Presidi che “disertano” la scuola, Fotografie, filmati, registrazioni, anche utilizzando telefoni cellulari, per dimostrare l’esistenza delle irregolarità, per tutelarsi dalle reazioni dei presidi-padroni che le “negano”, per contrastare i comportamenti lesivi della dignità umana. inviato da Polibio, 27.2.2013
Fotografie,
filmati, registrazioni, anche utilizzando telefoni cellulari, per
dimostrare l’esistenza delle irregolarità; per tutelarsi dalle
reazioni dei presidi-padroni che “negano” o “nascondono” le
irregolarità e che reagiscono con comportamenti psicologicamente
aggressivi nei confronti di colui/colei o di coloro che hanno
“osato” esercitare il diritto di rango costituzionale di portare
alla conoscenza della pubblica opinione e delle autorità interessate
episodi e comportamenti lesivi della corretta gestione delle
istituzioni scolastiche; per contrastare qualsiasi comportamento
lesivo della dignità umana all’interno delle scuole e per tutelare
l’integrità psico-fisica dei lavoratori. I riferimenti normativi per
contrastare la piaga del mobbing sono l’art. 57 del decreto
legislativo n. 165 del 30 marzo 2001, le disposizioni contenute
nella direttiva emanata il 4 marzo 2011 dal ministro per la pubblica
amministrazione e l’innovazione, di concerto con il ministro per le
pari opportunità, recante linee guida sulle modalità di
funzionamento dei Comitati unici di garanzia (il Comitato unico di
garanzia di ciascun ministero redige lo schema del Codice di
condotta per prevenire e contrastare le discriminazioni e le
violenze morali e psicologiche-mobbing).
Ulteriore
riferimento normativo è il vigente Contratto collettivo nazionale di
lavoro del comparto scuola (articoli 98 e 99). Così il comma 1
dell’art. 98 (“Comitato paritetico sul mobbing”) del vigente CCNL:
“Per mobbing si intende una forma di violenza morale o psichica
nell’ambito del contesto lavorativo, attuato dal datore di lavoro o
da dipendenti nei confronti di altro personale. Esso è
caratterizzato da una serie di atti, atteggiamenti o comportamenti
diversi ripetuti nel tempo in modo sistematico ed abituale, aventi
connotazioni aggressive, denigratorie o vessatorie tali da
comportare un’afflizione lavorativa idonea a compromettere la salute
e/o la professionalità e la dignità del dipendente sul luogo di
lavoro, fino all’ipotesi di escluderlo dallo stesso contesto
lavorativo”.
Nei Codici di
condotta per il contrasto alle determinazioni e alle violenze morali
e psicologiche-mobbing si legge che “la prevenzione del mobbing e di
qualsiasi forma di discriminazione, molestia o violenza morale e
psicologica si realizza attraverso l’adozione di misure
organizzative idonee a evitare l’insorgere di situazioni di
conflitto e disagio nello svolgimento dell’attività lavorativa”; che
è tutelato “il personale che segnala casi di mobbing o episodi di
discriminazione o molestie da qualsiasi ritorsione diretta o
indiretta”; che “ogni comportamento teso a discriminare, offendere,
emarginare o, comunque, a determinare disagio, costituisce
violazione dei principi tutelati dal codice ed è pertanto contrario
ai doveri d’ufficio e, indipendente dalla configurazione di altre
fattispecie di natura penale, civile e amministrativa, è sanzionato
disciplinarmente, ai sensi del decreto legislativo 30 marzo 2001 e
sue successive modificazioni e integrazioni e dai contratti
collettivi nazionali di lavoro”.
La prova –
chiamiamola “documentale” – è fondamentale e determinante. Pertanto,
le “testimonianze” acquisite dalla persona direttamente interessata,
e dalla stessa realizzate a mezzo di fotografie, di filmati, di
registrazioni anche utilizzando un telefono cellulare (essendo però
presente durante la registrazione e addirittura chiamando un
telefono fisso collegato a una segreteria telefonica fornita di un
nastro dalla lunga durata), nonché qualsiasi altra immagine
fotografica o scena filmata, pubblicità, scrittura, trasmissione
televisiva o radiofonica resa comunque di pubblica conoscenza, sono
tutte importantissime perché costituiscono prove per dimostrare
l’esistenza delle irregolarità, per tutelarsi dalle reazioni dei
presidi-padroni che le “negano” e di chiunque altro, per contrastare
i comportamenti lesivi della dignità umana. Potrebbero essere
addirittura più importanti delle testimonianze fornite da altre
persone comunque a conoscenza, anche per essere state presenti, dei
fatti. Comunque, oltre a essere fondamentali, avrebbero funzione
integrativa.
Se è
dimostrabile una serie di procedimenti disciplinari attivati nei
confronti della stessa persona, seguiti da irrogazioni di sanzioni
disciplinari addirittura anche a raffica. Se è dimostrabile che una
sanzione disciplinare è stata irrogata, addirittura di diversa
entità, da due persone con funzioni dirigenziali diverse (l’una dopo
l’altra, così da costituire un assurdo) nei confronti dello/a
stesso/a dipendente, addirittura senza avere ascoltato, nonostante
la formale richiesta notificatagli, la persona nei confronti della
quale avevano attivato i procedimenti disciplinari. Non è
altrettanto facile dimostrare, se non si possiede uno strumento di
registrazione, e se lo strumento di registrazione non è stato
attivato dalla persona nei confronti della quale il preside o
chicchessia ha agito arbitrariamente, il comportamento del dirigente
scolastico (uomo o donna che sia) che nel corridoio della scuola si
rivolge a un’insegnante di sostegno, utilizzando, in presenza di
pubblico, termini che non gli sono consentiti, volendola obbligare,
nonostante la presenza dell’alunno diversamente abile affidato a
quell’insegnante, ad andare in un’altra classe per svolgervi
attività di supplenza.
Non è
altrettanto facile, se non c’è la registrazione, dimostrare che un
dirigente scolastico, comportandosi da preside-padrone, ha
trasformato il Collegio dei docenti in una platea riservata ai
docenti per svolgere – oltre a “informare” su come si potevano
realizzare “sdoppiamenti” di classi (con “iniziative” da aggravio di
spese, e tali da “sfuggire” ai controlli, magari e soprattutto
quello della Corte dei conti) – un suo “atto di accusa” nei
confronti di una persona assente.
Non è
altrettanto facile, se non c’è la registrazione, dimostrare il
mobbing attuato dal preside, con comportamenti ripetuti nel tempo in
modo abituale, per esempio quattro e magari più volte in tre mesi,
che entra in classe all’improvviso e svaluta (o comunque si comporta
in modo tale, ancora più grave se in modo del tutto illogico, da
compromettere la dignità del/della docente sul luogo di lavoro)
l’operato del/della docente di fronte agli alunni. Evidentemente si
tratta di un preside che non si comporta nel rispetto delle regole:
bussare alla porta dell’aula, chiedere il permesso di entrare,
entrare se gli è consentito, salutare gli alunni e il/la docente e
comportarsi da ospite. Bisogna, quindi, munirsi di registratore per
dimostrare le invasioni del preside e il suo comportamento tendente
a svalutare l’operato del/della docente di fronte agli alunni.
Particolarmente
interessante l’intervento del presidente del Comitato nazionale
contro il mobbing-bossing scolastico (O.N.L.U.S. Co.Na.M.Bo.S.),
maestro Adriano Fontani, all’inaugurazione dell’anno giudiziario
presso la Corte di appello di Firenze (28 gennaio 2012). Sarà
oggetto di un prossimo articolo di Polibio.
Di recente, nei
siti e nei blog è presente un articolo di Lucio Garofalo (“Amare
confessioni di un maestro in crisi”), nel quale – subito dopo avere
espresso il suo rammarico per “l’eccessiva invadenza”, per la
“disinvoltura dei comportamenti”, per la “spregiudicatezza e la
villania di alcuni genitori e dei loro figli scostumati e
prepotenti”, cosicché “francamente non se ne può più di una scuola
in cui l’invadenza e l’arroganza dei genitori sono un malcostume
esagerato e diffuso, quanto intollerabile, in cui le classi da
gestire sono sempre più caotiche e numerose oltre i limiti del
normale buon senso” – è scritto che quella attuale è “una scuola in
cui la cosiddetta ‘autonomia scolastica’ viene spesso scambiata dai
dirigenti per una sorta di ‘tirannia’ o arbitrio personale, per cui
ne consegue che le scelte sono inopinate e discutibili, fin troppo
discrezionali, decise in modo solitario e antidemocratico, con
metodi autoritari e verticistici, causando ingiustizie e
malcontenti. Una scuola che è diventata un luogo di lavoro alienante
e stressante …, in cui il ruolo dell’educatore viene mortificato e
sottovalutato …, con i test a risposta multipla …, una scuola a
‘quiz’” della quale “non se ne può più”.
Ebbene, dati gli
“arbitri personali”, la sorta di “tirannia”, le “scelte inopinate e
discutibili”, le decisioni “in modo antidemocratico”, i “metodi
autoritari” che causano “ingiustizie”, ovviamente praticati da
“presidi-padroni” (tuttavia senza generalizzare), la proposta (che
si evidenzia come una necessità) del preside democraticamente eletto
risulta funzionale per restituire alla scuola (agli insegnanti e al
personale Ata) quella correttezza in termini di organizzazione e di
rispetto dei diritti dei lavoratori che è fondamentale per
l’efficienza e l’efficacia del percorso di istruzione e di
formazione degli studenti.
Inoltre, non vi
sarebbero più i presidi che “disertano” la scuola (e non si sa dove
si trovano durante le attività didattiche), una sorta di “eclissi di
preside”, e non vi sarebbero più i “collaboratori” del preside che
si allontano dalla loro aula (sostanzialmente, perché “costretti” a
farlo) quando il preside non è a scuola (lasciando nell’aula gli
studenti, da soli, e non dobbiamo stupirci se giocano a carte, se si
rincorrono, se fanno quel che vogliono, così come accade anche
quando restano senza insegnante perché non si è provveduto a
nominare il supplente). Non vi sarebbe più il “collaboratore” del
preside che firma le circolari al posto del preside, che ovviamente,
dato che a firmarle è il “collaboratore”, è “assente”.
Il preside
democraticamente eletto, peraltro, oltre a mantenere lo stipendio,
al massimo maggiorato di un’indennità mensile di funzione pari ad
alcune centinaia di euro, continuerebbe a svolgere una parte (per
esempio, un terzo) dell’attività didattica settimanale. Risponde del
suo operato ai docenti, al personale Ata, ai rappresentanti dei
genitori degli alunni in Consiglio d’istituto, agli studenti e ai
loro rappresentanti. A conclusione del mandato eventualmente
triennale (da confermare per un altro triennio a seguito di nuova
elezione) oppure unico di sei anni consecutivi, ritornerebbe a
svolgere soltanto la funzione docente, così come accade per il
rettore dell’Università, per il direttore di dipartimento, per il
prorettore.
Non si comprende
perché in una scuola addirittura con meno di 800 studenti e con non
più di 1.200 studenti (rispetto a un Ateneo che di studenti ne ha da
20.000 a 80.000) il preside non debba essere democraticamente eletto
(il rettore dell’Università viene democraticamente eletto), e perché
non debba essere costantemente presente a scuola (fatti salvi gli
incontri ufficiali in altre sedi, ovviamente documentati, così come
accade per gli insegnanti), proprio per rispondere alle necessità
quotidiane, comprese soprattutto quelle improvvisamente emerse. Per
quanto concerne le università, l’art. 13, comma 2, del d.p.r.
11.07.1980, n. 382, testualmente recita: “hanno diritto a richiedere
una limitazione dell’attività didattica i professori di ruolo che
coprano la carica di rettore, prorettore, preside di facoltà e
direttori di dipartimento, di presidente di consiglio di corso di
laurea, di componente del Consiglio universitario nazionale”.
Quando gli
studenti vengono lasciati da soli in un’aula, nella quale, a loro
“preferenza” e per loro “libera scelta”, si immergono nell’uso del
telefonino o si impegnano nel gioco a carte (quando non si
addormentano con la testa sul banco), risultando così
immotivatamente ridotto il monte ore complessivo dell’attività
didattica annuale, il loro diritto allo studio viene violato. E
allora è giusto che di ciò si abbia prova documentale e che le prove
documentali vengano diffuse e rese di pubblica conoscenza. Le
immagini sono necessarie e importanti per dimostrare ciò che viene
violato, e soprattutto per dimostrare la situazione di caos
organizzativo, peraltro in un ambiente deputato all’istruzione e
alla formazione delle giovani generazioni, nell’ambito del quale le
anomalie incidono alquanto negativamente.
Quello del gioco
a carte attivato dagli studenti durante le ore “buche” perché
nessuno ha provveduto a impegnarli nell’attività didattica (e
avrebbe dovuto provvedere il dirigente scolastico, la cui presenza a
scuola durante le ore di attività didattica non può venire meno,
anche perché in assenza del preside il “collaboratore”, per
occuparsi delle emergenti necessità, deve allontanarsi dall’aula e
lasciarvi dentro, da soli, gli studenti, a fare il paio con la
classe dove gli studenti non hanno l’insegnante e giocano a carte, e
quindi anche gli studenti della classe del “collaboratore” del
preside giocheranno a carte o col telefonino) è ormai arcinoto. E
allora si tratta di un’anomalia che va rimossa, e non va affatto
“oscurata”, anche intervenendo presso le autorità competenti, tra le
quali (vd. comma 6 dell’art. 60 del d.lgs. n. 165/2001 nella
versione novellata dall’art. 71 del d.lgs. n. 150/2009)
l’Ispettorato per la funzione pubblica, che opera alle dirette
dipendenze del Ministro delegato, istituito presso la Presidenza del
Consiglio dei Ministri-Dipartimento della funzione pubblica.
Proprio sugli
studenti che giocano a carte e con i telefonini, ma anche su altri
aspetti non edificanti, era improntata, ispirata,
l’interessantissima mostra fotografica personale di Giuseppe Berardi
“Cl@ssi 2.0
la scuola digitale” (patrocinata dalla FIAF – Federazione
italiana associazioni fotografiche). Mostra fotografica della quale
molto si è parlato in Puglia, e soprattutto a Foggia, nell’ottobre
2012, programmata presso la Libreria Ubik (direttore artistico
Michele Trecca), che ritornava a collaborare, “attivissimo e
frequentatissimo spazio culturale del centro cittadino” (al numero
75 di piazza Umberto Giordano), “con il Foto Cine Club Foggia (FCCF),
di cui Berardi è socio e consigliere, mettendo a disposizione, la
Libreria Ubik, i suoi spazi per la mostra fotografica ‘Cl@assi 2.0
la scuola digitale’”.
Una mostra,
quella fotografica di Giuseppe Berardi, che rientrava “in un ciclo
di appuntamenti – della durata di una settimana e intitolato “la
scuola siamo noi” – dedicato dalla libreria Ubik di Foggia al mondo
della scuola. Della mostra fotografica di Giuseppe Berardi si sono
occupati, con espressioni entusiastiche – anche perché le immagini
rappresentavano le anomalie di un sistema (che peraltro Polibio ha
più volte disegnato nei suoi articoli apparsi su questo e su altri
siti), quello scolastico, che vanno decisamente rimosse, e non
soltanto (anche se prioritario) perché pregiudizievoli per la
sicurezza degli studenti e di quanti vengono comunque a trovarsi
all’interno delle scuole –, diversi siti, blog, radio locali e
quotidiani nazionali rappresentati dalla sede regionale della
Puglia: “puglia di notte”, “Radio MadeinItalyNotizie” (Chiara De
Gennaro), “viveur.it”, “culttime.it” (Loris Castriota),
“daunianews.it/cultura-ed-eventi” (Quotidiano online della Provincia
di Foggia), “newsgargano.com”, “la Repubblica Bari.it”, “Il Corriere
della sera”, la “Gazzetta del Mezzogiorno”. E le 24 immagini
fotografiche che costituivano la mostra fotografica di Berardi
programmata dal 7 al 14 ottobre 2012 erano e sono rimaste presenti
per qualche tempo dopo il 14 ottobre 2012 in determinati siti,
cosicché sono state stampate e ulteriormente diffuse (e a Polibio ne
è stata consegnata copia).
Il professore di
informatica Giuseppe Berardi, che fino al 31 agosto del 2012 era in
servizio, a Foggia, presso l’Istituto tecnico industriale “Saverio
Altamura” e l’Istituto tecnico per geometri “Masi” presentava una
serie di scatti fotografici “rubati”, ma certamente con finalità di
rappresentare aspetti che in nessuna scuola possono avere
“cittadinanza” perché lesivi del diritto allo studio e della
sicurezza individuale soprattutto degli alunni, nel corso della loro
attività didattica. Si trattava, come è stato specificato da coloro
che si sono occupati dell’informazione, “di una lettura in chiave
ironica dello stato di alcune realtà scolastiche locali”, e “il
titolo della mostra – Cl@ssi 2.0 – fa esplicito riferimento a un
progetto didattico per la sperimentazione di metodologie didattiche
avanzate”.
Polibio – che in
Puglia ha molti amici – ha avuto la possibilità, nei giorni in cui
nel mese di gennaio 2013 è stato a Foggia, di vedere le 24 immagini
della mostra fotografica di Giuseppe Berardi (interessantissime
immagini, anche per quanto riguarda la scelta).
Recentemente ha
saputo che la mostra che doveva essere ospitata dalla Libreria Ubik
di Foggia, pronta in tutti i suoi aspetti, non avrebbe visto la luce
in quella sede. Ma le immagini sono rimaste nei siti fino a quando
da essi non sono state tolte. Di certo, così anche da parte di chi
ha conoscenza degli istituti scolastici di Foggia, le immagini
fotografiche rappresentavano ambienti dell’ITG “Masi” e dell’ITI
“Altamura”, di costruzione ottocentesca, per cui i pezzi di
controsoffitto talvolta “volano” dal tetto in giù (ma si tratta
anche qui, questa volta da parte di Polibio, di “una lettura in
chiave ironica dello stato di realtà scolastiche”, sgarrupato,
alquanto presente nelle regioni italiane). Se si intendeva “nascondere” (forse perché in alcune di quelle immagini fotografiche erano evidenti i volti di alcuni alunni) quella realtà, e invece quella sgarrupata realtà poteva essere utile per far comprendere a chi avrebbe da tempo dovuto comprendere e intervenire, Polibio non può saperlo. Ma quella realtà, che comunque sembra essere risultata alquanto nota, ma che sarebbe stata “oscurata”, offende prima di tutto gli studenti e le loro famiglie.
Ritornando alle
24 fotografie del professore Giuseppe Berardi, che dovevano essere
esposte nella mostra organizzata nei locali della Libreria Ubik di
Foggia, ma che comunque sono state diffuse da determinati siti (la
cui descrizione Polibio ha dato nel suo articolo “E la chiamano
‘scuola 2.0’. Telefonini, gioco a carte, inferriate, calcinacci e
controsoffitti che volano”, pubblicato il 22 febbraio 2012,
descrizione integralmente qui riportata), esse evidenziano: prese di
corrente elettrica alquanto pericolose; registri di classe sulle
cattedre in aule con ragazzi che si rincorrono e uno che cade per
terra; ragazzi che sonnecchiano; le “robuste” inferriate di una
finestra in un corridoio e una serie di oggetti e addirittura un
vaso di fiori su un tavolo sporco; le mani di tre ragazzi (due dei
quali intenti a far uso dei loro telefonini); una scalinata con
vetrate alquanto pericolose perché alquanto basse; un ragazzo che
dalla finestra con inferriata esterna guarda le inferriate di altre
finestre; quattro ragazzi che da dietro le inferriate di una
finestra a diverse ante guardano ciò che c’è all’esterno; una
schiera di banchi abbastanza malridotti e in fondo un attaccapanni
in disastrate condizioni; una lavagna dei tempi andati; le mani
(soltanto le mani) di due ragazzi che giocano a carte; un ragazzo
che dorme col capo poggiato sul banco e un altro ragazzo alquanto
attento all’uso del telefonino; un ragazzo con un ventaglio di una
decina di carte da gioco in mano, in due fotografie c’è
l’andirivieni di un ragazzo lungo una fascia a ridosso della parete;
dieci ragazzi (alcuni seduti sui banchi) che forse giocano a carte e
in primo piano un registro di classe con sopra un paio di occhiali.
E infine la perla delle perle: una porta del corridoio con una
vetrata rettangolare dalla quale è possibile vedere in primo piano,
seduta e con un libro aperto poggiato sulla “cattedra” (già,
chiamalo così quel tavolo) e da lei tenuto con entrambe le mani,
forse intenta a leggerne le pagine o a fare lezione agli studenti,
una professoressa. E chi si trova a transitare per quel corridoio
può anche fermarsi davanti a quella porta e vedere ciò che non
dovrebbe affatto vedere. Non per quanto riguarda il genere, ma
perché a nessuno è consentito di vedere attraverso una vetrata ciò
che la persona che sta al di là della vetrata, nell’aula, e si
tratta di una persona che lavora, di una professoressa, sta facendo,
nemmeno se quella porta è, ma non sembra, una porta antipanico con
uscita a doppia anta verso l’esterno.
I complimenti di
Polibio al professore di informatica Giuseppe Berardi. Tutti i
docenti dovrebbero comportarsi come ha fatto lui, utilizzando
macchine fotografiche, telefonini multiuso e anche registratori, per
evidenziare e rendere pubbliche, con determinazione e coraggio, le
storture e le anomalie che caratterizzano negativamente le scuole
italiane e che incidono negativamente sulla formazione degli
studenti e sulla cultura.
Polibio
Polibio informa i suoi lettori che presto sarà attivato il sito
http.//www.polibio.net. Si sta provvedendo a inserire in archivio
tutti gli articoli da lui scritti dal 10 luglio 2010 al 31 dicembre
2012. Nel sito saranno postati, oltre a essere postati nei siti che
attualmente li accolgono, tutti gli articoli personali, di volta in
volta successivi, e quelli di chi, avendo fatta richiesta, ha avuto
il permesso di postarli. |