Chi ha paura della valutazione nelle scuole? * Un documento di alcune associazioni contesta l’impianto e l’utilizzo delle prove Invalsi. Soprattutto negli esami di fine ciclo scolastico. Il rischio è di riaprire il vaso di Pandora delle contrapposizioni preconcette che ha bloccato il mondo della scuola italiana negli ultimi venti anni. Paolo Sestito La Voce.info, 12.2.2013 VALUTAZIONE A RISCHIO Il documento di alcune associazioni vicine al mondo della scuola - Aimc–Cidi –Fnism -Legambiente Scuola e Formazione-Mce–Proteo Fare Sapere-Per la Scuola della Repubblica-Cgd–Uds – ribadisce una serie di principi senz’altro validi e condivisibili, ma rischia di rappresentare un passo indietro nel dibattito sulla valutazione del sistema educativo in Italia e nella difficile opera della sua effettiva costruzione. Due sono i pericoli che vedo e che mi portano a contestarne l’anima complessiva. (1) Il primo pericolo è sotteso nell’obiettivo, più o meno implicito nel documento, di contestare l’emanazione definitiva del regolamento sul sistema nazionale di valutazione. Quel regolamento senz’altro andrà meglio precisato nella prassi applicativa futura, tuttavia ha il grosso pregio di rappresentare uno storico compromesso tra fautori dell’autovalutazione e fautori della valutazione esterna delle scuole, tra chi pensava si debbano guardare solo gli esiti formativi (da qualcuno ulteriormente circoscritti ai soli risultati nelle prove Invalsi, magari senza tener conto delle diverse condizioni di contesto delle singole scuole) e chi pensava che alle scuole si debba chiedere di dar conto solo dei processi posti in essere, come se i risultati formativi, che anche da quei processi sono determinati, fossero irrilevanti. Il rischio è oggi di riaprire un vaso di Pandora di contrapposizioni, ideologiche e preconcette, che han diviso, e bloccato, il mondo della scuola italiana negli ultimi quindici-venti anni.
Il secondo
rischio è che dal sacrosanto principio dei limiti della valutazione
e dalla corretta sottolineatura delle diversità tra i
suoi vari
aspetti– valutazione delle prassi educative, del sistema, delle
scuole, degli alunni e degli operatori del settore, troppo spesso
confuse tra loro e ridotte all’uso delle rilevazioni degli
apprendimenti condotte su base universale dall’Invalsi – discenda il
rigetto
dei passi in avanti che anche con l’uso di quelle rilevazioni si
stanno già facendo.
Il documento
parte dalla contestazione di un approccio alla valutazione come mera
creazione di graduatorie per
premiare
i più meritevoli: si sottolinea che, oltre all’identificazione della
presenza o dell’assenza di un particolare merito, altre cose
sarebbero necessarie, non ultimo un maggior volume di risorse al
comparto scuola. Subito dopo si enfatizza come si debbano
distinguere i vari aspetti della valutazione e si sottolinea la sua
inevitabile “politicità”, che richiede di definire in via
preliminare, e non per implicita iniziativa di qualche
tecnostruttura, un’idea di “buona scuola”. Si passa poi a contestare
l’idea che le rilevazioni degli apprendimenti debbano essere, in
alcuni gradi,
universali, ritenendo
in particolare esagerato e distorsivo il ruolo da esse svolto
nell’esame conclusivo del I ciclo. In quanto focalizzate sugli esiti
formativi e non sui processi messi in atto all’interno della scuola,
si contesta poi che le rilevazioni possano essere considerate come
esaustive dei fenomeni da osservare. Si auspica infine una terzietà
dell’ente che si occupa di valutazione e un più forte ruolo del
Parlamento (in alternativa al Governo). Molti dei passaggi sono condivisibili. Ma in cosa l’attività dell’Invalsi degli ultimi anni può essere tacciata di essere portatrice d’una reductio della valutazione alla premialità? Basti ricordare che l’Invalsi non crea e non pubblica league tables. Sta lavorando sul concetto di valore aggiunto, per poter dire a tutte le scuole, indipendentemente quindi dalle condizioni di favore o di sfavore in cui operano, quanto possano ritenersi soddisfatte. E da subito ha cercato di approssimare tale concetto restituendo alle scuole informazioni non solo sul livello degli apprendimenti dei propri alunni, ma anche sul confronto con quelli di scuole con alunni dal background familiare simile. In futuro l’Invalsi progetta di utilizzare quelle stime anche per identificare le scuole “problematiche”, intese come quelle che operano in contesti difficili e che raggiungono risultati, in termini di apprendimenti, particolarmente insoddisfacenti. È a questo scopo che si chiedono informazioni sul background familiare degli alunni, non certo per schedare i bambini.
Il fine non è
perciò “premiare” (le altre), ma meglio aiutare chi è in difficoltà.
Certo, tra identificare chi debba essere aiutato e aiutare
concretamente ce ne corre. Non basta guardare, dal centro, agli
apprendimenti degli alunni o a questo o quell’indicatore: servono
risorse
e servono riflessioni aggiuntive, innanzitutto all’interno della
singola scuola, sul cosa concretamente fare in quella specifica
situazione. Ma la sperimentazione sul come passare a una fase di
miglioramento all’interno di ogni singola scuola non è proprio
l’idea alla base del progetto Vales?
(2)
Non è proprio lì che si chiarisce come l’attenzione agli esiti
formativi non esaurisca la valutazione delle scuole? E anziché
sottolineare quel che è per molti aspetti ovvio – ovverossia che
valutare richiede di avere un’idea di “buona
scuola”, ampia,
condivisa e non partigiana, ma al tempo stesso sufficientemente
precisa – perché il documento non si esprime sull’abbozzo di tale
idea che è stata pubblicamente avanzata in Vales?
Dal prossimo anno
scolastico, l’obiettivo è restituire i dati prima (entro il 1°
settembre) e, più gradualmente, dare un ancoraggio dei risultati
della singola scuola
nel tempo: utilizzando
le informazioni sui risultati degli alunni nei gradi precedenti, si
cercherà di dare informazioni alle scuole sul punto di partenza dei
propri alunni. Soprattutto, si cercherà di sostenere l’uso delle
rilevazioni Invalsi a fini di
ricerca didattica:
evitando di dare indicazioni che non spettano al centro (e tantomeno
all’Invalsi), si vuole creare una sorta di
repository
delle esperienze esistenti. Come si potrebbe mai procedere in questa
direzione se le rilevazioni cessassero di essere
universali?
Certo, se il fine fosse solo quello di conoscere cosa avviene nella
media di un sistema sarebbe meglio procedere su una base
campionaria, con costi minori e una maggiore possibilità di tenere
sotto controllo la qualità delle operazioni di rilevazione. A
partire dall’anno scolastico 2013-14 l’Invalsi ha in animo di
seguire questo approccio in alcuni gradi scolastici non coperti
dalle attuali rilevazioni universali e per alcuni altri ambiti
disciplinari, in primis
le scienze naturali e l’inglese, testando anche l’uso del computer
come mezzo tecnico. Ma per dare a ciascuna singola scuola uno
specchio in cui guardarsi, non si può sostituire lo specchio con una
fotografia, anche se ben nitida, del sistema nel suo complesso.
Un inciso
specifico riguarda l’uso delle prove Invalsi all’interno dell’esame
conclusivo del I ciclo.
Si possono contestare il disegno complessivo di quell’esame e le
modalità con cui le prove Invalsi vi furono introdotte, senza che
nel primo anno l’Istituto avesse avuto il tempo di produrre con
sufficiente anticipo un quadro di riferimento. Ma davvero è così
oppressivo per i singoli studenti che le prove Invalsi contino ai
fini dello scrutinio?
(4) Nell’assegnare un
limitato peso alle prove standardizzate nell’esame conclusivo di
tutto un ciclo scolastico non vi è nulla di sbagliato: la prova può
garantire una maggiore
omogeneità nelle
valutazioni degli alunni ed evitare derive quali quelle di cui ogni
anno puntualmente si discute in occasione degli esami di maturità;
se ben fatta, può fungere da segnale culturale per il sistema nel
suo complesso, aiutando a superare quei residui di nozionismo
tuttora troppo diffusi. Quanto ai contenuti, la prova è circoscritta alla rilevazione delle competenze degli studenti negli ambiti della comprensione della lettura e della matematica e non contiene elementi di differenziazione tra i diversi indirizzi di studio. Sulla base dei risultati ottenuti, si provvederà poi a condurre una prima prova su base universale nell’anno scolastico 2013-14, quando si sperimenterà, in un campione di scuole, anche la conduzione della prova tramite computer. Già a partire dall’anno scolastico 2013-14 l’Istituto inoltre immagina di testare elementi di differenziazione tra i diversi indirizzi di studio e una graduale estensione ad altri settori disciplinari. In prospettiva, l’Invalsi immagina di poter definire prove standardizzate che coprano tre ambiti disciplinari di base, con elementi di differenziazione tra indirizzi di studio, per italiano, matematica e inglese. Al singolo studente sarebbe data anche la possibilità di mettersi alla prova all’interno d’una rosa di altre discipline specialistiche. Tutte le prove verrebbero svolte su computer, con selezione delle singole domande da una più ampia banca di quesiti. Tale struttura di prove potrebbe dare elementi valutativi ricomprendibili all’interno dell’esame di Stato conclusivo del II ciclo e fornire indicazioni per l’orientamento nei successivi studi universitari. Anche per questo motivo, le prove verrebbero utilmente collocate già nella prima metà dell’anno scolastico e non al suo termine. Un loro eventuale utilizzo all’interno dell’esame di Stato, che comunque dovrebbe passare per un intervento di riforma che non spetta all’Invalsi, sarebbe perciò fattibile solo a partire dall’anno scolastico 2014-15, che è l’anno di entrata a pieno regime della riforma del II ciclo.
(1) Per un’esposizione più ampia di quanto qui sostenuto, si veda l’intervista per Le voci della scuola, reperibile anche sul sito dell’Invalsi (http://www.invalsi.it/ download/interviste/Intervista_Paolo_Sestito.pdf). (2) Il progetto Vales è un progetto del Miur a cui partecipano 300 scuole: a un primo percorso di valutazione (autovalutazione e valutazione da parte di un team di valutatori esterni) segue una successiva definizione e implementazione di interventi di miglioramento. Nel progetto l’Invalsi sta definendo, con un intento sperimentale, gli strumenti del percorso valutativo. Si veda http://www.invalsi.it/invalsi/ri/vales/ documenti/Logiche_gen_progetto_VALeS.pdf. (3) Per maggiori dettagli si veda il materiale esposto in http://www.komedia.it/ invalsi/guida_invalsi.html.
(4)
L’esame conclusivo del primo ciclo comprende un’ampia congerie di
prove, tutte concentrate in pochi giorni e tutte aventi lo stesso
peso giusto perché nelle norme impropriamente si parla di media e
non di media ponderata.
La Voce.info, 12.2.2013
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