativo non sempre lineare e gratificante.

I ragazzi chiedono di esser ascoltati, gridano il loro disagio, manifestano il malessere nelle forme comportamentali più varie, coprendo la loro fragilità interiore con una corazza di sfida, apatia o indifferenza. Quello che gli insegnanti non dicono è spesso racchiuso in un sorriso mancato, una parola o uno sguardo privo di rimproveri che diventa accoglienza e accettazione, il silenzio che spegne incomprensioni e attriti e diventa un rimedio omeopatico con cui poter guarire, senza fretta, i mali dell’animo. Il percorso educativo è un viaggio di scoperta nel quale il disagio e il malessere impongono continui cambiamenti e adattamenti, una crescita che coinvolge tutti e mette, alunni e insegnanti, sullo stesso, identico piano.

Come non essere d’accordo con lo psicanalista Winnicott che afferma: “Esiste solo una vera cura per l’adolescenza… questa consiste nel tempo che passa e nel graduale processo di maturazione”.

 

Commenti

siamo sicuri che di Michela, pubblicato il 25/01/2013

siamo poi così sicuri che il bourn out degli insegnati possa attribuirsi unicamente al rapporto complesso con gli alunni e non già alle peggiorate condizioni di lavoro, ad orari al limite della sopportabilità, a rapporti deteriorati con i colleghi con i quali si contendono piccoli spazi di vivibilità, al rarefarsi del rapporto con i Dirigenti, sempre più distanti a causa delle reggenze e dei nuovi oneri? Senza contare la perdita di status di credibilità e ruolo sociale cui sono stati sottoposti in questi anni a causa di campagne denigratorie intraprese da organi di stampa, ma anche da quelle politiche scolastiche non intenzionate a valorizzare la figura dell'insegnate per giustificare tagli a organici e risorse. Insomma: diciamola tutta!!!!

 

C di cyberpanc, pubblicato il 25/01/2013

Il processo di maturazione dell'adolescente non è però (sto commentando la frase di Winnicott) equiparabile a quello di una mela: non basta il tempo che passa. Il graduale processo di maturazione nasce anche dal confronto con adulti che sappiano mostrarti il senso di quello che fai, oltre che darti informazioni (utili fino a un certo punto).

Se comprendi perché vale la pena impegnarti nelle cose che fai allora tutte le tue energie sono ben indirizzate. La domanda di senso, molto spesso, è quella che spinge molti adolescenti a comportarsi male, fuori dalle righe: si sentono persi in un mondo di adulti che non vogliono crescere e cercano negli insegnanti dei punti di riferimento. Per trovarli però devono mettere alla prova gli insegnanti, vedere fino a che punto l'adulto che hanno davanti regge alle difficoltà. Se l'adulto dimostra di tenere salda la barra di "navigazione" allora si fideranno, perché avranno trovato un punto di riferimento, una persona che nella difficoltà non li lascierà a se stessi.

Questo, per noi insegnanti, significa un grandissimo lavoro su noi stessi, per scoprire i nostri punti deboli e le nostre potenzialità. Significa anche mostrare ai ragazzi il nostro lato più autentico, responsabile. Costi quel che costi. L'insegnamento è una grande palestra e molte volte si trasforma in un compito sfibrante: troppe le sollecitazioni e i problemi da affrontare. Fondamentale, per me, a questo punto, è il tessuto di relazioni umane e professionali all'interno della scuola e all'esterno (in famiglia, nella cerchia delle amicizie). Il sostegno reciproco può fare miracoli.