Lettera di un docente.

considerazioni dopo la presentazione
dei risultati dell'INVALSI.
Ecco come lavorano

Per esplicito boicottaggio, o per superficialità, una parte degli studenti evidentemente ha risposto a caso ai test. L’Invalsi, nell’elaborare i dati, non ha filtrato quelli palesemente inattendibili.

M.M. ReteScuole, 15.1.2013

Cari/e colleghi/e,

sono stato seriamente impressionato dalla presentazione della “fotografia” Invalsi della nostra scuola, tanto da essere spinto a scrivere questa e-mail. L’idea che il mio liceo debba primeggiare sulle altre scuole è l’ultimo dei miei pensieri, e non ho mai pensato che il primo criterio di soddisfazione di un insegnante stia nel fatto che vi siano o meno dei “100” nelle proprie classi di maturità. Quindi, se scrivo non è certo perché sia stato ferito il mio orgoglio di docente del Lucrezio.

Il fatto è che sono assolutamente convinto che i dati presentati ieri non siano veritieri. La cosa può sembrare del tutto irrilevante se si pensa che – per ora – ciò che ci è stato presentato è solamente un rapporto che l’Invalsi fa a tutte le scuole d’Italia per agevolare il loro processo di autovalutazione, e i dati non vengono quindi pubblicati né danno vita a conseguenze premiali o sanzionatorie. La questione, tuttavia muta se la guardiamo da un’altra prospettiva: l’Invalsi viene propagandato a livello bipartisan come strumento fondamentale della crescita della qualità dell’istruzione, e in questo modo guadagna influenza, tempo e spazio all’interno della vita delle scuole, e allo stesso tempo tratta i dati che produce nel modo che ieri tutti abbiamo potuto riscontrare.

Alcune cose, dalla sommaria visione che ci è stata offerta al collegio, risaltano in modo molto chiaro:

- il Lucrezio avrebbe una percentuale di “somari”, ovvero di studenti che al test si trovano al livello 1, quasi doppia rispetto al resto d’Italia;

- sarebbe peggio del 9,3% rispetto a scuole dalla simile composizione sociale;

- ci sono due classi seconde la cui media di punteggio è rispettivamente 20 e 30% contro una media delle altre classi che va dal 60% all’80% (che apparivano chiaramente nella colonna di cui poi veniva calcolata la media finale, quindi rientravano a far parte della media della scuola;

Avendo potuto misurarmi con testi quali PISA-Ocse 2003, oltre a diversa letteratura sociologica sui rendimenti scolastici nonché inerenti il rapporto tra livelli scolastici e origini sociali, posso dire, intuitivamente, che determinati scarti sono altamente anomali, e che non possono essere attribuiti a livelli d’insegnamento così scadenti da determinare un crollo nell’abilità di risoluzione di un test. Gli scarti sono talmente alti che anche se un insegnante volesse impegnarsi allo stremo per far andar male i propri studenti non potrebbe mai, con tutta la buona volontà del mondo, giungere a produrre simili esiti.

La spiegazione di quei risultati, che posso avanzare in via ipotetica, avendo io scioperato il giorno del test Invalsi dell’anno scorso, credo sia un’altra. Essa ha a che fare con quella regola che nasce assieme alla scienza moderna, con Galileo, che parla delle condizioni di laboratorio necessarie allo svolgimento di qualsiasi esperimento. I fattori che interferiscono con l’attività di misura debbono essere o eliminati oppure essere oggetto di misure specifiche in modo da poterli sottrarre dal risultato della misura sperimentale. Ebbene, io credo proprio che l’Invalsi, nell’elaborare i dati, sia venuto meno a questa semplice regola. Che sia per esplicito boicottaggio, o per superficialità, una parte degli studenti evidentemente ha risposto a caso.

Tutti questi argomenti, nel collegio di ieri, sono già emersi. Bene, ma onestà scientifica vuole che i dati alterati non siano assunti a oggetto di discussione, non possano legittimamente essere presentati in un rapporto che si dichiara scientifico. Quando qualcuno inquina la scena del crimine, le prove non possono essere portate in tribunale.

Personalmente, se la scuola avesse a disposizione i dati grezzi in un database, io sarei disponibile a rifare tutti i calcoli dei punteggi dei test, cercando, per quanto possibile, di eliminare i fattori che alterano i risultati. E credo che, sempre ove ciò fosse possibile, la cosa poi andrebbe resa pubblica.

Ciò che mi motiva è ritengo assolutamente necessaria una critica del sistema dei test, che trova la sua legittimazione in autorità che si autoproclamano scientifiche ma che non lo sono affatto (il che trova molti punti di contatto con ciò che avviene, con conseguenze senz’altro più evidenti, nel mondo dell’economia, con le cosiddette “agenzie di rating”). Da questo punto di vista, il semplice boicottaggio è insufficiente, e, forse anche controproducente. Ci vuole qualcos’altro.

Roma, 15 gennaio 2013


Prof. M.M.