Scuola

Le elezioni, la valutazione
e l’"equilibrio" (precario) dell'Invalsi

Intervista a Daniele Checchi di Federico Ferraù il Sussidiario 22.2.2013

Una posizione scomoda, quella di Paolo Sestito, commissario straordinario all’Invalsi. Su Lavoce.info ha difeso la valutazione e le rilevazioni censuarie rispondendo alle tesi formulate da un gruppo di associazioni (Aimc, Cidi, Fnism, Legambiente scuola e formazione, Mce, Proteo Fare Sapere, Per la scuola della Repubblica, Cgd, Uds) che auspicano un ripensamento complessivo dell’attuale sistema. In realtà, quando Sestito afferma che «l’Invalsi non crea e non pubblica league tables. Sta lavorando sul concetto di valore aggiunto», il destinatario è anche Roger Abravanel e tutti coloro che chiedono la pubblicazione integrale dei dati avendo come obiettivo una classifica delle scuole. La valutazione non è e non può essere mera premialità, dice Sestito agli uni e agli altri. Ilsussidiario.net ha raccolto l’opinione di Daniele Checchi, docente di economia politica nell’Università statale di Milano ed esperto di valutazione. Le associazioni non rischiano di smontare il buono fatto fino ad ora? «È il loro obiettivo», afferma Checchi. «L’invalsi si trova ad avere una missione allargata, quella che gli attribuisce l’ultimo schema di Regolamento sul sistema nazionale di valutazione attualmente alla firma del governo. Un compito cioè non solo di misurazione, come previsto dalla sua originaria missione docimologica, ma anche di valutazione delle scuole e in prospettiva dei dirigenti scolastici».

Con quali effetti?
Qualsiasi risultato l’Invalsi produca acquisterebbe una valenza sia contrattuale verso i dirigenti, sia di politica scolastica. Ciò che diviene patrimonio generale di conoscenza può indurre comportamenti differenziati da parte delle famiglie.

Sancirebbe, finalmente, la libertà di adottare comportamenti discrezionali, in pratica di scegliere le scuole migliori. O no?
Sì, ma immaginiamo cosa può succedere se la scuola del centro ha dei risultati scolastici del 20 o del 30% superiori a quelli della scuola di periferia. Un dato di questo tipo, preso senza ulteriori qualificazioni, induce le famiglie a ritenere che mandando i figli in quella scuola si otterrà un miglioramento della performance dei propri figli del 30%. Ovviamente questo è sbagliatissimo, per la ragione che il 30% di vantaggio di quella scuola del centro è probabilmente dovuto per i tre/quattro quinti al fatto che gli allievi provengono da famiglie con uno status economico e con un grado di istruzione maggiore, e solo per il residuo sarà dovuto a competenze e qualità dei docenti.

Chi sarebbe penalizzato?
I figli dei genitori meno istruiti, che avrebbero lo svantaggio di rimanere nelle scuole meno interessanti e perderebbero, come compagni di scuola, i figli che arrivano dalle famiglie più avvantaggiate.

Qual è invece, secondo lei, la tesi chiave formulata nel manifesto delle associazioni?
Esse dicono: non è questa (quella intrapresa fino ad ora, ndr) la strada da seguire per migliorare la performance delle scuole, che in ultima analisi − per i firmatari − è un fatto non misurabile. Vi si scorge la tesi che la formazione degli insegnanti è l’unico modo per migliorare la scuola. Parlano infatti di «valutazione formativa».

«È necessaria una valutazione improntata a narrazione e cooperazione», si legge nel manifesto. Che ne pensa?
È l’idea diffusa nella scuola italiana, ma non solo, che la valutazione sia in massima parte autovalutazione. Per cui il soggetto che dev’essere valutato viene indotto, accompagnato, incoraggiato − questo è il senso − a riesaminare i propri comportamenti e a rivedere gli errori che compie. Io sono io, insomma, e racconto me stesso in rapporto a come io mi percepisco.

Questo cosa comporta?
Che viene a mancare, come è evidente, la confrontabilità: anche l’insegnante più scadente può sempre raccontare, di fatto, una propria visione delle cose che giustifica pienamente il suo operato.

Lei non mette dunque in dubbio la necessità di un benchmark esterno.
Al contrario: penso che averlo realizzato sia uno dei meriti principali dell’Invalsi. La cosa che Sestito è riuscito a far accettare alla stragrande maggioranza dei dirigenti scolastici è che i dati delle loro scuole sono restituiti avendo come benchmark il territorio di riferimento, e il fatto che la singola scuola sia paragonabile a scuole equivalenti dal punto di vista della composizione sociale. La pubblicazione dei dati su Scuola in chiaro, autorizzata dall’Invalsi, avviene infatti sia in compresenza delle medie provinciali e nazionali, sia di scuole equivalenti.

Dubbi sul sistema di valutazione attuale?
Supponiamo di avere il misuratore universale: siamo sicuri di volerlo impiegare nella gestione? Non è scontato. Fino a quando non ci sia un consenso sufficientemente generale su cosa vogliamo produrre attraverso questo meccanismo occorrerebbe essere più cauti. In questo il documento delle associazioni sottolinea una verità sacrosanta: la valutazione è un atto politico. E non dobbiamo nascondercelo.

Si spieghi.
Nelle rilevazioni attuali ci siamo focalizzati su italiano e matematica perché la tradizione dell’Invalsi e i test internazionali vanno in quella direzione, ma ce ne sono altre − banalmente, il civismo piuttosto che la conoscenza della storia − che abbiamo lasciato fuori dalla dimensione valutativa. Scegliere la matematica è dare anche una indicazione curricolare: molte scuole hanno modificato i programmi di matematica perché hanno l’interesse che gli alunni ottengano buoni risultati. Ogni scelta è inevitabilmente orientativa, ma proprio per questo dev’essere condivisa.

Cosa propone?
Una fase intermedia, da stabilire con il consenso di tutti, in cui facciamo esercizi di valutazione per incrementare la cultura docimologica e raccogliere il favore più ampio possibile. Andrebbero soppesate anche le dirette implicazioni della valutazione in sede di incentivazione dei docenti, per le rilevanti conseguenze che vi sarebbero in termini di carriera.

Rilevamento censuario o campionario?
Dipende cosa abbiamo in mente. Il campionario serve solo ad avere una fotografia dell’andamento medio della scuola italiana dal punto di vista dell’autorità di politica economica, ma se si vuol cambiare la scuola occorre una rilevazione censuaria perché mette a disposizione dei decisori molte più informazioni.

Il Regolamento sulla valutazione?
Se venisse approvato, sarebbe un’ottima notizia.