Valutare non è
un mestiere per italiani

di Stefano Stefanel ScuolaOggi 14.2.2013

Franco De Anna ha pubblicato nell’ultimo periodo alcuni interessanti interventi incentrati sulla valutazione (Valutazione delle scuole e valutazione degli apprendimenti, su www.pavonerisorse.it del 4 febbraio 2013, Del difficile pensare alla valutazione. E del più difficile fare, su www.scuolaoggi.org dell’8 febbraio 2013; La panca e la chaise longue (e la valutazione), su www.scuolaoggi.org del 12 febbraio 2013). Non entro nel merito specifico dei suoi interventi, che tutti condivido, ma voglio raccogliere alcuni suoi spunti per cercare di dipanare almeno un po’ un nodo che in Italia non riusciamo a sciogliere.

Per fare questo dobbiamo salire in attimo in Finlandia, dove a Jyväskylä (Finlandia centrale) si trova il FIER (Finnish Institute for Educational Research), un ente indipendente per metà finanziato dallo Stato e per metà finanziato da enti o privati e che si descrive così: “The home of PISA studies in Finland” e che esercita nell’ambito dell’Università di Jyväskylä. Il Fier detiene la competenza assoluta, riconosciuta, indipendente sui tutti i dati scolastici finlandesi e mondiali. Al Fier ho potuto leggere i dati Ocse-Pisa italiani in tutte le loro sfaccettature, senza difficoltà alcuna. Inoltre tutto il sistema di valutazione finlandese fa riferimento al Fier.

Esiste in Italia un organismo che fornisce dati da tutti universalmente riconosciuti e non contestati? Credo questo sia il primo grande scoglio al problema della valutazione: in Italia discutiamo su dati che non sono universalmente accettati e che non sono giudicati neutri e incontrovertibili. Al contrario non vengono ritenuti certi, sono contestati, sono considerati di parte, ecc. Il controverso utilizzo dei dati Invalsi fa il paio con il nullo utilizzo italiano dei dati delle rilevazioni Ocse-Pisa e ogni interpretazione parte da considerazioni sempre polemiche rispetto al dato, che non viene mai utilizzato per quello che è.

L’Invalsi sta facendo un grande lavoro, ma il 75% delle scuole non apre i file che vengono restituiti. L’enfasi che il Miur mette sull’Invalsi e il ruolo che ha l’Invalsi nel dibattito politico (sia per essere citato come sistema di valutazione innovativo, sia per essere accusato di essere l’ultimo baraccone messo in piedi dall’Italia, sia per essere considerato una banca dati di parte) non corrisponde al ruolo che ha nelle scuole, dove gli esiti delle prove Invalsi se confermano i voti vengono citati, se non li confermano sono indicati come esempio chiaro che con i test non si va da nessuna parte. L’inserimento della prova Invalsi nell’esame finale del primo ciclo con funzione valutativa è un errore palese (si introduce un elemento di monitoraggio e analisi del sistema e poi gli si fa fare media con gli altri voti) e viene preso sul serio solo da qualche insegnante, con gli alunni per nulla preoccupati avendo compreso che quell’esame è inutile, cartaceo, abborracciato e, con sei prove in poco più di una settimana, serve solo a confermare il voto di ammissione. Anche un errore grave come quello di far fare media alle prove Invalsi nell’esame finale del primo ciclo si stempera nell’indistinto mare della valutazione abborracciata e poco influente, “all’italiana”.

C’è poi uno spunto di De Anna che mi pare veramente illuminante: i valutatori di professione italiani (i professori delle scuole secondarie) non hanno mai studiato valutazione e infatti producono con i loro voti la più alta dispersione scolastica dell’area Ocse. I professori italiani infatti sono dei disciplinaristi che nessuno valuta e che non si fanno valutare, ma criticano l’Invalsi e l’Ocse e tutti coloro che li vogliono valutare, forti della convinzione di saper valutare senza aver mai studiato attentamente come si fa. E così assistiamo ai valutatori di professione che sono snobbati dal sistema scolastico italiano e presi sul serio dall’Unione Europea, dall’Ocse e dalla Società italiana e i valutatori diventati tali in quanto docenti che producono dispersione e dati che nessuno considera veritieri (né l’Unione Europea, né l’Ocse, né la Società italiana).

In tutto questo servirebbe almeno un accordo sui dati, ma io il Fier in Italia non lo vedo e non vedo alcuna unanimità sui dati italiani, tirati di qua e di là a seconda di quello che si vuole dimostrare. Ci sarà forse anche un eccesso di influenza nordica nelle prove Pisa, Iea, Timss e anche Invalsi, ma certamente il mercato del lavoro, la disoccupazione giovanile, le graduatorie permanenti dei precari dicono che la nostra società della conoscenza non sta messa proprio bene.

In questa situazione De Anna osserva che serve più e non meno valutazione: concordo pienamente con lui. Meno sono le risorse più devono essere spese bene e più devono seguire logiche ferree di analisi e valutazione. Credo sia ora di finirla col “sentito dire” all’italiana, con i pareri recuperati al bar o in bottega fatti passare per opinioni popolari e con i voti dati dai docenti come creazione di un valore sociale agli apprendimenti. Serve una valutazione esterna, approfondita, accettata. Cioè serve qualcosa che il sistema scolastico italiano non è in grado di produrre.