Rivoluzione civile (Ingroia): intervista di Letizia Bosco e Ilaria Persi il Sussidiario 6.2.2013 Il tema è così importante che nessuno ne parla. Che siano tutti d'accordo? E' il «primo fattore di sviluppo del paese», dice il mantra, ma, nella realtà , la scuola è la grande assente dalla competizione elettorale. Non nei proclami, naturalmente, ma nei dettagli. Per questo ilsussidiario.net ha rivolto ai responsabili scuola delle principali formazioni impegnate in campagna elettorale alcune domande sui temi più scottanti della politica scolastica. Le interviste sono state realizzate sulla base dei medesimi quesiti, uguali per tutti. Intervengono oggi Letizia Bosco e Ilaria Persi, del dipartimento scuola di Rivoluzione civile - Ingroia.
Prima di parlare di quali sarebbero i nostri interventi sulla scuola, ci sembra doveroso puntualizzare e chiarire la nostra analisi riguardo le politiche scolastiche degli ultimi decenni; riteniamo infatti che i provvedimenti in materia scolastica realizzati dai governi che si sono succeduti negli ultimi decenni in Italia siano stati dettati da una logica di mero risparmio economico a cui
è stato subordinato qualsiasi altro criterio di natura didattico-pedagogica. Si
è raggiunto l'apice con le riforme degli ultimi governi, in particolare quello Berlusconi (di cui il successivo
è stato solo un consequenziale sviluppo) che ha sottratto con la legge 133/2008
più di 8 miliardi alla scuola. Le riforme Gelmini, con il solo scopo di diminuire
l'organico delle nostre scuole, hanno determinato un generalizzato impoverimento
dell'offerta formativa, attraverso la drastica riduzione del tempo scuola.
Noi vorremmo invece voltare pagina e iniziare a investire nella scuola come istituzione dello Stato, fondamentale per rendere attuativo il dettato
dell'art. 3 della nostra Costituzione e cioè la rimozione degli «ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la
libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».
No. Esprimiamo infatti la nostra contrarietà alla separazione tra la formazione degli insegnanti e il loro reclutamento. Siamo fermamente convinti che per rispondere all’esigenza di affidare le nostre scuole a personale qualificato e al contempo evitare la formazione di nuovo precariato scolastico per il futuro si debba prevedere un percorso formativo sicuramente selettivo e strettamente connesso con il reclutamento. È chiaro che nell’immediato devono comunque essere affrontate e risolte le questioni riguardanti l’attuale precariato scolastico, il cui mancato assorbimento è stato dovuto esclusivamente ai tagli operati negli ultimi anni e quindi riteniamo che sia necessario prevedere una fase transitoria per l’assorbimento dei precari prima di procedere all’attivazione di nuove procedure di reclutamento.
Per quanto attiene alle nostre proposte in merito alla formazione e al reclutamento del personale docente, precisiamo che è già presente in Parlamento una proposta di legge, l’A.C. 5075, presentata dall’IdV nel 2012, che, a nostro avviso, costituisce un punto di partenza per avviare una discussione con chi vive e opera all’interno delle nostre scuole anche sul tema del reclutamento. Tale proposta prevede, proprio nell’ottica delle affermazioni precedentemente esposte, la connessione tra formazione e reclutamento dei docenti: si prevedono infatti percorsi di specializzazione a numero chiuso e programmato in base alle esigenze del nostro sistema di istruzione che formino i nuovi docenti sia sul piano più strettamente didattico-disciplinare che su quello socio-psico-pedagogico; è prevista inoltre un’attività di tirocinio da effettuarsi presso le nostre scuole con la supervisione di insegnanti tutor; il personale in formazione sarà poi utilizzato, con contratto di formazione, per coprire gli incarichi di supplenza oggi attribuiti con contratto a tempo determinato ai precari e successivamente, previo superamento delle prove di abilitazione, tale contratto verrà trasformato in contratto a tempo indeterminato.
La risposta del mondo della scuola nei confronti della legge che l’On. Aprea aveva presentato nel 2008 e che prevedeva, tra le altre cose, anche l’istituzione di un concorso di istituto (altro modo per indicare la gestione territoriale del reclutamento), rappresenta per Rivoluzione civile un indicatore importante rispetto al modo di affrontare questa questione. Condividiamo infatti la preoccupazione espressa da quanti temono che la chiamata diretta da parte dei dirigenti scolastici possa dar vita a deprecabili meccanismi clientelari cui peraltro, allo stato attuale delle cose, il nostro Paese non può ritenersi estraneo. Del resto ci sembra necessario dotare le nostre scuole di personale aggiuntivo per far fronte alle esigenze di ogni singola istituzione scolastica, ma siamo dell’avviso che questo obiettivo non sia necessariamente legato al reclutamento attraverso la chiamata diretta; anzi ci appare una forzatura la pretesa di svincolare la gestione degli organici dagli uffici scolastici regionali, ponendo fine alla prassi attualmente adottata.
Innanzitutto ci teniamo a sottolineare che gli scatti di anzianità rappresentano un oggettivo criterio per il riconoscimento della professionalità che i docenti, indubbiamente, acquisiscono e affinano attraverso l’esperienza e pertanto andrebbero immediatamente ripristinati e mai messi in discussione. Inoltre pensiamo che la collegialità, e cioè la collaborazione tra insegnanti, sia un principio indispensabile perché venga ottimizzato il rapporto insegnamento-apprendimento e pertanto si deve quanto più possibile evitare l’introduzione nelle nostre scuole di modalità di valutazione del lavoro dei docenti applicando meccanismi punitivo-premiali mutuati dal mondo dell’azienda che rischiamo di innescare logiche di antagonismo tra colleghi e compromettere così irrimediabilmente la delicatissima funzione primaria delle istituzioni scolastiche: la formazione delle nuove generazioni. A nostro avviso la qualità deve essere la norma, non l’eccezione da premiare, per questo risulta fondamentale la selezione e una formazione iniziale completa ed efficace, mentre il monitoraggio dell’operato dei docenti deve mirare prioritariamente alla rilevazione di situazioni di irresponsabilità e inadeguatezza all’interno del corpo docente. Riteniamo comunque che questo delicato compito non possa essere affidato a “super-esperti esterni”, ma vada attribuito a personale appositamente selezionato (all’interno del corpo docente stesso) sulla base di competenze specifiche accertate mediante procedure concorsuali. Anche questo argomento è affrontato all’interno della legge A.C. 5075 a cui abbiamo accennato sopra.
Decisamente sì. È necessario svincolare gli insegnanti dall’attuale inquadramento di carattere impiegatizio per consentire il riconoscimento della loro professionalità e il conseguente adeguamento salariale alla media degli altri paesi europei.
La valutazione delle singole scuole a nostro avviso deve avere come obiettivo il miglioramento della qualità dell’offerta formativa. Ciò premesso, a nostro avviso, i finanziamenti dovranno essere erogati in misura proporzionale alle esigenze delle scuole e quindi dovranno essere maggiori là dove le istituzioni scolastiche siano inserite in contesti di maggiore disagio sociale. Riteniamo invece del tutto inopportuna la logica contraria, attualmente in discussione, e che pretende di attribuire maggiori finanziamenti alle scuole i cui alunni abbiano ottenuto migliori risultati nelle prove Invalsi: si rischierebbe infatti così di premiare le realtà sociali già avvantaggiate, dal momento che non si può non riconoscere l’incidenza del retroterra culturale di provenienza degli alunni rispetto ai risultati di tali prove.
Condanniamo il carattere riduttivo e semplicistico dei test Invalsi, nonché le pratiche di addestramento che tali prove presuppongono e che rischiano di trasformare l’ordinaria attività didattica dei docenti in una palestra per rafforzare l’utilizzazione meccanica delle capacità logico-deduttive a scapito dello sviluppo del pensiero critico. Del resto questa pericolosa deriva è stata oramai riconosciuta ampiamente dai paesi anglosassoni, che hanno fatto fin ora un uso spropositato di questo tipo di test. I livelli di apprendimento degli studenti possono essere rilevati attraverso tipologie di prove più articolate, come avviene ad esempio per gli esami di maturità; dal confronto e dalla collaborazione tra docenti di scuole diverse si possono ottenere, a nostro giudizio, interessanti risultati in questo senso e siamo sicuri che, dalla valorizzazione delle esperienze migliori dei nostri insegnanti, potremmo elaborare preziosi modelli di riferimento per la valutazione degli apprendimenti degli studenti, eventualmente da sottoporre all’attenzione degli altri paesi europei.
Siamo dell’opinione che, come la nostra Costituzione prevede, le scuole private non debbano costituire un onere per lo Stato e del resto non possiamo esimerci dal denunciare i nefandi effetti che la legge 62/2000 ha visibilmente prodotto: ci riferiamo in particolare al proliferare dei diplomifici che hanno contribuito inevitabilmente al dibattito sul valore legale dei titoli di studio. Per quanto riguarda l’esercizio della libertà di scelta delle famiglie riteniamo che essa non sia comunque tutelata attraverso le sovvenzioni che lo stato può fornire: le scuole non statali di eccellenza hanno dei costi talmente elevati da comportare inevitabilmente l’esclusione degli studenti provenienti dalle fasce socio-economiche più disagiate.
Bisogna innanzitutto riconoscere le conseguenze negative che l’applicazione dell’autonomia scolastica ha comportato nelle scuole, a partire dalla trasformazione del preside in dirigente scolastico e dal conseguente logoramento del rapporto di reciproca stima e collaborazione tra docenti e preside esistente quando quest’ultimo era considerato un primus inter pares. Del resto la possibilità di applicare alla scuola il decreto Brunetta e quindi quei meccanismi punitivo-premiali per la valutazione della produttività dei dipendenti della pubblica amministrazione (come dicevamo sopra, tanto deprecabili nella scuola), non sarebbe stata così evidente senza la legge sull’autonomia scolastica. A nostro avviso, le scuole devono essere interamente finanziate dallo Stato, in quanto solo lo Stato può essere garante della qualità dell’offerta formativa delle scuole e dell’omogeneità del sistema di istruzione su tutto il territorio italiano. Aprire le scuole pubbliche al finanziamento privato specialmente in un clima, come quello attuale, in cui lo Stato trova sempre meno risorse da destinare loro, potrebbe sortire il deprecabile effetto di determinare addirittura la soppressione degli istituti che non vengono considerati un investimento proficuo da parte di un privato. A fare le spese di queste scelte sarebbero come al solito le realtà sociali più deboli. |