ELEZIONI

Il programma di SEL sulla scuola

 Agenzia Parlamentare, 14.2.2013

(AGENPARL) - Roma, 14 feb - La formazione Nella classifica OCSE sugli investimenti e sullo stato di salute del sistema della Formazione nei paesi più industrializzati nel mondo, l’Italia occupa le ultime posizioni. Siamo penultimi, al 31° posto su 32. I dati parlano drammaticamente chiaro: l’Italia spende per l’istruzione solo il 9% del totale della spesa pubblica, quando la media dei paesi industrializzati è superiore al 13%. Nella classifica OCSE sugli investimenti e sullo stato di salute del sistema della Formazione nei paesi più industrializzati del mondo siamo penultimi, al 31° posto su 32.

Le leggi finanziarie degli ultimi anni, che hanno utilizzato le risorse della scuola per fare cassa, e la controriforma delle Gelmini, cioè il più grande tentativo di distruzione del sistema di formazione pubblica e di demonizzazione degli insegnanti, hanno portato a questo risultato. Chi è venuto dopo, il ministro Profumo, ha operato in piena continuità: aumento delle risorse alle scuole private e tagli per gli enti pubblici di ricerca, blocca i concorsi universitari e proroga i rettori, indice un “concorsone” in cui i titoli accumulati non hanno alcun valore, lascia irrisolto il problema di chi nella scuola lavora da anni in totale precarietà e si propone di ridurre gli Organi Collegiali. Il sistema delle barriere d’accesso, tasse alte e numero chiuso, ha ridotto la qualità della formazione e la quantità di persone laureate. Così l’università attuale non è più uno strumento per poter migliorare la propria condizione sociale.

Lo stesso accesso ai gradi superiori della formazione è un continuo percorso ad ostacoli: dottorati senza borse, contratti a salario zero, corsi di formazione post-laurea spesso inutili, mortificante dipendenza dall’ordinariato, scollegamento totale con il mondo del lavoro. Assistiamo ogni giorno al processo di dequalificazione e di scarsa valorizzazione delle capacità di chi entra nel sistema della formazione. Siamo l’unico paese nel mondo industrializzato che non considera il finanziamento alla formazione pubblica come strumento anticiclico, per contrastare la crisi e frenare gli effetti della precarizzazione del mondo del lavoro.

Noi proponiamo una riforma del sistema della formazione che punti in primo luogo ad equiparare le risorse e gli investimenti per l’istruzione italiana a quelli della media europea, in linea con quel che richiede l’Europa attraverso il programma europeo per la ricerca e l’innovazione Horizon 2020. Nella scuola che vogliamo il tempo pieno è garantito a tutti.

Abbiamo urgenza di abbattere la dispersione scolastica che in alcune aree del paese supera il 20%. Per questo è necessario introdurre l’obbligo scolastico fino ai 18 anni. E abbiamo bisogno di scuole pubbliche di qualità in tutto il territorio nazionale, che operino in reale autonomia. Proprio per questo è indispensabile garantire Organi Collegiali democratici, aperti, che abbiano pieno riconoscimento e diritto d’intervento nella didattica e negli aspetti organizzativi. U

na delle priorità è il programma di edilizia scolastica, perché non possiamo più vivere tragedie come quelle di San Giuliano, non possiamo più pensare che i nostri figli passino la maggior parte della loro giornata dentro strutture pericolanti, fatiscenti, con barriere architettoniche che limitano l’accesso ai diversamente abili e privi di connettività. Attraverso il taglio delle spese per l’acquisto degli inutili aerei da guerra F 35 possiamo recuperare risorse da investire in un forte programma di edilizia scolastica in tutto il territorio nazionale che rinnovi le strutture e le adegui alla normativa antisismica, le doti di connettività, di laboratori e degli altri strumenti necessari.

C’è bisogno di nuovi insegnanti. Ben tre generazioni di insegnanti sono intrappolati nella vergognosa gabbia della precarietà. Per questo noi proponiamo un piano pluriennale di immissione in ruolo dei precari, fino ad esaurimento delle graduatorie, coprendo tutti i posti disponibili nelle scuole. Oggi l’organico scolastico è fortemente sottodimensionato rispetto alle necessità: sono infatti ben 81 mila i posti disponibili per docenti e più di 12 mila quelli per il personale ATA. È necessario stabilire regole certe di reclutamento, sulla base delle reali esigenze di formazione degli studenti. Bisognerà per questo reintrodurre il tempo pieno e le ore di laboratorio che Gelmini aveva cancellato e garantire la presenza di insegnanti di sostegno, secondo il bisogno certificato. La soluzione praticabile è il concorso periodico che copra il fabbisogno a partire dalla percentuale degli organici funzionali.

La formazione dei docenti deve essere garantita e obbligatoria durante tutto il percorso lavorativo, attraverso le unità territoriali di supporto pedagogico-didattico. La formazione, come sappiamo, inizia dalla nascita e le famiglie italiane, ed in particolare le donne gravate dal doppio compito del lavoro e della cura, necessitano con urgenza di nuovi nidi pubblici, che garantiscano un numero di posti pari almeno al 30% dei bambini fino a tre anni.

La scuola deve formare alla vita: recuperiamo le ore sottratte da Gelmini e lavoriamo per l’unificazione dei cicli liceali e tecnico-professionali, investendo maggiormente nella materie professionalizzanti. È così che la scuola potrà esercitare un ruolo preminente nell’organizzazione della società, della produzione e della formazione delle generazioni.

La qualità delle nostra scuola va costantemente valutata e misurata. Per questo intendiamo istituire un percorso di valutazione complessivo del sistema scolastico, così da verificarne l’adeguatezza e la rispondenza alle necessità espresse dagli studenti e dai cambiamenti sociali e culturali in atto. La valutazione verrà affidata ad un ente autonomo, non di diretta nomina ministeriale, dovrà avere finalità compensative e di supporto alle realtà scolastiche in difficoltà, e utilizzerà modalità statistiche con indicatori e parametri misurabili e quantificabili. La valutazione coinvolgerà il Consiglio di Istituto e il Collegio dei Docenti. Ma la scuola è anche degli studenti, mentre oggi il diritto allo studio è fortemente messo in discussione dall’aumento delle tasse, dai costi non più sostenibili delle famiglie per l’acquisto dei libri di testo e del materiale scolastico, dall’erosione delle borse di studio. Vanno messe in campo con urgenza le risorse necessarie a garantire le borse di studio, forme di reddito indiretto come la mobilità gratuita per gli studenti, e strumenti fiscali come la deducibilità delle spese per la scuola.

Università e ricerca devono essere considerati beni pubblici essenziali, mentre nel corso di questi anni l’una e l’altra sono state sistematicamente indebolite e messe sotto controllo le istituzioni pubbliche dedicate all’alta formazione con i tagli ai finanziamenti, con l’impoverimento del personale e il blocco del turnover, con la revisione in senso autoritario degli statuti, con meccanismi mortificanti contro i precari. Gruppi di potere interni sono stati consolidati, si è limitato l’accesso alla formazione con il forte aumento delle tasse, si è spostato il potere degli organi di indirizzo scientifico e politico democraticamente eletti (come il Senato accademico e il Consiglio scientifico) ad organi di mera gestione economica. Le nuove norme di pseudo valutazione introdotte dal Governo Monti, fondate sulla retorica della meritocrazia e lo strumento della indicizzazione bibliometrica per orientare la carriera e gli studi dell’accademia, finiscono per dare più valore alle pubblicazione su riviste hanno posizioni liberiste (come in economia e nella materie giuridiche), mortificando così il pensiero autonomo ed indipendente a favore di quello unico. E si sono in tal modo dischiude le porte del mercato al business della formazione privata, indirizzando il Paese verso uno sviluppo basato su un lavoro scarsamente qualificato, sottopagato e ricattabile in quanto facilmente sostituibile.

Invertire subito la rotta significa garantire la possibilità di formazione a tutti, cancellando il numero chiuso come metodo di accesso all’università. Significa rifinanziare l’intero sistema di diritto allo studio, sia per le borse di studio, in particolare per gli studenti di dottorato il finanziamento deve essere sempre garantito, sia per le residenze studentesche, e parte delle risorse possono essere reperite da coloro che ne hanno beneficiato eludendo fin qui il fisco. Vanno definiti i livelli essenziali di prestazioni, prendendo ad esempio i migliori esempi regionali, a cominciare da quello pugliese, garantendo a monte la copertura totale degli idonei. Bisognerà svincolare la possibilità di ottenimento della borsa di studio dalla sede universitaria prescelta, la contribuzione studentesca deve essere progressiva in base alle condizioni economiche e patrimoniali, senza penalizzare gli studenti fuori corso, part-time e lavoratori. Va garantito il rispetto effettivo del vincolo di legge del tetto del 20% di contribuzione studentesca rispetto al fondo di investimento ordinario e vanno potenziati tutti i programmi di formazione presso altre università europee.

Occorre ripristinare un livello minimo e certo di finanziamento dell’università e della ricerca. Il finanziamento ordinario, di lungo termine, deve essere utilizzato per il funzionamento delle strutture, la ricerca, i servizi essenziali per gli studenti. Nell’immediato è necessario eliminare il blocco del turnover, recentemente inasprito dalla spending review. I fondi resi disponibili dal pensionamento andranno utilizzati, per una quota del 50%, per un piano straordinario per l’immissione in ruolo di ricercatori a tempo determinato attraverso uno speciale programma di assunzione. La quasi totale assenza di finanziamenti privati nella ricerca, in particolare quella sviluppata in proprio, è un fattore penalizzante per tutto il sistema e ciò comporta l’incapacità da parte delle imprese di assorbire figure a qualifica più alta, come ad esempio i dottorati.

Ecco allora che bisogna favorire la creazione di spin-off dalla ricerca pubblica, semplificare le start-up, puntare a progetti di finanziamento di consorzi misti pubblico/privato con un sostanziale cofinanziamento da parte del privato e garantire agevolazioni fiscali per la promozione degli investimenti dei privati in una ricerca di qualità. È fuori di dubbio che l’università con il “sistema del 3 più 2 si è licealizzata, chiudendosi in una netta divisione dei saperi che l’ha condotta a specialisti e microspecialismi, buoni solo per garantire cattedre e rendite assicurate al sistema di gestione attuale. Invece l’università deve essere l’istituzione del sapere complesso, deve mettere in campo strategie che non seguano il mercato del lavoro italiano, lo stesso che in questi anni ha rifiutato giovani formati e specializzati, ma piuttosto che costituiscano a svecchiarlo, puntando sulla innovazione e la creatività.

L’emanazione di un testo unico su università e ricerca può fare ordine dentro il confuso quadro normativo attuale e modificare gli aspetti più deleteri delle ultime controriforme. Bisognerà dare potere agli organi democraticamente eletti, ampliandone al contempo la base estendendo il potere elettivo al personale con contratto a termine.

Occorre garantire la trasparenza nella gestione dei fondi, sia nell’assegnazione che nei concorsi. Puntiamo per questo al ruolo unico della docenza e della ricerca, garantendo ai ricercatori assunti con contratti a termine di concorrere direttamente per l’assegnazione di fondi legati a progetti. Vanno infine aperte le commissioni valutatrici a tutti i ruoli. Il liberismo ha contagiato gli istituti di formazione e tutta la pubblica amministrazione raccontando la favola del modello aziendale come quello funzionale e vincente su tutto. Di fatto si sono semplicemente privatizzate le istituzioni del sapere, tanto nella governance quanto nella valutazione.

Ed invece valutare università e ricerca è un punto fondamentale per garantire sia il giusto livello dei servizi, sia per migliorare la didattica. L’ANVUR manca dell’indipendenza necessaria ad una corretta valutazione, come manca di equità nel considerare i differenti ambiti disciplinari e di apertura verso lo stesso mondo della ricerca. I suoi costi, inoltre, sono stati sin qui esorbitanti e assolutamente ingiustificati. La valutazione va dunque ripensata, nei criteri e negli scopi, così da essere indipendente, equa, inclusiva, garantendo all’insieme della comunità scientifica la possibilità di partecipazione e rendendo pubblici i criteri di valutazione, nonché accessibili i risultati. Essa potrà in tal modo identificare e correggere le criticità del sistema universitario e della ricerca italiana, aprendosi agli studenti alla società in generale, scongiurando il rischio di autoreferenzialità. Essa deve partire dal sistema nel suo complesso, poi riguardare le strutture e infine le persone nei loro ruoli decisionali. Deve tenere in considerazione le specificità, premiando che con poche risorse e con eticità professionale riesce a produrre buoni risultati.