Sulla scuola non si può più sbagliare dal CIDI 4.2.2013 Sulla scuola non si può più sbagliare. Questo è il messaggio che vorremmo fosse ben chiaro non solo al nuovo governo, ma a tutto il nuovo Parlamento. Non c’è rilancio possibile per il Paese senza una vera politica per la formazione. Il che impone un’inversione di rotta che rappresenti una netta discontinuità con la politica dei tagli che ha colpito la scuola negli ultimi decenni. Tornare a investire sulla conoscenza è il prerequisito indispensabile per garantire a tutti pari opportunità d’apprendimento e d’inserimento nella società come cittadini attivi.
Per non sbagliare, occorre avere un progetto forte e credibile sulla
scuola e riconoscere che il motore principale del cambiamento è
negli insegnanti. Bisogna ripartire da loro, prepararli
adeguatamente e in modo continuo, e rimotivarli riconoscendo la
centralità del loro ruolo in una società complessa come quella
attuale. L’autonomia
La scuola ha già l’unica riforma veramente indispensabile. Si
tratta della riforma dell’Autonomia, a cui bisogna dare finalmente
piena attuazione, assicurando quelle risorse umane e finanziarie che
permettano di declinarla con responsabilità.
Questo comporta la messa a punto di interventi concreti diretti
prioritariamente a dotare ogni scuola di un organico funzionale,
valido strumento per lo sviluppo delle potenzialità di
organizzazione, ricerca e sperimentazione didattiche della scuola
autonoma.
Una scuola autonoma è una scuola che riflette, ricerca, sperimenta
e che reputa comunque vitale il rapporto con il territorio,
ricercando il dialogo con i vari soggetti, istituzionali e non. Ma affinché un simile obiettivo possa realizzarsi servono interventi incisivi volti a rendere le scuole realmente autonome all’interno del sistema scolastico; bisogna ridefinire gli organi di democrazia interna della scuola in modo che essa possa essere un vero centro civico, capace di utilizzare tutte le risorse territoriali utili per la formazione. Contestualmente tutte le Regioni si devono dotare di norme attuative del nuovo titolo V che ha costituzionalizzato l’autonomia scolastica e che lo Stato faccia chiarezza sulle competenze reciproche rendendo attuabili le normative regionali. Occorre che la scuola non sia più vista dalla politica come un costo, ma come un investimento per lo sviluppo ed il futuro del paese. È quindi necessaria una inversione di tendenza rispetto ai tagli di spesa di cui è stata destinataria nell’ultimo decennio. La valutazione
Riteniamo inoltre che in un quadro diffuso di scuole autonome sia
necessario un sistema nazionale di valutazione efficace, strumento
di crescita della capacità di autovalutazione delle scuole,
indipendente e autonomo. Vale la pena sottolineare che la valutazione non si esaurisce nella rilevazione esterna delle prestazioni; ad essa si affianca quella delle singole Istituzioni scolastiche, decisiva per completare il quadro valutativo. Dobbiamo promuovere un’idea di autovalutazione come individuazione di criticità, definizione di obiettivi e promozione di processi di miglioramento. Un processo continuo dinamico e flessibile, che non si esaurisca tra valutazione degli apprendimenti e commissioni di auto/valutazione interna al Collegio. In conclusione, il discorso valutativo dovrebbe essere affrontato in una prospettiva aperta e dinamica, pronta a recepire le numerose variabili che entrano in gioco. La formazione A livello di formazione dei nuovi docenti chiediamo che vengano garantiti concorsi ogni due anni come peraltro stabilito dalla legge, perché solo in questa maniera è possibile rimuovere all’origine la formazione del precariato. Chiediamo altresì che vengano esaurite le attuali graduatorie con migliaia di docenti in attesa del giusto inquadramento: gran parte del funzionamento delle nostre scuole è condizionato da questo fenomeno che pesa sul futuro della scuola e dei docenti coinvolti, che sono sempre gli ultimi ad arrivare e i primi a essere licenziati. L’incertezza della loro situazione rende incerto il futuro della scuola stessa.
La scuola è pronta ad assumere un ruolo ben più significativo
dell’attuale nella formazione professionale dei nuovi docenti. L’insuccesso La nuova stagione politica che si apre dovrà fare un grande sforzo per combattere la dispersione e l’abbandono che sono la misura dell’insuccesso della scuola. Troppi nostri giovani escono dal percorso di studio precocemente, senza aver acquisito alcun titolo e di conseguenza non riescono nemmeno a trovare un lavoro. È un problema scolastico che diventa quasi immediatamente problema sociale. L’insuccesso scolastico si palesa chiaramente al momento dell’ingresso nella secondaria di secondo grado, ma inizia molto prima, in maniera subdola e occulta. Per contrastarlo dobbiamo avere uno sguardo più ampio, che abbraccia tanto la scuola che viene prima, che quella che viene dopo. A tal proposito l’orientamento svolge una funzione importante, ma la didattica orientativa, e questo non dobbiamo dimenticarlo, è prima di tutto una buona didattica, basata sulla continuità del curricolo. L’abbandono scolastico è sovente conseguenza della perdita di senso verso la scuola da parte degli studenti, della scarsa fiducia in essa e nel mancato interesse verso quanto viene loro proposto, che in non pochi casi umilia le loro intelligenze e le loro passioni che si giocano altrove e si nascondono nei loro sottobanchi. Se spetta soprattutto agli insegnanti rivedere profondamente ciò che si insegna, come lo si fa e con quali strumenti, allo scopo di rendere “vive” quelle discipline che gli studenti percepiscono spesso a ragione come “nature morte”, spetta sicuramente alla politica sostenere in modo efficace l’azione della scuola contro la dispersione. Il primo ciclo Ecco perché abbiamo bisogno di Istituti comprensivi che non nascano sotto la logica di razionalizzazione della spesa – come mera somma di istituti preesistenti – bensì quale nuovo modello di scuola che favorisce il dispiegarsi armonico e progressivo di un curricolo verticale a partire dalla scuola dell’infanzia di cui va ribadita l’indispensabilità. Nei comprensivi ogni segmento di scuola deve trovare rispettata, arricchita e valorizzata la propria specificità. Le Linee Guida della Scuola dell’Infanzia e del primo ciclo da poco emanate vanno nella giusta direzione, ma per evitare che restino su carta è necessario che venga varato un piano di azione che in primis assicuri: - l’avvio della formazione dei docenti all’interno delle scuole con l’insediamento di laboratori didattici accompagnati da esperti, scelti dalle stesse scuole, e implementati da adeguati contributi economici per almeno tre anni. La formazione ha ricadute didattiche se radicata sul campo e distesa in tempi lunghi; - il recupero del modello pedagogico e didattico del tempo pieno e del modulo con le relative compresenze, per garantire a ciascun bambino e bambina tempi giusti e modalità adatte alla coltivazione delle loro attitudini e personali atteggiamenti. Siamo convinti che il modo più giusto di orientare sia dare strumenti per orientarsi, per conoscere il proprio sé e quello degli altri, una scoperta che avviene di pari passo con quella del mondo che la scuola offre. Anche per questa ragione chiediamo sia rivisto l’esame di terza media che ha accentuato un carattere terminale e certificativo inutile e dannoso, col fine di restituirgli il ruolo orientativo ben più confacente a un sistema che ha spostato ai sedici anni il completamento dell’obbligo d’istruzione. Coerentemente auspichiamo che venga rimesso in discussione il voto decimale nel primo ciclo, perché incompatibile con un curricolo per competenze, come tracciato dalle Indicazioni nazionali, e con una didattica attiva e processuale funzionale alla progettazione per competenze. La certificazione delle competenze intese come traguardi intermedi deve essere finalizzata all’orientamento e alla costruzione di saperi di cittadinanza senza ridursi a inutile e insidioso esercizio burocratico di traduzione del voto in giudizio. Il secondo ciclo A livello di secondo ciclo crediamo indispensabile connotare il segmento d’istruzione tra i 14 e i 16 anni come un biennio fortemente unitario. Esso rappresenta lo snodo cruciale dell’intero sistema d’istruzione in quanto deve garantire la base culturale forte necessaria ai successivi trienni di studio, e nello stesso tempo dare respiro ai percorsi didattici del primo ciclo distendendoli fino al termine naturale dell’obbligo d’istruzione. L’ottica da adottare è quella che riconosce l’inesistenza di una terminalità del percorso orientativo, che è un processo aperto con fasi riconoscibili ma senza cesure. Occorre caratterizzare il biennio come terreno di sviluppo e di conclusione del cammino iniziato nella scuola secondaria di I grado.
Anche in questo caso l’adozione convinta di una didattica fondata
sull’esercizio delle competenze culturali di cittadinanza e la loro
certificazione in senso unitario e trasversale tra i diversi
indirizzi, fondata su standard condivisi, potrà garantire una reale
armonizzazione all’interno del biennio dell’obbligo. Inoltre nei Poli tecnico-professionali dovrebbe realizzarsi l’integrazione del percorso scolastico con quello dell’istruzione e della formazione professionale non più vissuto come alternativo all’istruzione, ma risorsa preziosa per l’idea operativa di cultura del lavoro di cui è portatore, facendo sì che i saperi non formali e informali diventino ingredienti dei percorsi formalizzanti della scuola. Affidare alle autonomie scolastiche la responsabilità della gestione dell’obbligo d’istruzione fino ai 16 anni, in accordo e collaborazione con gli Enti locali e con le strutture che gestiscono la formazione professionale, ci sembra anche la strada migliore per preparare il suo ulteriore innalzamento. La condivisione
Per concludere, si tratta di riaprire su questi temi il confronto
nell’intero Paese, dove il senso comune sulla scuola è ancora fermo
a un pensiero sbrigativo. |