Telefonini, registratori e diffide per difendersi C’è il preside-padrone che grida e minaccia; che usa comportamenti da mobbing; che utilizza per sé fuori della scuola il personale Ata durante l’orario di servizio; che colpisce disciplinarmente chi gli contesta comportamenti illegittimi. Come tutelarsi? inviato da Polibio, 11.1.2013 Polibio riferisce che c’è il preside-padrone che grida e utilizza termini minacciosi e scurrili; che pratica comportamenti riconducibili a mobbing; che utilizza per sue faccende personali fuori della scuola il personale Ata durante l’orario di servizio; che invece di essere presente a scuola è altrove per aggiungere vantaggi aggiuntivi allo stipendio e ai benefit; che grida in pubblico e colpisce anche disciplinarmente chi “osa” contestargli e segnalargli comportamenti scorretti e illegittimi. Ecco come tutelarsi. Oggi è più facile, rispetto a dieci anni e magari a cinque anni fa, tutelarsi, utilizzando i telefoni cellulari, i registratori e la diffida. Quest’ultima personalmente scritta, sottoscritta e inviata al dirigente scolastico o, sempre circostanziate e puntualmente descritte nella premessa le condotte tenute nei propri confronti e oggetto della diffida, inviata al dirigente scolastico, come “atto di diffida stragiudiziale”, dall’avvocato al quale è stato conferito l’incarico di redigere e di inviare la formale diffida “a voler rimuovere tutte le condotte descritte”. Peraltro, con l’invito alla chiesta rimozione a mezzo (per esempio, ma è competenza del legale di fiducia scegliere il mezzo e invitare ad attuarlo il dirigente scolastico al quale la formale diffida è stata inviata) “di pubblica diffusione di chiari e inequivocabili atti di segno opposto finalmente diretti alla tutela della dignità personale” della/del propria/o cliente. Al contempo, “prendendo le doverose distanze dagli illeciti comportamenti denunciati”, eventualmente anche “in capo a terzi”, nonché “garantendo per il futuro ciò non abbia a ripetersi e non abbiano ulteriormente a consumarsi” nei confronti della persona da lui difesa illeciti comportamenti in assenza, se “in capo a terzi”, di immediata e pubblica reprimenda dell’autore o degli autori.
Ormai è da parecchi
anni che Polibio, in molte circostanze caratterizzate da
aggressività verbali e da prepotenze messe in atto dai
presidi-padroni nei confronti di uno o di più docenti o del
personale Ata nelle diverse funzioni, evidenzia la necessità di
utilizzare il registratore. Peraltro, già da lui messo in atto
ripetutamente, così come hanno fatto, con successo, coloro che a lui
si sono rivolti per non restare “vittime” della prepotenza, degli
arbitri e dei comportamenti irriguardosi e minacciosi di qualche
preside-padrone. Il cui agire sembrerebbe quello di chi è affetto e
afflitto da disturbi mentali, che si comporta da mobber (“un
perverso narcisista con il bisogno di soddisfare i propri bisogni di
successo a spese di altri o attraverso la sofferenza inflitta a
qualcun altro”; persona particolarmente aggressiva e prepotente, sul
piano verbale ma con qualche caso di comportamento materiale, che
avendo provato con successo qualsiasi forma di violenza, tenta di
ripeterla infinite volte) e pertanto è la causa del mobbing con la
sua personalità disturbata. Il mobbing viene classificato secondo tre tipologie: quello “strategico” corrisponde “a un preciso disegno di esclusione di un lavoratore da parte di chi … con tale azione premeditata e programmata intende realizzare un ridimensionamento delle attività di un determinato lavoratore e il suo allontanamento”; quello “emozionale” o “relazionale” deriva “da un’alterazione delle relazioni interpersonali sia di tipo gerarchico che tra colleghi”; quello “non intenzionale” va fatto risalire a “una nicchia di confronto che esorbita dalla dimensione normale del conflitto interpersonale sul luogo di lavoro e viene esercitata da un superiore o da un pari grado al fine di tutelare la propria posizione gerarchica giudicata in pericolo”. Le tre tipologie vengono distinte in “verticale” (nel caso in cui il mobbing venga esercitato da un superiore gerarchico) e “orizzontale” (nel caso in cui la persona è vittima dei suoi colleghi). Per quanto concerne il mobbing, cfr., di Daniele Ranieri (con prefazione di Emanuela Fattorini e introduzione di Edoardo Monaco), “Il lavoro molesto. Il mobbing: cos’è e come prevenirlo” (Ediesse – Materiali). Appare alquanto significativo il fatto che la parola mobbing deriva dal verbo inglese “to mob”, che trae origine da un’espressione latina: “mobile vulgus”, “cioè gentaglia, gruppi di persone meritevoli di disprezzo”, a quel tempo “usato come insulto verso la popolazione povera e ignorante”, mentre oggi si tratta di qualcuno che da solo o in piccolo gruppo, gentaglia meritevole di disprezzo, incute timore, soggezione, minaccia.
L’acquisizione delle
prove dell’essere stati/e vittime delle prepotenze altrui, nel caso
di specie di un preside-padrone, è assolutamente necessaria, per il
semplice fatto, di pura logica, che la domanda che si porrà il
magistrato giudicante, assolutamente legittima e corretta, è quella
del perché, dato che le prepotenze e il disagio psicologico che ne è
stato e ne è conseguenza erano iniziate da parecchio e si erano
ripetute nel tempo, il ricorrente che le ha subite non ha attivato
gli strumenti e i mezzi per tutelarsi, per proteggersi, per
difendersi.
Pertanto, le lettere
personale di diffida e gli atti di diffida stragiudiziale notificati
(per raccomandata, ma anche a mezzo fax) dal proprio legale sono
necessari e assolutamente importanti. E sono altrettanto importanti
e fondamentali, addirittura inconfutabili (e prova che potrebbe non
avere bisogno di nessuna testimonianza verbale o scritta), le
registrazioni (con o senza filmato) effettuate con telefono
cellulare o con registratore, naturalmente garantendo il diritto
alla privacy per quanto concerne le persone presenti che non hanno
partecipato alla discussione, ma che in seguito potranno essere
chiamate nella qualità di testimoni durante la fase processuale, sia
civile, sia penale.
I contenuti del
colloquio possono essere immediatamente resi pubblici da chi ha
effettuato la registrazione, e peraltro possono essere utilizzati
nelle diffide e negli atti di diffida stragiudiziale. Oppure possono
essere tenuti riservati fino al momento di produrli, insieme alla
perizia tecnica di trascrizione, in sede di causa civile e/o penale.
E in qualche caso risulta una vera sorpresa, soprattutto se la parte
avversa ha dichiarato, falsamente, per esempio, di non avere mai
rivolto ingiurie e/o minacce nei confronti della persona che lo
aveva querelato per le ingiurie e/o per le minacce profferite dal
querelato e dallo stesso querelato rivolte al querelante.
Una sorpresa ancora più
rilevante se qualcuno, davanti al giudice, in sede di
interrogatorio, aveva dichiarato, dopo aver giurato che quanto
avrebbe detto rispondeva a verità, consapevole delle responsabilità
che assumeva se avesse testimoniato il falso e delle conseguenze che
in tal caso sarebbero ricadute su di lui, che non c’erano state né
ingiurie, né minacce del querelato nei confronti del querelante. Il
quale, conseguentemente, inchioderebbe alle responsabilità, penali e
civili, il testimone e il querelato, con la consegna in sede
dibattimentale, al giudice, della perizia tecnica di trascrizione e
del corrispondente nastro registrato ovvero dell’apparecchio
contenente la registrazione delle ingiurie e/o delle minacce a lui
rivolte, e da lui subite, dal querelato.
Polibio è certo che una
tale sorpresa, riguardante un ambito scolastico, è in corso di
svolgimento. E un’altra sorpresa potrebbe arrivare dalla Puglia,
dove un preside-padrone – nell’esistenza, oltre che di documenti
inequivocabili, di registrazioni di “colloqui”, effettuate da chi
aveva interesse a farle a sua tutela, col d.s. e anche con altre
persone – risulterebbe responsabile di vessazioni, di sanzioni
illegittime, di comportamenti offensivi nei confronti delle
insegnanti, di aggressioni urlando e sbraitando, di strattonate e di
spinte con cacciata dal Collegio dei docenti di qualche insegnante,
di minacce di provvedimenti disciplinari anche nei confronti del
personale Ata.
Registrazioni e
documenti sono importanti, anche per dimostrare l’acquisizione di
cariche “in forza” delle quali c’è stato chi ha operato da
incompatibile, e pertanto niente affatto legittimato da quella
“copertura” che è propria – tuttavia giammai da maleducato e dalle
espressioni fortemente offensive, com’è anche accaduto da parte di
qualcuno che ha agito a briglia sciolta nei confronti di centinaia
di migliaia di donne insegnanti, di tutti gli insegnanti (che
durante l’estate, a suo dire, svolgerebbero due o tre lavori), nei
confronti dei sindacati e del Miur, di direttori generali
dell’Ufficio scolastico regionale Maria in Sicilia, in Puglia, in
Campania) – dei dirigenti sindacali, legittimamente eletti, durante
il confronto con la parte pubblica e nelle comunicazione scritte in
termini di rivendicazioni dei diritti dei lavoratori.
Pertanto, oltre che di
fronte alle decisioni univoche della magistratura, e comunque di
fronte a irregolarità accertate da ispettori tecnici ai quali è
stato conferito l’incarico di provvedere, appare legittimo applicare
nei confronti del preside-padrone – che grida e minaccia, che
pratica comportamenti da mobbing, che utilizza per sé fuori della
scuola il personale Ata durante l’orario di servizio, che colpisce
disciplinarmente chi gli contesta comportamenti scorretti e
illegittimi, che ha esorbitato nelle espressioni offensive,
gravemente offensive e caratterizzate da espressioni comunque
ingiustificabili – il codice disciplinare, con apertura di
procedimento disciplinare e, se dai comportamenti tenuti non
emergono idonei e sufficienti elementi che possano escludere la
responsabilità, l’irrogazione della sanzione disciplinare. E se ha
causato un danno economico allo Stato, è bene che restituisca quanto
è venuto a costare il suo comportamento; per esempio, l’illegittimo
allontanarsi dalla scuola di titolarità della funzione di dirigente
scolastico, l’utilizzazione per scopi personali, in ambiente
esterno, di personale della scuola durante l’orario di servizio
oppure di materiale appartenente alla scuola (buste, francobolli,
ecc.), ma anche il comportamento nei confronti di dipendenti ai
quali è stato causato danno patrimoniale e non patrimoniale.
Polibio lo ribadisce: i
telefonini, le registrazioni e le diffide sono necessari per
difendersi dalle offese e dalle violenze dei presidi-padroni.
D’altra parte, il
dirigente scolastico è obbligato alla trasparenza. Conseguentemente
deve utilizzare il badge, così da rendere pubblici i tempi del suo
servizio all’interno della scuola e, a seguito di convocazioni in
sedi ufficiali, all’esterno di essa. Così da evitare che durante le
attività didattiche possano verificarsi assenze immotivate (e
pertanto arbitrarie) e ingiustificabili presenze altrove (magari in
altra scuola per “concordare”, con altro/a dirigente scolastico/a,
attività dalle quali ricavare “ulteriori” guadagni; cosicché è il
caso di accertare gli effettivi e complessivi introiti economici
annuali dei dirigenti scolastici, soprattutto di alcuni e ben
conosciuti dirigenti scolastici).
Polibio ribadisce ciò
che ha più volte evidenziato: i presidi-padroni – dai comportamenti
riconducibili a mobbing, verbalmente (e non soltanto verbalmente)
violenti; dai termini scurrili e minacciosi nei confronti dei
docenti e del personale Ata; dalle vendette nei confronti di chi ha
“osato” contestargli e segnalargli comportamenti scorretti e
illegittimi; dalle grida per intimorire e dagli arbitrari e violenti
allontanamenti dal Collegio dei docenti di chi legittimamente pone
domande per ottenere chiarimenti e lui (il d.s.) non vuole adempiere
al suo dovere; dagli arbitrari provvedimenti disciplinari
addirittura “a catena” uno dopo l’altro; dalla costruzione di
“progetti” finalizzati addirittura al licenziamento di chi ha osato
dirgli (mentre lui grida e minaccia) che nessuna unità del personale
Ata può essere da lui usata durante l’orario d’ufficio per
sbrigargli faccende private – sono causa (e quindi da rimuovere,
anche con l’attivazione di procedimenti disciplinari e con
conseguenti provvedimenti disciplinari) del danno d’immagine del
quale sono vittime indirette i moltissimi dirigenti scolastici che
adempiono con competenza, con puntualità, con collaborazione e con
rispetto verso tutti la loro funzione.
Pensiamo a quanto possa
essere grave l’aver proposto e ottenuto dal direttore generale
dell’Ufficio scolastico regionale un decreto di licenziamento senza
preavviso della persona, certamente incolpevole (come la stessa
persona sarà in grado di dimostrare, soprattutto se dispone di
specifiche registrazione legittimamente realizzate, relative a
colloqui con il dirigente scolastico e con altre persone concernenti
le “accuse” nei suoi confronti), che non era stata disposta a
tollerare le irregolarità e gli illeciti commessi. E non si riesce a
comprendere perché da parte di chi “deve” essere competente viene
firmato “a occhi chiusi” quel decreto in violazione del d.lgs.
150/2009, e non soltanto perché, nella terza pagina del decreto del
direttore generale dell’Usr, prima del termine “decreta” è scritto,
a proposito del caso del quale si trattava, che “ricorre la
fattispecie del licenziamento senza preavviso previsto dall’art. 55
quater, del d.lgs., come introdotto dall’art. 69 del d.leg. n.
15/2009”). Sì, hai letto bene: “15/2009” invece di “150/2009”. Che
comunque non poteva essere applicato, perché i fatti di cui al
procedimento disciplinare sarebbero stati commessi – ancorché fosse
stato vero ciò che invece era del tutto falso – addirittura molto
prima dell’entrata in vigore (il 15 novembre 2009) della fattispecie
introdotta dall’art. 69 del d.lgs. n. 150/2009”. Le legittime
registrazioni sono determinanti per accertare la verità, e magari
per portare a chi l’illecito ha commesso.
Resta il sospetto – che
sorge spontaneo e che fatica addirittura a ridursi, e anzi trova
linfa documentale per crescere e concretizzarsi – che a trattare la
questione (così anche per le altre?) siano stati personaggi
impreparati e soprattutto superficiali (o anche altro?). Cosicché,
l’Ufficio scolastico regionale farebbe bene ad applicare per sé
stesso il principio dell’autotutela, anche per evitare l’aggravarsi
del danno già notevole causato, riammettendo immediatamente nel
ruolo e nella funzione la persona illegittimamente licenziata senza
preavviso, corrispondendole quanto alla stessa dovuto a decorrere
dalla data del licenziamento, fermo restando quant’altro richiesto
dall’avvocato della ricorrente, oltre che nel ricorso per
l’impugnativa del licenziamento e di ciò che complessivamente è
avvenuto nei confronti della persona licenziata senza preavviso,
nelle competenti sedi giudiziali, a carico di chi ha arbitrariamente
e magari illecitamente agito nei sui confronti, causando danno
patrimoniale e non patrimoniale.
Polibio, comunque,
ricorda a tutti che è uno storiografo, attento alle fonti primarie e
a qualsiasi documento ufficiale, e che non è un giurista. Ma le
fonti primarie (tra le quali le registrazioni, e Polibio si augura
che la Dsga di Foggia abbia a suo tempo provveduto) sono
assolutamente importanti e fondamentali.
D’altra parte, tutti
ormai sappiamo come sia facilmente possibile, da parte di chiunque,
non soltanto installare su un altro computer, soprattutto se si
tratta di un tecnico alquanto esperto (c’è una registrazione nella
quale è indicato chi ha chiesto e per quale computer l’ha chiesto),
una “copia” dell’originale al quale tranquillamente accedere,
all’insaputa di chi ha l’originale, e modificare i dati, così da
incolpare colui o colei a cui si intende causare un danno
addirittura irreparabile. Che può salvarsi dall’aggressione e
dall’intento persecutorio e malevolo se risulti provato ( e qui la
legittima registrazione di colloqui intercorsi è “preziosa”) che
l’installazione è stata fatta, o fatta fare, da colui che
successivamente ha agito, con insano proposito, nei confronti della
persona che l’aveva messo di fronte a irregolarità e a violazioni di
legge; nei confronti della quale persona il prepotente e arrogante
che aveva violato la legge si era allora espresso con grida,
minacce, parole irrepetibili perché oscene, colpevolizzandola di
essersi permessa di rivolgersi a lui come nessuna persona si sarebbe
mai permessa di fare; per esempio, d’avergli evidenziato che lui non
poteva mandare nessuno dei lavoratori Ata della scuola a sbrigargli
altrove faccende personali e d’avere chiesto al lavoratore che era
stato illegittimamente utilizzato se era vero, ricevendone conferma,
che era stato fuori della scuola a “lavorare” per il preside.
Importantissime e
determinanti sono le registrazioni a mezzo di telefoni cellulari e
di registratori. Chi registra deve trovarsi, con lo strumento col
quale sta registrando, nella stanza nella quale o nell’ambiente nel
quale si svolge la conversazione, alla quale partecipano, prendendo
la parola, anche più di due persone, oppure partecipano anche
persone che non prendono la parola. Deve essere presente, perché
costituisce reato penalmente perseguibile nascondere in un qualsiasi
punto lo strumento di registrazione e andarlo a riprendere, essendo
stato sempre e comunque assente, dopo la conclusione del colloquio
che è intercorso tra altre persone. Essendo presente, e partecipante
attivamente, chi intende registrare la conversazione può tenere il
telefonino o il registratore in tasca, non rendendolo evidente a
nessuno dei presenti; oppure può tenere l’uno o l’altro, l’uno e
l’altro naturalmente acceso/i, in mano oppure sul tavolo, su una
sedia. Per registrare il colloquio, è possibile chiamare, dal luogo
della conversazione, col telefonino il numero del telefono fisso con
aggregata segreteria telefonica, precedentemente fornita di un
nastro mignon della durata di 30, 60 120 minuti.
La registrazione
fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante
strumenti di trasmissione (per esempio, una conversazione
telefonica), a opera di un soggetto che sia partecipe, o comunque
sia ammesso ad assistervi, non è riconducibile, quantunque eseguita
clandestinamente, alla nozione di intercettazione, ma costituisce
forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale
l’autore può disporre legittimamente, anche ai fini di prova nel
processo, secondo la disposizione dell’art. 234 cod. proc. pen.,
salvo gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto della
comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla
qualità rivestita dalla persona che vi partecipa” (Corte di
Cassazione, Sezioni unite penali, sentenza n. 36747 del 24.09.2003).
Le registrazioni
fonografiche e in genere ogni altra rappresentazione meccanica di
fatti e cose formano piena prova dei fatti e delle cose
rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne
disconosce la conformità ai fatti e alle cose medesime
(naturalmente, col rischio di aggravante se poi la disconosciuta
conformità dei fatti è altrimenti confermata). La registrazione di
una conversazione telefonica costituisce fonte di prova se colui
contro il quale la registrazione è avvenuta non contesti che la
conversazione sia realmente avvenuta con il tenore risultante nel
nastro (ma alla contestazione subentrano le perizie).
Le diffide
personalmente sottoscritte e gli atti di diffida stragiudiziale da
parte del proprio legale nei confronti del preside-padrone restano
comunque importanti, immediate o meno che siano potrebbe lasciare
nascosta la sorpresa della registrazione, da produrre in giudizio a
tempo debito. Resta da evidenziare che costituisce violazione degli obblighi contrattuali ogni comportamento riconducibile a molestie sessuali, mobbing, discriminazione. Nella comunicazione, per esempio, se il capo limita la possibilità di esprimersi della persona contro cui si parla, se si urla o si rimprovera violentemente, se si è vittime di minacce verbali, se si spargono voci infondate, se si attaccano le posizioni politiche e quelle sindacali, se si dicono parolacce o altre espressioni umilianti, se si fanno minacce di violenza fisica e se si fa violenza fisica per dare una lezione, se si creano danni fisici sul posto di lavoro, ecc. Il lavoratore ha il diritto di essere trattato con dignità e rispetto sul luogo di lavoro (è un diritto di tutti i lavoratori). Denunciare le intimidazioni o ritorsioni subite sul luogo di lavoro derivanti da atti e comportamenti molesti è un diritto sancito per il lavoratore e per la lavoratrice; così sin dall’anno 2000 nel codice di condotta adottato tra il Ministero per le attività produttive e le Organizzazioni sindacali.
Polibio
Polibio informa i suoi lettori che presto sarà attivato il sito
http.//www.polibio.net. Si sta provvedendo a inserire in archivio
tutti gli articoli da lui scritti dal 10 luglio 2010 al 22 dicembre
2012. Nel sito saranno postati, oltre a essere postati nei siti che
attualmente li accolgono, tutti gli articoli personali, di volta in
volta successivi, e quelli di chi, avendo fatta richiesta, ha avuto
il permesso di postarli. |