Una
posizione scomoda, quella di Paolo Sestito,
commissario straordinario all’Invalsi. Su
Lavoce.info ha difeso la valutazione e le
rilevazioni censuarie rispondendo alle tesi
formulate da un gruppo di associazioni (Aimc,
Cidi, Fnism, Legambiente scuola e formazione,
Mce, Proteo Fare Sapere, Per la scuola della
Repubblica, Cgd, Uds) che auspicano un
ripensamento complessivo dell’attuale sistema.
In realtà, quando Sestito afferma che «l’Invalsi
non crea e non pubblica league tables. Sta
lavorando sul concetto di valore aggiunto», il
destinatario è anche Roger Abravanel e tutti
coloro che chiedono la pubblicazione integrale
dei dati avendo come obiettivo una classifica
delle scuole. La valutazione non è e non può
essere mera premialità, dice Sestito agli uni e
agli altri. Ilsussidiario.net ha raccolto
l’opinione di Daniele Checchi, docente di
economia politica nell’Università statale di
Milano ed esperto di valutazione. Le
associazioni non rischiano di smontare il buono
fatto fino ad ora? «È il loro obiettivo»,
afferma Checchi. «L’invalsi si trova ad avere
una missione allargata, quella che gli
attribuisce l’ultimo schema di Regolamento sul
sistema nazionale di valutazione attualmente
alla firma del governo. Un compito cioè non solo
di misurazione, come previsto dalla sua
originaria missione docimologica, ma anche di
valutazione delle scuole e in prospettiva dei
dirigenti scolastici».
Con quali effetti?
Qualsiasi risultato l’Invalsi produca
acquisterebbe una valenza sia contrattuale verso
i dirigenti, sia di politica scolastica. Ciò che
diviene patrimonio generale di conoscenza può
indurre comportamenti differenziati da parte
delle famiglie.
Sancirebbe,
finalmente, la libertà di adottare comportamenti
discrezionali, in pratica di scegliere le scuole
migliori. O no?
Sì, ma immaginiamo cosa può succedere se la
scuola del centro ha dei risultati scolastici
del 20 o del 30% superiori a quelli della scuola
di periferia. Un dato di questo tipo, preso
senza ulteriori qualificazioni, induce le
famiglie a ritenere che mandando i figli in
quella scuola si otterrà un miglioramento della
performance dei propri figli del 30%. Ovviamente
questo è sbagliatissimo, per la ragione che il
30% di vantaggio di quella scuola del centro è
probabilmente dovuto per i tre/quattro quinti al
fatto che gli allievi provengono da famiglie con
uno status economico e con un grado di
istruzione maggiore, e solo per il residuo sarà
dovuto a competenze e qualità dei docenti.
Chi sarebbe
penalizzato?
I figli dei genitori meno istruiti, che
avrebbero lo svantaggio di rimanere nelle scuole
meno interessanti e perderebbero, come compagni
di scuola, i figli che arrivano dalle famiglie
più avvantaggiate.
Qual è invece,
secondo lei, la tesi chiave formulata nel
manifesto delle associazioni?
Esse dicono: non è questa (quella intrapresa
fino ad ora, ndr) la strada da seguire per
migliorare la performance delle scuole, che in
ultima analisi − per i firmatari − è un fatto
non misurabile. Vi si scorge la tesi che la
formazione degli insegnanti è l’unico modo per
migliorare la scuola. Parlano infatti di
«valutazione formativa».
«È necessaria una
valutazione improntata a narrazione e
cooperazione», si legge nel manifesto. Che ne
pensa?
È l’idea diffusa nella scuola italiana, ma non
solo, che la valutazione sia in massima parte
autovalutazione. Per cui il soggetto che dev’essere
valutato viene indotto, accompagnato,
incoraggiato − questo è il senso − a riesaminare
i propri comportamenti e a rivedere gli errori
che compie. Io sono io, insomma, e racconto me
stesso in rapporto a come io mi percepisco.
Questo cosa
comporta?
Che viene a mancare, come è evidente, la
confrontabilità: anche l’insegnante più scadente
può sempre raccontare, di fatto, una propria
visione delle cose che giustifica pienamente il
suo operato.
Lei non mette
dunque in dubbio la necessità di un benchmark
esterno.
Al contrario: penso che averlo realizzato sia
uno dei meriti principali dell’Invalsi. La cosa
che Sestito è riuscito a far accettare alla
stragrande maggioranza dei dirigenti scolastici
è che i dati delle loro scuole sono restituiti
avendo come benchmark il territorio di
riferimento, e il fatto che la singola scuola
sia paragonabile a scuole equivalenti dal punto
di vista della composizione sociale. La
pubblicazione dei dati su Scuola in chiaro,
autorizzata dall’Invalsi, avviene infatti sia in
compresenza delle medie provinciali e nazionali,
sia di scuole equivalenti.
Dubbi sul sistema
di valutazione attuale?
Supponiamo di avere il misuratore universale:
siamo sicuri di volerlo impiegare nella
gestione? Non è scontato. Fino a quando non ci
sia un consenso sufficientemente generale su
cosa vogliamo produrre attraverso questo
meccanismo occorrerebbe essere più cauti. In
questo il documento delle associazioni
sottolinea una verità sacrosanta: la valutazione
è un atto politico. E non dobbiamo
nascondercelo.
Si spieghi.
Nelle rilevazioni attuali ci siamo focalizzati
su italiano e matematica perché la tradizione
dell’Invalsi e i test internazionali vanno in
quella direzione, ma ce ne sono altre −
banalmente, il civismo piuttosto che la
conoscenza della storia − che abbiamo lasciato
fuori dalla dimensione valutativa. Scegliere la
matematica è dare anche una indicazione
curricolare: molte scuole hanno modificato i
programmi di matematica perché hanno l’interesse
che gli alunni ottengano buoni risultati. Ogni
scelta è inevitabilmente orientativa, ma proprio
per questo dev’essere condivisa.
Cosa propone?
Una fase intermedia, da stabilire con il
consenso di tutti, in cui facciamo esercizi di
valutazione per incrementare la cultura
docimologica e raccogliere il favore più ampio
possibile. Andrebbero soppesate anche le dirette
implicazioni della valutazione in sede di
incentivazione dei docenti, per le rilevanti
conseguenze che vi sarebbero in termini di
carriera.
Rilevamento
censuario o campionario?
Dipende cosa abbiamo in mente. Il campionario
serve solo ad avere una fotografia
dell’andamento medio della scuola italiana dal
punto di vista dell’autorità di politica
economica, ma se si vuol cambiare la scuola
occorre una rilevazione censuaria perché mette a
disposizione dei decisori molte più
informazioni.
Il Regolamento
sulla valutazione?
Se venisse approvato, sarebbe un’ottima notizia.