La scuola deve allenare all'imprevisto di Anna Maria De Luca L'Huffington Post, 16.1.2013 La direzione da intraprendere, per dirla con Morin, è "imparare a navigare in un oceano di incertezze fra alcuni arcipelaghi di certezze". Nessuno sa domani che lavoro faranno gli studenti di oggi, in quali dinamiche socio - economiche si troveranno a districarsi, in quale dimensione virtuale o reale vivranno larga parte della loro attività. Ecco dunque che è necessaria oggi, subito, un'educazione ad affrontare l'imprevisto, un allenamento all'acquisizione di competenze trasversali, realmente spendibili in un mondo del lavoro dalle evoluzioni impreviste. L'obiettivo è arrivare a costruire, seguendo questa strada, un'etica capace di spiegare non i sintomi ma le cause dei fenomeni per affrontare, in questa ottica, la grande sfida della diversità, dell'integrazione, dell'inclusione, della lotta alla dispersione. Ma in che modo? Non più solo attraverso lo sviluppo dell'intelligenza linguistica e logica ma puntando anche alle altre forme di intelligenza che la scuola, purtroppo, ha spesso escluso ma che la ricerca, per nostra salvezza, ha riportato in primo piano: Gardner ne ha elencati sette, tra cui l'intelligenza musicale, spaziale, corporeo - cinestetica, interpersonale, intrapersonale, più un'ottava cosiddetta "naturalistica", cioè la capacità di conoscere l'ambiente naturale ed operare con piante ed animali. Sono intelligenze alle quali la scuola ha dedicato poco tempo ma che si sono sviluppate in altri contesti, in altre "agenzie" e che bisogna dunque assolutamente recuperare. E' ora di un cambio di rotta: bisogna includere percorsi di sviluppo di tutte le forme di intelligenza. Ma la scuola da sola ce la può fare? Sì se viene affiancata da un indispensabile intervento coordinato di tutte le istituzioni che vivono nel territorio per sollecitare quell'imparare ad imparare che è la base del life long learning, di quell'apprendimento che continua lungo tutto l'arco della vita. E' questa la dimensione europea del conoscere, già definita a Lisbona nel marzo 2000, dove i governi si sono riuniti per decidere gli itinerari per costruire "l'economia, basata sulla conoscenza, più competitiva e dinamica del mondo". Come? Puntando sul valore dell'intelligenza umana intesa come capitale invisibile capace di rinnovarsi per sostenere le trasformazioni epocali. "Le persone sono la principale risorsa dell'Europa e su di esse devono essere imperniate le politiche dell'Unione", recita il documento di Lisbona mobilitando una serie di risorse che girano su sei messaggi chiave: nuove competenze di base per tutti, maggiori investimenti in risorse umane, innovazione nelle tecniche di insegnamento ed apprendimento, valutazione dei risultati di apprendimento, ripensare l'orientamento. Obiettivi per i quali è stata prevista una proroga di dieci anni e che dovranno essere raggiunti da tutti i Paesi entro il 2020, anche in base alle otto competenze chiave tra le quali la competenza digitale, l'imparare ad imparare, le competenze sociali e civiche, il senso di iniziativa e di imprenditorialità, la comunicazione nella lingua madre e nella lingua straniera, la competenza matematica. Ecco dunque la necessità di spingere i ragazzi verso l'intercultura, la difesa dell'ambiente e del patrimonio artistico, l'attenzione a chi è in difficoltà. Ecco dunque che la scuola è chiamata a sviluppare la dimensione sociale degli studenti e del proprio ruolo, con soluzioni condivise per l'agire comunitario mediante l'attivazione di percorsi di apprendimento che tengano conto dei differenti stili cognitivi e dei bisogni formativi. Una dimensione sociale che si esprime in un bilancio sociale. Io credo molto nella necessità di un bilancio sociale della scuola perché credo che la scuola abbia la responsabilità etica di contribuire alla crescita della società: si cresce solo se si cresce insieme, se si partecipa tutti alla formazione. Per farlo serve un nuovo senso di responsabilità da parte delle istituzioni tutte, sia pubbliche che private, e da parte di ogni singolo cittadino. |