I ragazzi e la sfida della responsabilità

di Silvia Vegetti Finzi, La Lettura supplemento de Il Corriere della Sera, 29.12.2013

Marco non ha mai fatto pace con la scuola. Per lui star seduto nel banco è una tortura assurda, una camicia di forza cui opporsi in ogni modo, dimenandosi, disturbando i compagni, facendo il pagliaccio. Che bello far ridere tutti! Genitori e insegnanti reagiscono rimpallandosi la responsabilità. Per gli uni l'insegnamento è troppo noioso, per gli altri la famiglia di Marco troppo sbilanciata. Al padre assente corrisponde una presenza materna dilagante e oppressiva. Il duello tra casa e scuola esonera il bambino dall'assumere le proprie responsabilità. Nella sua testa l'insuccesso scolastico riguarda gli adulti, è un problema loro. E questi, finché dura la scuola dell'obbligo, cercano di minimizzare, di reagire cambiando istituto o sperando che, con l'età, le cose si aggiustino.

Ma alle superiori può accadere che, da problema marginale, l'insuccesso scolastico di Marco si trasformi in fallimento esistenziale. Il preside manda a chiamare i genitori (di solito si presenta solo la madre) ed espone il problema: il ragazzo non ce la fa. Non si tratta di rimediare a qualche brutto voto, ma proprio di un fallimento strutturale. A questo punto occorre chiedersi "perché", individuare le cause per trovare le risposte. Ma la responsabilità, evitata prima, si presenta ora come senso di colpa, come se al fallimento del figlio corrispondesse quello dei genitori. Così inteso, il fallimento viene vissuto come una catastrofe anziché come un momento di crisi, come una rincorsa che consente di saltare più avanti e più in là.

Molto diverso l'atteggiamento assunto dai genitori e dagli insegnanti anglosassoni che considerano l'andar male a scuola una crisi che si può e si deve superare, anche scegliendo un corso di studi più pragmatico e più breve. Che cosa provoca questo divario? Il fatto che spesso da noi la funzione materna - caratterizzata dal contenere, comprendere, giustificare - non è temperata da quella paterna, cui compete invece distinguere, separare sostenere le dinamiche di autonomia e indipendenza dei figli.

L'amore parentale, se non viene governato da una strategia evolutiva, diviene adesivo, confusivo, paralizzante. Solo chiedendo ai ragazzi di assumere progressivamente le loro responsabilità potremo renderli capaci di gestire un eventuale fallimento, inserendolo in una prospettiva di vita mobile e complessa, dove si può vincere e perdere, cadere e rialzarsi perché si è consapevoli che le esperienze, adeguatamente elaborate, costituiscono l'unica, vera scuola di vita.