Dematerializzati Claudia Fanti ReteScuole, 19.1.2013 “Dematerializzazione” altra parola “nuova” da aggiungere al nostro straripante dizionario di amenità pseudo moderne: ciò non porta niente di buono alla scuola che vorremmo. No no! Mi sono pure stancata di dire che le tecnologie non hanno colpa, ma gli esseri umani adulti le sfruttano eccome … sì, eccome! Tecnologie e mode sfruttate alla stregua delle immagini dei nudi femminili o alla stregua di quei gadget che vengono distribuiti nelle fiere, e che piacciono tanto agli adulti giocherelloni che poi ne fanno collezione… Dematerializzazione, nativi digitali, education 2.0, smart school, smart city, twittare, digital divide, eBook, iPod, tablet, Lim, cliccare, googlare, taggare…Smile! Io ormai sorrido soltanto ai bambini e alle bambine o ai poveri idioti come me, i quali continuano a chiedersi:
“E adesso?” - iscrizioni on line per famiglie preoccupate di commettere errori e di non venire considerate nelle loro diverse e molteplici differenze di situazioni lavorative e anche affettive. Ho visto uno per uno gli sguardi di un centinaio di genitori dinanzi all’annuncio di tale novità. Ebbene, alcuni erano proprio disarmati e disarmanti: occhi attenti, seri, preoccupati; ho sentito le parole di persone che si vergognano di non avere il pc e internet per iscrivere i figli e ci hanno chiesto con un sussurro come fare a non disturbare la segreteria…come si fa a chiedere ai cittadini di avere ciò che non hanno? Non mi si dica che le segreterie sono a disposizione, perché ciò è una ovvietà. Non è ovvio per nulla invece che le persone debbano sentirsi in imbarazzo per un diritto negato alla privacy delle proprie condizioni! Ma continuiamo col pedante elenco. Pedante, tuttavia, quanto le pretese continue e senza scrupolo di chi ci amministra:
- precariato storico - sostegno insufficiente - aumento di alunni per classe - anticipatari - compresenze quasi inesistenti - orari compressi - edifici simili a vecchi ospedali o ospizi - refettori insufficienti male insonorizzati o totalmente privi di insonorizzazione - pasti esigui (grazie alla crisi economica) - tovagliolini, posate, bicchieri portati da casa - aule contenitore con alunni stipati con meno di un metro quadro a testa - tempo cosiddetto normale (maestro unico o quasi unico, con insegnanti in organico tappa buchi per soddisfare le esigenze di tempi oltre le 22 ore del maestro unico) - voti (con descrittori a lato affinchè le famiglie possano capire qualcosina del livello di apprendimento dei figli) - prove Invalsi - Indicazioni con traguardi prescrittivi - riunioni per definire i curricoli verticali per tutta la scuola a cui si appartiene (quindi addio all’esigenza di programmi nazionali) in previsione della razionalizzazione - comprensivi via via in estensione sul territorio nazionale con centinaia di insegnanti dei diversi ordini di scuola (infanzia, primaria e secondaria di primo grado) con a capo - un unico dirigente e una segreteria “tagliata” - computer obsoleti (quando presenti) - collegamenti internet, quando esistenti, inefficienti - corsi d’inglese a tappeto per formare insegnanti che mai hanno studiato tale lingua e mai hanno frequentato la facoltà di lingue straniere - insegnanti specializzati in lingua straniera ognuno operante su una decina di classi con ore di 50 minuti
Siamo a tal punto da credere ancor più fermamente che in passato che l’unica strada possibile per educare e istruire sia quella di difendere l’infanzia per mezzo di solide relazioni dentro la classe tra compagni, e tra maestre e classe, in un continuo dialogo, racconto, scambio di opinioni e di visioni, potenziando ogni spunto che possa dare agli alunni e alle alunne strumenti per diventare cittadini e cittadine capaci di esprimersi e di sostenere le proprie posizioni. Più volte ho scritto che la narrazione nostra e quella dei bambini li proteggerà, è il “la” da cui partire per ascoltarsi reciprocamente, curarsi le ferite e condividere le gioie. Più che mai in questo momento sono da potenziare la lingua orale e la lettura, più che mai occorre condurre i bambini a un uso consapevole della lingua affinché riescano a uscire da se stessi e dalle loro gabbie emozionali. Più che mai ogni disciplina di studio deve essere affrontata con una precisa attenzione alla lingua e alla sua specificità, materia per materia, e per far questo, più che mai dobbiamo sfruttare la potenza delle parole, dei nessi, dei connettivi, della sintassi. Oggi più di prima, corpo, movimento, pensiero, gioco, musica, disegno, pittura, scienze, matematica, storia…devono richiamarci all’uso della parola che dà voce, all’uso del libro, della filosofia, della fiaba, del racconto, delle illustrazioni, della rappresentazione simbolica, della poesia…E più di prima, proprio mentre vorrebbero che ritornassimo uniche, dovremmo fare in modo che le discipline interagiscano come dovremmo farlo noi, ognuna con il proprio bagaglio di esperienze culturali. E quando qualcuno ci fornirà concreti mezzi e risorse tecnologiche dovrà fidarsi di noi che studieremo ogni strategia per far sì che i piccoli se ne impadroniscano con distacco e consapevolezza senza diventare schiavi degli schermi e delle luminescenze-suggestioni di essi. La dematerializzazione pretesa dalle ultime trovate per risparmiare denaro, rischia di dematerializzarci tutti, di annullare quelle pratiche, faticose ma utilissime, di scambio interpersonale fra le segreterie, la dirigenza e le famiglie. Tutto è ormai virtuale, dalla politica nazionale a quella locale. Gli annunci di risoluzioni epocali, la politica delle belle parole sull’utilità della buona formazione, il longlife learning, la lotta che si dovrebbe fare agli abbandoni e alla dispersione sono appunto annunci e belle parole. La politica vorrebbe forse dematerializzare per non doversi più occupare di quisquilie come i bambini, le maestre, le loro scuole sgarrupate? La scuola sempre più femminilizzata è forse vittima pure essa del femminicidio? |