La scuola dell'ignoranza.

di Gabriele Buonaiuto L'Huffington Post, 25.2.2013

E' ormai chiaro che con queste elezioni uscirà dalle urne italiane un governo instabile, fatto più o meno dalle stesse facce di prima, con qualche comico in più e qualche accompagnatrice in meno.

Ciò che mi turba però, più che l'ingovernabilità in sé, è l'assordante silenzio comunicativo, l'ingombrante mancanza di programmi e proclami elettorali del tema più importante in democrazia, la scuola.

Ciò che forma i futuri cittadini, nonché elettori, è una scuola che funzioni non solo formalmente, garantendo a chiunque un diploma, piuttosto che una laurea in scienze dell'effimero, ma che funzioni sostanzialmente, formando cittadini in grado di confrontarsi con un mondo globale che corre a velocità impensabili solo 15 anni fa.

Il nostro punto di forza è l'eccellenza, lo è sempre stato, ma non sembra più essere così, ultimamente. Sempre meno. Non voglio che mi fraintendiate: il successo del made in Italy è ancora tutto basato su prodotti di qualità che battono incontrastati la concorrenza. Basti pensare alla notizia di pochi giorni fa, che il marchio Ferrari è valutato meglio del marchio Apple. Ma ormai l'eccellenza è anche eccezione.

Secondo un sondaggio Ocse, infatti, nel 2012, 4 italiani su 5 non raggiungono un livello di competenza alfanumerica superiore, considerato il livello minimo per potersi orientare nel mondo contemporaneo. Il linguista Tullio De Mauro aveva lanciato segnali di drammatica tensione già lo scorso anno, dalle pagine de Il Messaggero, evidentemente con scarso appeal da parte dei politici.

Uno scenario del genere ce lo si aspetterebbe più da un gigante asiatico culturalmente chiuso, come la Cina, il cui punto di forza sono i grandi numeri. Trecento milioni di lavoratori con istruzione e fascia di reddito medio-alta che hanno a disposizione 1.1 miliardo di manodopera a basso costo, i quali non hanno libero accesso all'informazione mondiale.

Non tanto per la censura, quanto per la totale incomprensione di una seconda lingua. Tutto sommato, un po' come noi, come l'Italia, dove quei 4 italiani su 5 non hanno la capacità di decifrare cosa scriva l' Economist, di comprendere ciò che il mondo dice e pensa di noi.

L'aggravante italiana è che però, laddove in Cina il governo per quanto autoritario è scelto sulla base di criteri quali la competenza, in democrazia serve consapevolezza degli elettori per ottenere lo stesso risultato. Ne consegue che comici e vecchi, non solo anagraficamente, personaggi politici sono sempre lì.

Per questo credo che ciò che urge, e che non si farà, sia una riforma della scuola, prima ancora che dell'università. Una riforma che non tenga presente i mille interessi particolari, ma l'interesse comune dei futuri figli italiani, sacrificando in parte la mia generazione e quella precedente, che purtroppo non hanno avuto questo dono di buon senso da parte dei propri padri.

E' per questo che credo, che al di là del governo che possa costituirsi da questa tornata elettorale, l'Italia sarà di nuovo destinata al confronto su orizzonti temporali brevissimi e limitanti, e non ad eccellere come meriterebbe.

Un po' come dire che non sia prevista nessuna Italia da qui a 20 anni.