EDUCAZIONE

Cosa vuol dire educare in tempi
di grillismo dilagante?

Fabrizio Foschi il Sussidiario 28.2.2013

In che modo lo tsunami che ha investito il sistema politico nazionale si rovescerà  sulla scuola? E' forse già  possibile dedurlo da segnali di un pensiero trasversale che si va diffondendo e che probabilmente si andrà  infittendo e consolidando, composto com'è da vari fattori. 

Anzitutto l'etica della legalità  che attraversa il programma grillino e che già  è diventato un disegno di legge presentato all'Assemblea Regionale Siciliana (una sorta di laboratorio politico che molti vedono come base di un progetto nazionale). Il Ddl s'intitola "Educazione allo sviluppo della coscienza democratica contro le mafie e i poteri occulti" e prevede due ore settimanali di lezioni didattiche e laboratori dinamici (incontri con magistrati e giornalisti, nonché visite ai luoghi simbolo della lotta a Cosa Nostra) finanziati con i proventi ottenuti dai beni confiscati alla mafia, sull'onda di quanto già  propone l'associazione Libera. L'insegnamento della Costituzione, in chiave di introduzione alle regole di cittadinanza attiva, non è nuovo, per la verità , al panorama della politica scolastica contemporanea, ma probabilmente si arricchirà  di richiami ad una opposizione alla corruzione politica e mafiosa che nelle intenzioni dei governanti preludono ad una educazione concepita come attivazione di pratiche di comportamento legalitario. 

Un secondo argomento che sta molto a cuore ai grillini e ad un fronte composito di forze politiche vecchie e nuove (qui c'è veramente una notevole concordanza di "amorosi sensi") è il processo di digitalizzazione della scuola che nell'intenzione dei proponenti, non esclusi gli ultimi ministri dell'Istruzione, prevede l'abolizione graduale dei libri stampati e la loro sostituzione con i materiali digitali scaricabili gratuitamente da internet, con conseguente e collegato accesso libero alla rete da parte delle scuole e degli studenti. La proposta, in sé allettante anche perché il mondo si è spostato sul web, ha delle forti ricadute sull'origine della cultura e della formazione che non dovrebbero essere sottovalutate, perché nemmeno internet è una fonte neutra di informazione e deve prevedere comunque l'esistenza di un soggetto che filtra e compone da protagonista il quadro finale di una serie di dati cui attingere, anziché esserne oggetto passivo. 

La terza questione cui vale la pena di accennare perché esploderà , come sono esplose determinate rivendicazioni sull'uso delle risorse economiche e naturali di cui una nazione può usufruire, è la ragion d'essere della scuola stessa, che ormai un'ottica dominante si ostina erroneamente a definire "pubblica" mettendola in opposizione alla cosiddetta "privatizzazione" della scuola di cui si sarebbe macchiato un recente passato (in realtà  nulla di tutto questo s'è visto, ma tant'è). Nell'accezione più ovvia, "pubblico" è un oggetto di tutti e fruibile a tutti. A questo livello, Costituzione alla mano, si scontrano tre concezioni della scuola: 1) pubblica è la scuola statale; 2) pubblica è sia la scuola statale che la non statale/paritaria; 3) pubblica è la scuola di chi la fa, basta che sia un servizio di qualità  e alla portata delle tasche dei cittadini.

Diverse sono, tuttavia, le sfaccettature e le applicazioni dei principi. A Parma, per esempio, il neosindaco grillino è stato contestato perché ha alzato le rette degli asili nido e delle scuole materne. D’altra parte, tutti i partiti che si sono presentati alle elezioni (o quasi tutti) hanno promesso nuovi finanziamenti per la scuola, eppure non ci si rende conto che con l’estensione della scuola paritaria lo Stato potrebbe risparmiare. Come controprova, se le scuole paritarie chiudessero i battenti, lo Stato sarebbe costretto ad accogliere 750mila alunni, decine di migliaia di docenti e personale scolastico, per un costo di 6 miliardi e 200 milioni di euro; i comuni non saprebbero come coprire la spesa di 600mila bambini. Sarà bene avere sotto gli occhi questi numeri, nel prossimo periodo di inevitabili risparmi economici che non si traducano in tagli, ma in crescita del tessuto della comunità sociale. 

Accanto ai motivi di ordine teorico la scuola soffre di tutta una serie di problemi di ordine pratico che in attesa dell’insediamento di un nuovo governo, quale che sia, sono da portare a compimento. Basti accennare al sofferto iter del Tfa che deve essere concluso in attesa che la formazione iniziale dei docenti sia portata a regime. Di seguito, si apre la partita dei concorsi per l’immissione in ruolo dei docenti: ce n’è uno che si sta svolgendo, ve ne saranno altri? Che ne sarà del nuovo sistema di reclutamento? Il precariato storico, che guarda in parte al grillismo e in parte al vetero sindacalismo giocherà la sua partita per la riapertura delle graduatorie ad esaurimento, probabilmente. Il sistema sarebbe in questo caso veramente allo sbando. 

In ogni caso, rispetto a tutte le casistiche enunciate, nessuno e nulla potrà impedire di educare, cioè di trasmettere non solo nozioni, ma un senso della realtà attraverso gli oggetti dello studio, se c’è un soggetto adulto disponibile a farlo. Nel clima di ricostruzione di ogni aspetto della vita pubblica che si sta affermando, anche la scuola dovrà giocare la sua partita e, nella scuola, tutti coloro che hanno a cuore, al di là di tutte le possibili forme sperimentali di democrazia diretta o legalitaria, il destino delle giovani generazioni. La scuola è veramente da inventare ogni giorno, ma è possibile farlo se chi la vive come avventura dell’incontro e della conoscenza è anzitutto disponibile a mettersi in gioco in prima persona, sia in rapporto ai propri alunni, sia ai propri colleghi. Da questo punto nasce una responsabilità che non si fa scalzare da vecchi e nuovi profeti, ma è disponibile a confrontarsi con chiunque perché sa cogliere la ragione profonda delle cose. 

 


 

4. Rapporto studenti/docenti nei vari gradi di istruzione - Un colpo d'occhio generale ai grafici suggerisce che il numero di studenti per docente si sta riducendo in tutti i paesi, per quanto riguarda l'istruzione pre-primaria, primaria e secondaria; invece nell'istruzione terziaria, tale rapporto appare stabile o leggermente in aumento nell'arco dei 40 anni considerati. La variabilità  tra paesi è molto accentuata. A questo riguardo vale proprio la pena di evidenziare la situazione italiana in rapporto alla distribuzione mondiale e a quella della Korea. Già  dai primi anni 90 numerosi studi evidenziarono che l'Italia era caratterizzata da una stridente dicotomia: un rapporto studenti/docenti estremamente basso nella scuola primaria, ed un analogo rapporto estremamente alto per l'università . Dall'analisi dei dati della Banca Mondiale adesso è possibile affermare che: a) tale dicotomia non è cambiata nei 40 anni tra il 1971 ed il 2010; b) la situazione dell'Italia è di carattere eccezionale rispetto all'universo di riferimento; c) la Korea si trova in situazione diametralmente opposta alla nostra nei livelli di istruzione pre terziaria: quindi poche risorse umane in rapporto agli studenti iscritti; per l'istruzione terziaria invece, Italia e Korea presentano valori molto vicini anche se la Korea gode di un rapporto studenti/docenti inferiore e quindi di un maggior numero di risorse umane in rapporto agli iscritti.

Molti studi scientifici hanno ormai evidenziato l'impossibilità  di stabilire un nesso di causa-effetto tra risorse e risultati di apprendimento, in tutti i gradi di istruzione. Tale nesso presunto sopravvive oggi solo nell'immaginifico dei giornalisti, dei politici, dei sindacalisti e di qualche ricercatore poco informato: il confronto Italia-Korea sotto questo punto di vista è una conferma se non una prova di questa assenza di relazione. La scuola primaria italiana presenta risultati "soltanto" di livello medio nelle indagini IEA-TIMSS sulle conoscenze di matematica nel 4° grado di istruzione, a fronte di una dotazione di risorse umane estremamente abbondante, e di un vantaggio relativo rispetto ad altri paesi dovuto ad una scuola dell'infanzia, altrettanto ben dotata di risorse, che ormai abbraccia la quasi totalità  dei bimbi in età  pre-scolare. Ma la Korea riesce ad ottenere risultati di gran lunga superiori a quelli dell'Italia con quasi la metà  delle risorse umane in rapporto agli studenti, sia nella scuola primaria che nella scuola dell'infanzia!

E' ovvio che in assenza di chiari nessi di causa-effetto tra risorse e risultati, ogni paese tenderà  a valutare l'indicatore in questione con riferimento agli altri paesi: quelli sovra-dimensionati avranno uno stimolo alla riduzione delle risorse osservando quelli meno dotati, che comunque garantiscono un'istruzione di qualità  ai propri studenti (vedi Korea), mentre per quelli sotto-dimensionati accadrà  esattamente l'opposto. Da qui, probabilmente, la parvenza di "convergenza verso un valore medio" che si evince dai grafici nell'arco di 40 anni. 

Va da sé che in ambito scolastico sono in atto forze inerziali difficilmente contrastabili: un aumento di insegnanti, a fronte di un improvviso aumento delle nascite, produrrà inevitabilmente un esubero di risorse umane in rapporto alle future generazioni se le nascite iniziano a calare sensibilmente. E questo è in parte il caso dell’Italia, ma anche di altre nazioni. La domanda è: come utilizzare un eventuale “esubero” di risorse umane per tentare di accrescere la qualità degli apprendimenti di coorti di giovani in diminuzione? Altre possibili domande sono: forse sarebbe meglio puntare ad un minor numero di insegnanti, ma più qualificati e meglio remunerati? 

Conclusioni − Si spera che i dati qui riportati possano costituire uno stimolo alla riflessione sull’istruzione, non limitata all’università, ma estesa a tutti i livelli. Dall’analisi dei dati emerge che gran parte degli squilibri del nostro paese rispetto alla realtà OCSE, che hanno motivato la stagione delle riforme iniziata a metà degli anni 90, sono tuttora in atto e sotto questo profilo le politiche applicate appaiono poco efficaci. A nostro parere un punto cruciale è costituito dal livello degli apprendimenti nei diversi gradi di istruzione che risulta troppo basso in rapporto agli elevati standard dei più virtuosi paesi OCSE: in particolare il nostro sistema non è in grado di portare quote consistenti di studenti a livelli di eccellenza e produce una sorta di mediocrità che probabilmente è anche alla base del rallentato sviluppo dell’accesso all’istruzione terziaria. 

Ovviamente il dibattito su cosa sia in grado di accrescere il livello degli apprendimenti è del tutto aperto, ma una delle condizioni fondamentali è quella che gli studenti che investono in istruzione e le loro famiglie siano in grado di capire finalmente che non è il “pezzo di carta” che conta, ma è il livello di conoscenze-competenze raggiunto nelle discipline fondamentali, nell’istruzione primaria e secondaria, e in quelle specialistiche per quella terziaria, che è veramente importante. Gli economisti dell’istruzione hanno scoperto questo fatto solo di recente (si veda Gori E. (2004), L'investimento in Capitale Umano attraverso l'Istruzione, in G. Vittadini (a cura di) (2004) “Capitale Umano. La ricchezza dell'Europa”. Guerini ed.). 

Altro fatto fondamentale di cui bisogna diffondere la consapevolezza è che le conoscenze-competenze non sono misurate dal voto assegnato dagli insegnanti che spesso, per il quieto vivere, attribuiscono più sufficienze di quello che sarebbe naturale. Livelli di eccellenza e altri livelli inferiori, oggettivi, possono essere esattamente definiti attraverso scale di misura analoghe a quelle usate nelle indagini internazionali. Gli studenti e le famiglie devono essere resi consapevoli del loro diritto a conoscere il livello raggiunto rispetto a tali scale oggettive, in un qualsiasi momento dell’anno scolastico, e questo a livello individuale. Non è più sufficiente che siano resi noti i livelli medi di scuola: tale informazione, oltre a poter risultare inaffidabile poiché non tiene conto del valore aggiunto (ovvero della composizione degli studenti), non consente allo studente e alla famiglia di poter svolgere un’azione di sussidiarietà all’azione di valutazione formativa, spesso carente a livello scolastico, volta a recuperare per tempo eventuali carenze nel percorso di sviluppo. 

Un dato per tutti deve essere divulgato al pubblico: l’Italia sta sotto gli Stati Uniti in ogni livello di istruzione analizzato dalle indagini internazionali, ma gli Stati Uniti hanno varato nel 2001 una legge che va sotto il nome di “No Child Left Behind Act”, la quale sancisce il principio che nessun ragazzo debba essere lasciato indietro nella crescita verso il raggiungimento di elevati standard di conoscenza. Non siamo qui a raccomandare l’impiego degli strumenti previsti da tale legge (voucher, chiusura delle scuole inefficaci, privatizzazione ecc.) ma a consigliare che le non poche risorse umane presenti nella scuola italiana (anche se forse sotto pagate, ma oggi avere un lavoro è già qualcosa!) siano in parte impiegate nel controllare che la crescita di ogni studente risulti adeguata a standard sempre più elevati e che si provveda ad azioni di recupero in maniera sufficientemente frequente da rendere possibile il recupero medesimo: un debito nell’ambito della conoscenza diventa spesso una voragine incolmabile se non la si recupera in tempo. 

Gli istituti nazionali di valutazione, ovviamente impossibilitati a giungere al livello del singolo studente (purtroppo l’unico livello che conta veramente), dovrebbero limitarsi a 5 azioni fondamentali:

1.  sensibilizzare le famiglie riguardo al valore degli apprendimenti e all’importanza di una sua misura oggettiva e sistematica;

2.  costruire la scala di misura oggettiva per le discipline fondamentali;

3. costruire su un campione nazionale di studenti curve di crescita degli apprendimenti, dal primo anno delle elementari all’ultimo anno delle superiori, in modo da ottenere carte di controllo (analoghe a quelle del peso per i neonati) rispetto alle quali poter collocare in ogni momento, attraverso un test, il livello di un qualsiasi studente;

4. costruire un’interfaccia web che consenta ad ogni studente, ad ogni famiglia, ad ogni insegnante di conoscere il livello del singolo, o di un gruppo di studenti, in ogni momento dell’anno; 

5. aiutare le scuole ad organizzare con cadenza frequente azioni di recupero individuali e di gruppo, anche “rompendo” il concetto di classe ed introducendo quello di “gruppo di livello” almeno per il tempo necessario al recupero.

Si tratta di una strategia che risulta ben sperimentata da parte di organizzazioni quali la NWEA, valida sia per scuole pubbliche  che private, ed è una delle poche azioni di “accountability” in grado di favorire l’unica attività che ha qualche speranza di ottenere qualche risultato di miglioramento dei livelli di conoscenza, ovvero una azione di “valutazione formativa” continua e costante nel tempo. Per inciso, ma si fa per dire, questa impostazione sarebbe l’unica in grado di mettere in contrasto gli interessi degli stakeholders (le famiglie) e quelli dei produttori (le scuole), rendendo inutili strategie di cheating che, purtroppo − risultati INVALSI docunt −, sono state ben apprese ed implementate nelle scuole italiane.

(4/4 - fine)