Qui e ora! di Claudia Fanti Educazione & Scuola 5.2.2013 Leggo tanti contributi in rete, a volte mi piacciono molto. Ce ne sono di varia tipologia e ognuno accentra il proprio interesse su qualche ambito di rilevanza per la scuola: dagli ambienti fisici ai problemi organizzativi, alle risorse che occorrerebbero per essere al passo con l’Europa…altri denunciano situazioni di emergenza, altri ancora rilevano i fallimenti delle politiche…mi piacciono, mi entusiasmano anche, ma… la scuola si fa, si fa ogni mattina e nel caso della scuola a tempo pieno, anche ogni pomeriggio. E allora? Be’, io voglio scrivere nero su bianco che la scuola non si pensa a tavolino, perché leggendo i programmi elettorali e i commenti di autorevoli opinionisti, ho l’impressione che questo fare quotidiano non sia nella testa di coloro i quali ne scrivono, magari colti, dotti, appassionati, ma lontani, sempre più lontani. Il lavoro di una insegnante è il qui e l’adesso, non è il domani, non è il futuro . E’ qui.
Ho bisogno di risposte per il qui e ora. Ne voglio alcune: meno
alunni, meno traguardi prescrittivi, più libertà d’azione, meno
lacci sulla possibilità di uscita nel territorio anche con la classe
che ho, senza venire terrorizzata dalle leggi sul rapporto
alunni-docenti per la sicurezza. Ho bisogno che l’aggiornamento sia dentro la mia scuola, che gli insegnanti esperti di qualcosa interagiscano con me e io con loro nella risoluzione dei problemi contingenti senza aspettare le riunioni canoniche per studiare Indicazioni nazionali distanti dai problemi d’apprendimento del qui e ora. Ho bisogno che la mia scuola non sia claustrofobica e oppressa da riforme che si susseguono alla velocità della luce senza portare alcun valore aggiunto al mio insegnamento. Ho bisogno che ci siano insegnanti-tecnici sempre a disposizione se un pc salta, se il collegamento a internet non funziona. Ho bisogno che la biblioteca sia aggiornata da un bibliotecario esperto anche in informatizzazione delle risorse cartacee disponibili. Ho bisogno di materiali e di insegnanti-tecnici di laboratorio esperti nell’utilizzo degli stessi, esperti di codici formali e di prodotti artistici e scientifici di varia tipologia. Insegnanti in grado di coprire il fabbisogno di cultura e didattica specialistica ce ne sono, precari da una vita ma trattati come minus habens e mai utilizzati: si crei una task force con questi docenti a disposizione sui territori, e poi si lasci libertà alle scuole di recepirli in breve tempo e senza troppe pastoie burocratiche. Ho bisogno, se mi ammalo (e perdo pure parte del mio misero stipendio), che il mio posto venga “coperto” da supplenti esterni e non da colleghe e colleghi che devono abbandonare le compresenze sulla propria classe che necessita del loro aiuto continuativo! Ho bisogno della scomparsa dei voti e dei quiz Invalsi, di qualsiasi quiz. Prego. La misura uccide sia la pedagogia sia la didattica che la rende applicabile con i nostri alunni, i quali hanno necessità di apprendere sbagliando e riprovando senza la spada di damocle delle verifiche di ogni respiro. Ho bisogno di materie curricolari ridimensionate nelle pretese delle Indicazioni e al contrario esigo più spazio per il mio “artigianato” allo scopo di agire didatticamente secondo le esigenze di apprendimento delle classi e dei singoli con cui mi trovo a lavorare. Ho bisogno di autonomia, l’unica vera autonomia che mi interessa, quella di ricerca e della scelta di una valutazione adeguata ai bambini, quindi ho assoluta necessità che lo Stato si fidi di me e della scuola che autonomamente si dà delle regole e degli obiettivi minimi da raggiungere rispettando spazi per la creatività e la propositività dei singoli insegnanti, ciò per ridare a essi l’entusiasmo pionieristico di un tempo, che ora è sfumato nella miriade di incombenze a latere dell’insegnamento: una fra tutte, ad esempio, la pretesa che si rifacciano curricoli e si ripensi tutta la materia che li riguarda per poi scrivere elenchi di obiettivi, invece che il praticare insieme strade per fare il giorno stesso e quello dopo. Mi è capitato sempre di più in questi anni appena trascorsi di accorgermi che i bambini siano diventati una specie di cosa ovvia da ritrovare il giorno dopo, come un dato di fatto, la routine di un lavoro qualsiasi, e di contro, contemporaneamente, mi è capitato di dovere pensare a come stendere relazioni dotte e curricoli su cosa si potrebbe fare di “bello” in un futuro che sfugge sempre più in avanti! E’ veramente il colmo una situazione simile! La classe come un’ovvia routine, i documenti da redigere con i colleghi come qualcosa di importante da produrre e su cui lambiccarmi il cervello. E lambicca qui, lambicca là, i giorni e i mesi sono passati ad accontentare dirigenti e ministri…e i bambini? Allora dai a metterci una toppa, magari di nascosto, come associati alla Carboneria, con un linguaggio quasi segreto fra le colleghe che credono in una scuola senza fotocopie, senza fretta, senza ansia di mostrare qualcosa all’utenza, con lo sguardo nello sguardo dei bambini. Allora dai a ritrovarsi, di nascosto, ore in più a casa di qualcuno a preparare ciò che sarebbe lecito fare tutti i giorni alla luce del sole. Allora dai a chiedersi se abbia un senso costruire con i bambini un linguaggio comprensibile, aiutarli ad affrontare la lingua scritta e orale, stimolarli a pensare per poi esprimersi, definire, descrivere, narrare esperienze, e poi dai a crederci e a praticare il nostro credo, con tutti , disabili, stranieri, italiani che parlano dialetti di varie regioni a casa loro, italiani che a casa non parlano se non in maniera funzionale a uno scopo da raggiungere subito e il più in fretta possibile. Di nascosto, perché pare che insegnare anche i “codici formali” di italiano e matematica ormai sia quasi da vergognarsi, anzi si nota che negli scritti in voga di esperti e opinionisti li si dà per scontati in un perfido gioco intellettualistico che li porta, nel parlare del cosa e del come insegnare, verso uno squilibrio tra i saperi per farne risalire alcuni al rango di materie nobili, dimenticando che senza l’interazione costante e creativa tra le stesse non c’è sapere e i saperi restano sulla carta, non certo nella mente. Per realizzare il sogno di un umanesimo degno di chiamarsi tale, la scuola ha bisogno certo di docenti preparati, ma anche di uno Stato e di dirigenti fiduciosi nel loro operato e nella loro esperienza, ha bisogno che le persone non vengano continuamente rese ridicole da campagne diffamatorie dei media e della stampa su una loro presunta vagabondaggine e mancanza di impegno, su un presunto furto di ore sottratte al lavoro! Ho bisogno che la riforma Gelmini venga cancellata in ogni sua parte, di sapere che non sarò mai una maestra unica, che tempo e pieno e moduli paritari vengano ripristinati al più presto per garantire una scuola che affronti i saperi in modo efficace e profondo. Ho bisogno di certezze e di poter fare previsioni sensate per ciò che riguarda un percorso scolastico senza abbreviazioni di anni o anticipazioni in entrata e in uscita degli alunni, perché voglio ragionare serenamente su cosa proporre o no ai bambini e alle bambine in base al numero di anni che dovranno affrontare… Leggo le parole di chi vorrebbe le scuole aperte tutto il giorno, vorrebbe alchimie che si potrebbero realizzare fra insegnanti di vari ordini di scuola interagenti fra di loro e con gruppi disomogenei di ragazzi per età e per vocazioni individuali: il tutto è affascinante e accattivante, tuttavia vorrei che prima si pensasse al qui e all’ adesso, al tempo che abbiamo e ai bambini presenti ogni mattina e ogni pomeriggio, ora. Questi bambini con i loro docenti sono qui ora e hanno poco e niente se non le loro teste e la loro voglia di fare. Vogliamo ricordarci che le classi dell’anno che viene, quello che è alle porte, accoglieranno milioni di bambini “nuovi di zecca”? A loro e ai loro docenti, qui e ora, promettiamo subito qualcosa di fattibile e sensato, poi penseremo al resto.
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