SOCIETÀ INCIVILE

Ragazzi, fate i bravi, non sparate ai prof

di Marida Lombardo Pijola Il Messaggero, 2.2.2013

Ho fatto un incubo. Purtroppo mi ero addormentata male, quasi all’alba, nell'orribile sensazione di un rimbombo legato alle sequenze di una sparatoria. Adesso mi direte: se sei così impressionabile, allora non guardarli -e meno che mai di notte- certi film. Non era un film. Erano i miei pensieri che stavano sceneggiando una notizia. Un ragazzo del Ravennate ha sparato alla sua professoressa che l’aveva rimproverato il giorno prima. A pallini, ha sparato, con una pistola ad aria compressa. La qual cosa alla gravità del fatto toglie solo la disponibilità di un porto d'armi. Le ha fatto pure male, all'insegnante. Ed ecco l’incubo. Un incubo di quelli che ti svegli e speri che si sia trattato solo di un’evoluzione surreale dell’inconscio, e invece sai che no, è stata una proiezione realistica e coerente, un soprassalto lucido della coscienza, delle esperienze, delle informazioni.

Già il contesto...Mi aggiravo inquieta, tra il sonno e la veglia, per scuole primarie, medie, superiori, del genere di quelle che frequento da molti anni, in quanto genitrice di educandi. La mia identità si sdoppiava tra quella di madre e quella di volontaria sugli scenari di un recente e devastante terremoto. Mi muovevo angosciatissima tra mura sfregiate scrostate scalcagnate, distribuivo coperte e cibo per proteggere dal freddo e dalle magagne della mensa i ragazzini, mi interrogavo sul grado di stabilità e di sicurezza di quegli edifici, mi appenavo per la sorte di tutte quelle povere creature.

Altro che inconscio. Ero conscia, conscissima: avevo una coscienza matematica, direi. Si alimentava di cifre diffuse dall’Unicef proprio ieri (e questi erano lampi della veglia). Le cifre mulinavano tra quelle immagini, galleggiando nell’aria, illuminandosi, ed emettendo suoni striduli da allarme rosso (e queste erano integrazioni del mio sogno). Metà degli edifici scolastici sono stati costruiti tra 30 e 50 anni fa, alcuni (4 per cento), prima del Novecento. E si vede. Tralasciando l’aspetto sgangherato, meno di due edifici su dieci hanno il certificato di prevenzione incendi. Si aggira tra un po’ più e un po' meno della metà il numero degli edifici che possiedono un impianto idrico antincendio, una scala interna di sicurezza, una dichiarazione di conformità dell’impianto elettrico, un sistema di allarme.

Ed ecco che in tutto quel degrado, nel mio incubo, lo sguardo mette a fuoco una struttura metallica, scintillante, allestita davanti agli ingressi delle scuole. E’ la stessa che c’è negli aereoporti. Metal detector. Alcuni poliziotti, tetragoni, perquiscono i ragazzi. Viene fuori di tutto, dalle tasche, dai calzini, dalle mutande, dagli zaini. Pistole ad aria compressa, coltelli e coltellini, tirapugni, caschi di moto multitasking, bastoni, catene, cellulari già programmati su categorie di insulti spendibili per cyberbulli, bombolette spray con bigliettini a tema da trascrivere sui muri testualmente (tipo: W la raza ariana, ebbrei carogne, mile ani di Hitler, cammere a gass), ed altre armi improprie come queste.

Comprendo allora (nell’incubo) che sin dalla più tenera età le povere creature, trascurate dalla giurisdizione formativa persino nel loro diritto a studiare in ambienti decorosi, si sono arrabbiate moltissimo, e si sono organizzate una giurisdizione in proprio, denominata legge della giungla. La parte più vigile del sogno mi ha messa in contatto con la consapevolezza, denunciata dall’Unicef anche questa, che, nonostante l'emergenza, le parole “bambino” e “adolescente” non compaiono in nessun programma proposto nella campagna elettorale. Mi ha messa in contatto inoltre con un dibattito tra me e alcuni giovanissimi che tendenzialmente stimo molto, e che considero bravi ragazzi, dotati di saggezza, sensibilità, rispetto degli altri e delle regole, freni inibitori.

Commentando la sparatoria a scuola, i bravi ragazzi così riflettevano: “certo l’ha fatta grossa, quel ragazzo”, “ha esagerato”, “è un vero cretino”, “però hanno esagerato pure i giornali”, “a me non sembra mica 'sta notizia”, “son cose che succedono”, “ha sparato a pallini, mica per davvero”, “non si è reso conto di quello che faceva…”. E via così. Mai giustificazionisti, questo no, però sdrammatizzanti, questo sì. Plasticamente sovrapponibili, nel loro dire, alla spiegazione successivamente fornita dal killer ad aria compressa. "Non mi sono reso conto di quello che facevo".

E allora ho pensato ai genitori dei bravi ragazzi, che credono di aver fatto un buon lavoro senza aver fatto i conti con l’ordinarietà della giurisdizione "legge della giungla" di cui sopra; che si crogiolano beatamente nel liquido amniotico delle loro splendide certezze senza aver fatto i conti con l’ imprecisione delle coscienze giovanili e con la perdita di autorevolezza degli adulti; che si compiacciono della formazione imposta ai propri figli senza aver fatto i conti con la confusione dei valori, con l'entropia dei riferimenti, con la tendenza a non rendersi conto, appunto, che rallenta lo slancio dell’indignazione.

Ho pensato che quei genitori dovrebbero cercare di perquisirgli il cuore e i pensieri, ai propri figli. Riflettere sul vero potere contrattuale dei loro insegnamenti, fare autocoscienza, interrogarsi su chi vince davvero, nel braccio di ferro con il conformismo generazionale. Concluso il dibattito, i bravi ragazzi di cui sopra sono usciti, come fanno ogni fine settimana. Io sono rimasta a riflettere, a fare autocoscienza, a interrogarmi, ad aspettarli quasi fino all’alba.