Scuola, si è toccato il fondo del barile

di Pietro Raboni Il Fatto Quotidiano, 2.2.2013

Per svolgere il concorsone di Profumo, ma la cosa si ripeterà in occasione delle prossime elezioni politiche, la scuola ha chiuso i battenti: tutti a casa, studenti e professori, alla faccia della produttività. Lo Stato ha bisogno delle vostre aule, dei vostri computer, magari costati mesi di discussioni in Consiglio d’Istituto per essere acquistati…

Gli spazi della scuola sono pubblici quando si tratta di utilizzarli a piacimento (elezioni, concorsi..) ma nessuno, poi, che si ricordi di quegli stessi spazi quando si tratta di renderli abitabili e funzionali. La settimana scorsa l’antica caldaia che serve il nostro complesso scolastico ha cominciato a fare le bizze andando in blocco a ripetizione. La spontanea e comprensibilissima reazione degli studenti, che si sono rifiutati di entrare a scuola finché non fosse stata assicurata un’adeguata temperatura, ha portato ad altre due mattinate di non-scuola.

L’indifferenza delle istituzioni verso i problemi concreti della scuola è pari alla protervia con cui poi ne utilizzano e ne occupano gli spazi.

Nella sensazione, che ho provato diverse volte, quella cioè di entrare nel luogo dove lavoro da più di vent’anni e di vedere i miei abituali spazi occupati e preclusi, sta forse una delle chiavi per cercare di comporre la distanza che si è aperta (lasciamo perdere da chi e perché) nella società, nell’opinione pubblica, rispetto alla professionalità (che brutta parola) dei docenti e alla quantificazione dell’orario di lavoro.

Così com’è concepito, lo spazio scolastico, per paradossale che possa sembrare, tende a espellere il personale docente. Se non si è in una classe, “ospitati” dagli studenti, o non si partecipa a qualche attività nei laboratori si può solo passeggiare per i corridoi o andare in bagno o sostare nella quasi sempre minuscola sala-professori, tra un viavai di docenti in continua lotta con gli sportelli degli armadietti.

Chi non abita vicino alla scuola, e credo si tratti della maggior parte dei docenti, spesso è costretto a ritagliarsi un piccolo ufficio nel bar all’angolo (con relative inevitabili consumazioni) o a vagare guardando le vetrine in attesa che si liberi il suo spazio in un’aula.

Ora, se veramente si volesse intervenire per migliorare e intensificare il rapporto tra docenti e alunni (e nel contempo risolvere quella che per un po’, grazie a Monti e Profumo, è sembrata la causa fondamentale della crisi economica italiana, cioè l’orario dei docenti a 18 ore) l’unico modo sarebbe quello di mettere a disposizione dei docenti degli spazi adeguati dove non solo possano svolgere il lavoro che di solito fanno a casa o nel famoso ufficetto al bar ma dove, con una quantificazione precisa, a quel punto, del loro impegno, possano ricevere gli alunni o i genitori, possano organizzare recuperi individuali o preparare materiale didattico.

Una vera riforma della scuola non potrà che partire da un grosso investimento pubblico per riqualificare e rifunzionalizzare gli spazi del sapere.

Ma si può pensare, in un paese che ha il 60% degli edifici scolastici non a norma, che qualcuno si preoccupi, addirittura, degli spazi per i docenti? Si può sperare che un paese, che negli ultimi dieci anni ha operato tagli draconiani alla scuola e che, per tutto il 2013, ancora prevede tagli al fondo d’Istituto (per circa cinquantamila euro a scuola), improvvisamente imbocchi una strada diversa?

La sensazione che circola per i corridoi e le aule scolastiche italiane è che dopo il sistematico attacco distruttivo operato dal Pdl nei confronti della scuola pubblica (e proseguito sostanzialmente dal governo dei “tecnici”) si sia effettivamente toccato il fondo del barile. Una sensazione accompagnata anche da tanta rabbia. Come molti altri settori del paese, anche la scuola, stavolta, è pronta ad esplodere se di nuovo si troverà di fronte a proposte indecenti, a mancati investimenti, a provvedimenti peggiorativi, a finte riforme finalizzate solo al risparmio e alla dequalificazione.