Non volevo fare la prof
Le valutazioni a scuola di Mariangela Galatea Vaglio L'Espresso Blog, 1.2.2013 Quando si parla di valutazione a scuola (intendendo valutazione degli insegnanti) si sa già che si aprirà una diatriba senza fine. Qualunque cosa tu sostenga, anche se la argomenti in maniera puntuale e motivata, alla fine lo scontro si riduce in una battaglia fra due tifoserie: quella che dice che gli insegnanti non vogliono essere valutati con “test oggetivi” perché vogliono continuare a fare poco e non avere nessuno che controlla cosa fanno effetivamente in classe e “quanto” insegnano, e quelli che sostengono che invece, per larga parte, l’attività dell’insegnante – anche, forse soprattutto, di quello bravo – non è “valutabile” con test oggettivi. Per cui lo so che probabilmente in questo post si scateneranno i soliti battibecchi. Risparmiatemeli, se possibile, e proviamo a ragionare con calma sulla questione. L’insegnamento è una attività valutabile “oggettivamente”? Sì e no. Prendiamo la mia materia, l’italiano. E’ ovvio che con una serie di test somministrati agli alunni (INVALSI o quant’altro si voglia inventare) io posso avere un maggiore controllo su quanto viene spiegato in classe. In questo senso i test “oggettivi” possono aiutare a sgamare quegli insegnanti (ce ne sono, per carità, come in ogni tipo di lavoro) che fanno oggettivamente poco, nel senso che non spiegano grammatica, non insegnano i verbi, se ne fregano di fare analisi logica. Come li scopro? Non certo perché per un anno dai test i loro alunni risultano un po’ indietro, come credono molti, o perché ci sono molte insufficienze. Un anno capita che si abbia la classe che per quanto fai e spieghi non ha dei buoni risultati e un tot di insufficienze in una classe sono fisiologiche. Ma se capita che per un ragionevole e piuttosto alto numero di anni, sempre, le classi dell’insegnante x non riescono a fine ciclo a riconoscere in una frase semplice nemmeno un soggetto o un predicato (tutti gli alunni, quindi, non i soliti 3 o 4 o 10 che statisticamente ci sono in ogni classe), il sospetto che non siano in grado di farlo perché il collega non glielo sa spiegare viene. La valutazione degli insegnanti, in questo senso, anche la più banale, come si vede, richiede un numero di anni piuttosto alto, e bisogna inoltre considerare il contesto socio-economico-culturale della classe stessa. Bisogna inoltre avere un test di ingresso fatto seriamente, perché i progressi vanno valutati in base al livello di partenza degli alunni: se in prima media un anno mi arrivano alunni che non sanno nemmeno scrivere il proprio nome senza errori di ortografia e alla fine dei tre anni io riesco ad insegnare almeno quello, magari risulteranno più indietro rispetto ai loro coetanei di altre classi, ma io sono di sicuro una insegnante che ha lavorato bene. Tutto ciò per far capire (ai genitori e a chi non è del mestiere) che i cosiddetti “test oggettivi”non esistono, in realtà: se anche il figliolo è in una classe che agli INVALSI è andata malissimo non è il caso di salire sulle barricate e chiedere la testa dell’insegnante, perché la valutazione (del docente e degli alunni) è una cosa un po’ più complessa che contare quante risposte corrette sono state messe a crocetta in un test. C’è poi un lato dell’insegnamento che i test oggettivi non sono in grado di rilevare mai, per quanto bene possano essere fatti. E questo perché, come dico spesso, la scuola non è una fabbrica di bulloni. Le fabbriche di bulloni forniscono un prodotto standard e alla fine del processo: applicato il procedimento che si è deciso di applicare, i bulloni escono fuori tutti uguali, sempre. Ecco, a scuola no. E non solo perché ogni alunno è un un essere umano diverso, per giunta ancora in formazione, quindi reagisce in maniera diversa e qualche volta persino imprevedibile alle sollecitazioni esterne. Ma perché, soprattutto, gli insegnanti sono a loro volta esseri umani. Non sono uguali da un anno all’altro, neanche da un giorno all’altro, se è per questo. reagiscono a loro volta a sollecitazioni esterne, ed interne. Per cui non capita mai, ma mai mai mai, che un insegnante faccia la stessa lezione in una classe. O meglio, capita, ma quelli che lo fanno farebbero pure meglio a cambiare mestiere. L’insegnante non è un impiegato, è un artigiano. Il suo lavoro è o dovrebbe essere soprattutto creativo. Può essere Michelangelo o il più banale degli scalpellini, ma non produrrà mai due statue uguali, neanche se ci si mette d’impegno. Come lo scultore, deve prima vedere le venature del marmo, che sono i caratteri dei suoi alunni. E su quelle capire se può scolpire una statua grande, piccola, piena di dettagli o appena sbozzata. Io odio gli insegnanti che si barricano dietro questo lato “artistico” e ne fanno una giustificazione per improvvisare in classe, fidando ell’inspirazione momentanea: i grandi artisti erano soprattutto dei grandi tecnici, padroni di tutti i segreti della loro disciplina. Per cui è ovvio e scontato che un insegnante, nel mio caso di Italiano, deve sapere bene, anzi benissimo grammatica, conoscere i testi, saperli smontare, rimontare, costruire e spiegare. Ma poi c’è quel lato non artistico ma artigianale del nostro lavoro che è altrettanto importante, e fondamentale. Non è detto che un insegnante che spiega grammatica e finisce il programma sempre sia un bravo insegnante. E’ uno che finisce il programma. Non è detto che uno che sa tutte le eccezioni della grammatica sia un bravo insegnante. Come, e tutti ce li ricordiamo a scuola, non è detto che l’alunno secchione che sa sempre tutto perché impara a memoria il libro sia poi bravo davvero nella vita. Il lato artigianale del mestiere di insegnante, che è fatto di passione e anche di intuito, ma di una passione ed intuito che sono frutto dell’esperienza e delle conoscenze approfondite che il docente può avere, quello ecco non è facile valutarlo con nessun test. Anche perché a volte le ricadute ci sono, ma anni e anni dopo che la classe è uscita dalla scuola, gli ex alunni sono già grandi e vanno per il mondo con le loro gambe. Per cui i,o per carità, sono favorevole alla valutazione degli insegnanti con test “oggettivi”. ma vorrei, prima di tutto che fosse chiaro a tutti che anche il più “oggettivo” dei test “oggettivo” del tutto non è mai. E poi che c’è sempre un quid che sfugge ad ogni possibile test. Per cui attenzione anche a proporre una valutazione (sia degli alunni che degli insegnanti) che si basi solo su questi pretesi livelli oggettivamente riscontrati sulle basi di valutazioni di test, come pare sia l’andazzo. Si rischia di creare una scuola dove tutto è monitorato e incasellato, ma nulla funziona veramente. Può servire a scoprire con più facilità qualche insegnante che non fa il suo lavoro per pigrizia, sì. Ma rischia però, dall’altro lato, di creare una classe di insegnanti “impiegati” che spiegano solo ed esclusivamente quello che serve loro per fare bella figura nei test, ammazzando quel lato creativo ed artigianale che alle volte permette ad alcuni di essere ottimi docenti. La scuola “impiegatizia” forse può aiutare a creare un livello medio più diffuso ed accettabile, ma ha il guaio che però può appiattire le punte di eccellenza e di motivazione dei singoli docenti (a anche degli alunni). Possiamo avere una scuola che funziona magari apparentemente meglio, perché ha i ritmi di una ben oliata catena di montaggio della fabbrica di bulloni. Il guaio è che la scuola non produce bulloni, e se la riduciamo così c’è il rischio che invece non produca più quelle belle statue artigianali che magari non sono Michelangelo, ma, diverse le une dalle altre e ben costruite, sono comunque piccole opere d’artigianato alto. Quello che, peraltro, ci ha resi famosi nel mondo in altri campi, eh. |