Una sola riforma: culturale

 da NOW – NotOurWorld, 31.1.2013

T F A. Tre lettere che stanno per Tirocinio Formativo Attivo e che sono diventate l’incubo di migliaia di aspiranti insegnanti.

Per chi ancora non lo sapesse il TFA è il nuovo metodo di formazione e inserimento di insegnanti nella scuola secondaria (inferiore e superiore). Per chi non avesse seguito le cronache degli ultimi mesi in materia, il Tirocinio Formativo Attivo è una delle più colossali prese in giro che il MIUR sia riuscito a inventarsi negli ultimi anni. Vediamo perché.

Per accedervi è necessario fare un concorso pubblico nella propria classe di insegnamento. La selezione è stata effettuate nei mesi scorsi, con una coda di polemiche per via dei soliti quesiti errati e relativo invalidamento delle parti di esame scorrette. Una volta superato il test di ammissione (scritto e orale), si dovrebbe iniziare il TFA.

Le lezioni frontali di didattica sono tenute dalle università e per questo è necessario iscriversi, pagando una tassa che in media si aggira intorno ai 2500€/anno. Non esiste alcun tipo di agevolazione, leggasi borsa di studio, da attribuire in base a criteri di merito e reddito. Il TFA è un’attività che impegna l’aspirante docente full-time, lasciando ben poco spazio per altre attività lavorative. Quindi, il primo enorme problema che sorge è quello di come un tirocinante dovrebbe guadagnarsi da vivere nell’anno di formazione. Il problema rimane a tutt’oggi senza soluzione.

I concorsi per l’accesso al TFA si sono svolti lo scorso autunno, visto che la formazione avrebbe dovuto iniziare a gennaio. Il condizionale è d’obbligo perché in molte regioni è ancora tutto fermo e bloccato da problemi di natura organizzativa. Quindi ci sono persone che hanno pagato 100€ per fare il concorso e altri 2500€ per l’iscrizione all’università che ancora devono vedere partire la loro formazione. Nel frattempo, come si dice in Sicilia, “pititto” (nulla). Tutto ciò senza alcuna garanzia di essere assunti dal sistema scolastico, in pratica si sborsano un sacco di soldi (dopo averne sborsati non pochi per conseguire la laurea) per fare i precari. Tanto valeva mantenere tutto come prima.

Se questo fosse un Paese serio, e non lo è, non avrebbe un sistema scolastico dove per qualche anno non è stata prevista la formazione degli insegnanti (dall’ultimo concorso SSIS al primo TFA) e dove ancora oggi questa naviga nell’incertezza più assoluta. Visto il totale fallimento della prima edizione del Tirocinio Formativo Attivo è molto in forse una sua replica. Questo significa che si sono spesi una montagna di soldi pubblici per non ottenere niente. Come al solito, in Italia, non si riesce a fare una cosa che sia una che abbia un minimo di lungimiranza. Non che sia perfetta, ma migliorabile.

La riforma culturale di questo Paese, la vera riforma che avvierebbe verso un cambiamento radicale (e non finto), deve partire dalla scuola, perché è lì che vengono formati i futuri cittadini, quelli che poi comporranno e voteranno la classe politica e dirigente del futuro.

Nei programmi elettorali dei diversi schieramenti che si presenteranno alle prossime elezioni politiche non vi è l’ombra di un serio progetto di miglioramento e riforma della scuola pubblica. Che deve partire dalla messa a norma degli edifici scolastici. Neanche in quella che sarebbe la forza di più radicale innovamento del nostro Paese, il M5S. Cosa ce ne facciamo delle lavagne elettroniche, gli e-book e le video-conferenze se il solaio cade a pezzi o il docente deve fare due-tre lavori insieme per pagarsi l’affitto?

In questo Paese servono politiche educative concrete, non proclami digitali. In caso contrario, non sorprendiamoci se Balotelli vale 400 mila voti!