Facili costumi

Scuola, perchè non creare un sistema
di valutazione veramente meritocratico?

Maria Corbi La Stampa, 20.1.2013

E’ stato un anno difficile per la scuola pubblica, con professori e studenti in piazza a reclamare quello che è un diritto fondante di uno stato democratico: il diritto allo studio. A uno studio che permetta a tutti di sviluppare potenzialità , conoscenza, capacità. E adesso che è arrivato gennaio, chi deve fare per i propri figli la scelta di un liceo ha davanti mille angosce, mille dubbi. La conversazione tra mamme, tra padri, che devono scegliere il liceo rivela non solo la paura di non avere un’istruzione pubblica all’altezza ma anche l’angoscia di non essere bene informati. Perché le notizie sulle scuole, volano clandestine nei passa parola, non esiste un luogo di raccolta di informazioni adeguato e chiaro. E non ci sono ancora dati chiari che ti possano fare capire, come nel Regno Unito per esempio, il livello di una scuola attraverso i risultati dei propri studenti. Perché in Italia, a differenza di altri paesi, non esistono voti che si possano paragonare. Perché alcune scuole, alcuni professori si fanno un vanto di tenere i voti bassi, altri sono più generosi. Alcune scuole sono più facili, altre meno. E alla fine sono gli Invalsi, uguali per tutti, possono essere un terreno dove paragonare studenti e professori. Ma non bastano. E quando un ragazzo si diploma, capita che il voto di maturità non corrisponda spesso alla reale preparazione. Nessuno valuterà mai la sua scuola di provenienza, ma solo il suo voto. Così che le scuole più severe, spesso le più buone, sfornano ragazzi svantaggiati perché valutati più severamente. E quel numero sulla carta serve a entrare nelle Università in Italia e all’Estero. Se un ragazzo, per esempio, volesse entrare in una quotata università britannica dovrà ottenere un voto di maturità alto. Cosa più facile da ottenere in una scuola <di manica larga> che non in uno dei licei di tradizione. Più facile al sud che al nord. Più facile in un liceo linguistico o delle scienze umane, che in un classico.

E allora se è vero che i giochi della vita si iniziano a fare dall’Università, e dal prestigio di quella che ti accoglie, perché non pensare di mettere tutti allo stesso livello? Facendo in Italia, per esempio, quello che fanno in Gran Bretagna e che iniziano a fare in tutto il mondo con esami uguali per tutti che vengono corretti da commissioni centrali che nulla hanno a che vedere con le scuole. E che soprattutto non conoscono i ragazzi. In tutto il mondo sta crescendo l’International Baccalaureate, una maturità che si gioca sugli ultimi due anni di liceo (terzo e quattro se il ciclo è di quattro anni, quarto e quinto se il ciclo è di cinque anni). Anche in Italia si potrebbe, basterebbe permettere ai ragazzi che lo vogliano di fare gli ultimi due anni con questo programma. Gli esami verranno poi corretti a Ginevra, sede dell’IBO, e il confronto a questo punto non solo diventa reale ma anche internazionale. Perché la concorrenza non sono solo i compagni di istituto ma tutti i ragazzi del mondo che sostengono nello stesso giorno lo stesso esame. E con questo metodo anche un’università che vuole scegliere un ragazzo ha dei parametri certamente più obiettivi che non un voto di maturità che non si sa bene come si sia formato.

Ma la scuola in Italia è un argomento buono solo quando si deve tagliare. Nessuno pensa a renderla più moderna, internazionale, competitiva.