Regione Veneto: un mondo a parte…

Questo articolo fa parte della puntata odierna di Vivalascuola, dal titolo:
Sì alla scuola dell’infanzia statale! Per leggere tutta la puntata clicca qui.

di Carlo Salmaso dal Comitato Genitori ed Insegnanti per la Scuola Pubblica, 9.12.2013

 “Il Governo ci vorrebbe più impegnati nella costruzione  di asili  pubblici. Noi diciamo che questa è la nostra storia  e che non ci sono alternative alla operosità sociale delle Comunità cristiane, parrocchiali e congregazionali in particolare; qui in Veneto, per quanto riguarda le scuole materne, non c’è un’alternativa agli istituti privati e in ogni caso non cerchiamo e non vogliamo nessuna alternativa, ci va bene la realtà che c’è già. Noi difendiamo le scuole paritarie, non ci interessa più il servizio statale, considerato che è mancato in quasi un secolo di storia del Veneto ”.

Luca Zaia, governatore della Regione Veneto, 27 dicembre 2012

Parlare di scuole paritarie e dei relativi fondi stanziati per farle funzionare nella nostra regione significa scontrarsi con una realtà che probabilmente non ha uguali nel resto d’Italia.

I presupposti per poter cercare di capire cosa succede vanno cercati cronologicamente negli ultimi 15 anni.

  • 21 marzo 2000: viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il testo della Legge n° 62 “Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione”: fortemente voluta dall’allora ministro Berlinguer, apre la strada all’equiparazione fra scuole statali e private.

  • 23 gennaio 2001: viene pubblicato nel Bollettino Ufficiale della regione Veneto il testo della Legge n°1 “Interventi a favore delle famiglie degli alunni delle scuole statali e paritarie”: battendo tutte le altre regioni il Veneto cerca per primo di adeguarsi ai nuovi dettami della parità.

Il titolo dato a questa legge è un vero e proprio falso in atto pubblico, dato che esclude dall’accesso al buono gli studenti delle scuole statali. Nel regolamento di attuazione della legge (di competenza della giunta regionale) si pone infatti un limite minimo di 300.000 lire per spese di iscrizione o rette di frequenza, in altre parole chi spende meno di questa cifra per iscriversi non può neppure presentare domanda! In questo modo vengono automaticamente esclusi tutti coloro che frequentano scuole pubbliche, dove le spese di iscrizione (anche includendo i contributi volontari quasi ovunque richiesti) non raggiungono neanche lontanamente la soglia fissata.

Quando poi si va a vedere gli alunni di quali scuole private possono presentare domanda, si scopre che sono comprese proprio tutte: paritarie, legalmente riconosciute, autorizzate, ecc. compresi i diplomifici. Le fasce di reddito arrivano a 80 milioni (di vecchie lire) netti, che, grazie al meccanismo di esenzioni e maggiorazioni, possono arrivare fino a 140/150 milioni di reddito. Un ultimo dato. Gli studenti della scuola pubblica (elementare, media e superiore) in Veneto all’epoca erano 490.000; quelli delle scuole private 24.300: ai primi (frequentanti scuole con convitto o educandati) sono andati 178 milioni, mentre ai secondi sono andati 17 miliardi e 300 milioni: mediamente 360 lire ad ogni studente della scuola statale e 700.000 lire ad ogni studente delle paritarie!

  • Giugno 2001: di fronte a questa palese ingiustizia e alla saldatura di interessi tra destra e gerarchie cattoliche, rappresentate dal voto favorevole della Margherita, alcune forze politiche e sindacali (PRC, Comunisti Italiani, Verdi, SDI), Lavoro società/Cambiare rotta CGIL, ed associazioni (Comitato scuola e Costituzione, Coordinamento Genitori Democratici, Associazione per la scuola della Repubblica, Coordinamenti studenteschi vari) decidono che l’unica strada da tentare sia quella del referendum abrogativo.

Il dibattito coinvolge anche le Reti di scuole che si sono create nel Veneto contro le politiche scolastiche del governo, i sindacati di base Cobas, RDB, CUB e Legambiente.

Non fu facile, dopo la pausa estiva e a scuole appena riaperte, riannodare in così poco tempo la rete dei contatti e avviare l’intera macchina organizzativa.

La raccolta di firme inizia ufficialmente nell’agosto 2001 e, nei mesi successivi, con centinaia di banchetti ne vengono raccolte più di 35.000 (30.000 il numero minimo richiesto per avere diritto al referendum).

La scelta della destra fu il silenzio sul referendum, la chiesa cattolica, per voce dei suoi vescovi e parroci, delle sue associazioni e dei suoi giornali (finanziati dalla Regione) invitò a non andare a votare.

Il 6 ottobre 2002 si svolse il referendum: il quorum non venne raggiunto (votò mediamente il 21,15% degli aventi diritto), anche se i SI presentarono una percentuale schiacciante, 93,5%.

Risultati Referendum 6 ottobre 2002 in Veneto

Provincia

Affluenza
alle urne %

SI
voti

SI
%

NO
voti

NO
%

Belluno

16,80

30.753

92,5

2.491

7,5

Padova

23,40

157.390

94,0

9.975

6,0

Rovigo

21,00

40.857

93,0

3.068

7,0

Treviso

18,40

114.978

92,3

9.554

7,7

Venezia

24,50

162.809

94,6

9.335

5,4

Verona

17,90

103.678

92,5

8.352

7,5

Vicenza

22,60

138.749

93,7

9.266

6,3

Regione

21,15

749.214

93,50

52.041

6,5

 

Un dato preoccupante fu la assoluta sottovalutazione di questo referendum (il primo sui buoni scuola) sul piano nazionale, sia a livello politico che sul fronte dei media: nessuno spazio significativo di informazione e commento sui quotidiani nazionali, nessuna presa di posizione forte da parte dei leader nazionali dei partiti promotori, lo stesso per quanto riguarda le forze sindacali. Non si capì che questo poteva essere un test significativo della volontà di svuotare sempre più il voto di significato: il fatto che non arrivassero a casa i certificati, in presenza della decisione della maggioranza di non informare i cittadini sulla scadenza elettorale, incentivò un astensionismo che non fu scelta politica, ma ignoranza.

Con il passare degli anni le risorse che la regione Veneto ha destinato al cosiddetto “Buono-Scuola” sono andate via via aumentando, senza modificare la franchigia legata alle spese di iscrizione o rette di frequenza, che oggi ammonta a 200 €.

Ma la distorsione maggiore rispetto ai dettami costituzionali dell’articolo 3 (È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana) e dell’articolo 33 (La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato) è senza dubbio legata alle scuole dell’infanzia.

Anche in questo caso le ragioni vanno cercate cronologicamente: il Veneto è stato fin dagli anni Cinquanta del secolo scorso un feudo della “balena bianca”, l’allora Democrazia Cristiana, rimpiazzata nel tempo da Margherita, Popolari, PDL, Lega…ma anche dall’attuale PD.

La presenza capillarmente diffusa in tutte le provincie della regione (con la parziale esclusione della sola Venezia, contraddistinta dalla forte concentrazione operaia di Mestre e Marghera) ha fatto sì che due delle principali leggi di riforma scolastica (la n° 444 del 1968 che istituiva la scuola materna statale e la n° 870 del 1971 che introduceva il tempo pieno nelle scuole elementari e medie) venissero completamente disattese.

Molto più comodo (e politicamente fruttuoso) indirizzare le necessità delle famiglie verso le parrocchie, diffusissime in tutta la regione: asili gestiti dalla chiesa nascono un po’ ovunque e la copertura del tempo pomeridiano per gli alunni del primo ciclo scolastico viene delegata ai “patronati” (gli oratori annessi ad ogni parrocchia).

L’effetto prodotto risulta duplice:

  1. la richiesta di attivazione di classi a tempo pieno appare insignificante se paragonata con quella di alcune regioni limitrofe (in primo luogo Lombardia ed Emilia Romagna); la loro necessità diventerà evidente solo a partire dalla fine degli anni novanta, ma ormai il danno è fatto.

I genitori sono arrivati a prendere consapevolezza del problema negli ultimi due decenni: in questo periodo diventa pressante la richiesta di attivazione di classi a tempo pieno e, in controtendenza con il resto d’Italia, tale richiesta riuscirà ad affermarsi parzialmente proprio nel periodo “gelminiano”, con risultati sorprendenti in alcune provincie (a Padova in tre anni, dal 2009 al 2011 la presenza di classi a tempo pieno passa dal 25% al 70%).

  1. La regione e lo stato si disinteressano volutamente dell’istituzione di scuole dell’infanzia statali nel territorio della regione: attualmente sui 581 comuni del Veneto, solamente 298 hanno la presenza di almeno una sezione di scuola dell’infanzia statale.

Questo fa si che, nella ripartizione degli alunni frequentanti, la situazione per l’anno scolastico 2012/13 sia risultata la seguente:

Alunni scuola  dell’infanzia 2012/13

 

Provincia

 Statali

 Paritarie

% alunni
statali

% alunni
paritarie

Belluno

3.130

2.129

59,5%

40,5%

Padova

6.081

20.203

23,1%

76,9%

Rovigo

2.526

3.143

44,6%

55,4%

Treviso

6.793

18.742

26,6%

73,4%

Venezia

10.933

12.388

46,9%

53,1%

Verona

8.743

18.428

32,2%

67,8%

Vicenza

9.587

16.433

36,8%

63,2%

Totale  Veneto

47.793

91.466

34,3%

65,7%

Dati forniti dall’USR del Veneto il 12 settembre 2013

Da aggiungere a questi dati che la stragrande maggioranza delle scuole paritarie risulta legata alla chiesa cattolica; gli ultimi dati forniti dall’USR del Veneto, risalenti all’anno scolastico 2011/12 danno infatti questa suddivisione:

tipologia

%

tipologia

%

Parrocchie,  congregazioni religiose, associazioni varie parrocchiali:

953

 

 

 

80,7%

Comunali:                      79

IPAB e Fondazioni:         117

Altre :                           32

6,7%

9,9%

2,7%

 

Ricapitolando: le scuole dell’infanzia nel Veneto sono per il 34% statali e per il 66% paritarie; fra le paritarie le comunali sono solamente il 7%, le restanti sono a vario titolo private, nella stragrande maggior parte dei casi a carattere religioso.

La regione Veneto finanzia in modo massiccio le scuole dell’infanzia, in base alla Legge Regionale n° 23 del 1980 e ai suoi successivi aggiornamenti:

Quattro milioni e mezzo di euro in più che si aggiungono ai 16 milioni e mezzo già stanziati per un finanziamento totale di 21 milioni di euro per il 2012: è lo sforzo straordinario per le scuole dell’infanzia paritarie annunciato dall’assessore alle Politiche sociali della Regione Veneto Remo Sernagiotto lo scorso 27 dicembre durante una conferenza stampa a Palazzo Balbi a cui hanno partecipato anche don Edmondo Lanciarotta, delegato per le scuole e le università della Conferenza episcopale triveneta e Nicola Morini, presidente della Fism di Rovigo e membro della Fism del Veneto.

«Negli ultimi anni – ha detto Sernagiotto – gli importi complessivi dedicati alle scuole d’infanzia paritarie sono saliti. Nel 2009 venivano erogati 11.980.000 euro, cifra in linea con gli anni precedenti. Dal 2010, con la nuova giunta Zaia i contributi sono saliti: 14,5 milioni nel 2010, 15 milioni nel 2011 e, sinora, erano 16,5 milioni per il 2012. Ora, grazie al Fondo Nazionale della Famiglia introdotto con la recente Legge di Stabilità, sono arrivate cifre aggiuntive alle Regioni.

Al Veneto sono toccati 8 milioni di euro e abbiamo deciso di stanziarne 4,5 milioni come quota aggiuntiva straordinaria per le scuole dell’infanzia paritarie».

Il prossimo anno, però, si tornerà ai 14,5 milioni di euro del 2010: le cifre aggiuntive rispetto a questa soglia stanziate nel 2011 e 2012 derivano appunto da contributi straordinari che nel 2013 non saranno purtroppo disponibili. E quindi il problema del finanziamento alle scuole paritarie si riproporrà tra un anno tale e quale…

«In realtà – hanno infine precisato Sernagiotto e il presidente della Regione Luca Zaia – avremmo voluto destinare alle scuole d’infanzia paritarie dei fondi ulteriori alienando degli immobili di proprietà della Regione ma l’operazione non è riuscita e non abbiamo potuto andare oltre».

da Gente Veneta del 5 gennaio 2013

Tanto per dare un’idea di come si ripartiscono questi fondi prendiamo ad esempio la provincia di Padova: le scuole paritarie finanziate sono in tutto 209; di queste solamente 10 sono comunali (tutte presenti nel comune di Padova), mentre le rimanenti sono private.

Man forte alla regione viene fornita anche dall’ANCI (l’associazione dei comuni italiani) del Veneto che nel luglio del 2012 si spinge fino a consigliare convenzioni con le scuole dell’infanzia paritarie e a predisporre un modello di convenzione da stipulare fra comuni e istituti paritari privati per “proporre ai propri cittadini dei servizi con elevati standard su tutto il territorio regionale, senza discrepanze significative tra comuni”.

I comuni, inoltre, per limitare l’esborso legato alla necessità di istituire scuole dell’infanzia comunali, sobillano i genitori e cercano di farli combattere dalla loro parte (cioè dalla parte delle scuole paritarie private…): vedi qui il testo di un volantino esemplare.

Ma quanti fondi arrivano complessivamente alle scuole paritarie, tenendo presente che oltre al contributo regionale dobbiamo conteggiare anche quelli versati dai comuni e quelli che arrivano dallo stato?

Per rispondere a questa domanda ci aiutiamo con i dati forniti dalla FISM del Veneto (Federazione Italiana Scuole Materne), la potente organizzazione che raggruppa le scuole paritarie dell’infanzia.

Abbiamo visto che i 21 milioni di euro stanziati per l’anno scolastico 2012/13 dalla regione ricadono complessivamente su circa 91.500 studenti: ciò equivale in media a circa 230 € per alunno.

La FISM Veneto ci informa poi che, mediamente, a ciascun alunno arrivano 360 € come contributo dai comuni e 550 € come contributo dallo Stato: in totale, quindi, per ogni alunno una scuola paritaria riceve circa 1.140 €.

La somma totale relativa a tutto il Veneto di questi contributi arriva a circa 110 milioni di euro annui.

La domanda che sorge spontanea è: ma con tutti questi soldi, versati periodicamente da almeno 30 anni, quante scuole dell’infanzia statali si sarebbero potute costruire?

E di questa situazione si sono mai resi edotti i cittadini?

Il governatore Zaia è così sicuro che se le cose fossero maggiormente note gli abitanti della sua regione continuerebbero a pensare che “ non c’è un’alternativa agli istituti privati e in ogni caso non cerchiamo e non vogliamo nessuna alternativa, ci va bene la realtà che c’è già”?

Con il referendum di Bologna del 26 maggio qualcosa è cambiato a livello nazionale, sia per quanto riguarda l’informazione, sia per quanto riguarda la consapevolezza in tema di parità scolastica dei cittadini: solo seguendo la via maestra indicata in quel contesto potrà esserci la speranza che un giorno, in tema di diritti all’istruzione, il Veneto non sia più un mondo a parte.