Scrivere a scuola: di Simone Giusti, Corriere Scuola di vita 8.12.2013 Sembra che la prima penna a sfera, detta comunemente biro, dal nome del suo inventore, sia stata messa in commercio a New York nell’autunno del 1945. In Italia è entrata in uso molto più tardi, e solo a partire dagli anni Sessanta e Settanta ha cominciato a sostituire, nelle scuole, l’uso delle penne stilografiche o, più comunemente, dei pennini da intingere nel calamaio. Negli anni Cinquanta comincia anche a diffondersi la macchina da scrivere – la celebre Lettera 22 della Olivetti – che entrerà poi nelle scuole commerciali attraverso l’insegnamento della dattilografia.
La penna, invece, è assai più versatile e portatile, poiché può essere usata anche per disegnare, può essere usata su diverse superfici, consentendo allo scrittore di scegliere il tipo di carattere, la dimensione, la collocazione nello spazio della pagina, ecc. La macchina da scrivere ricopre un ruolo specializzato nel mondo della scrittura, mentre la penna biro è universale. Io stesso, che in questo momento scrivo sulla tastiera del mio computer portatile mentre mi trovo a Riga, in Lettonia, seduto su una sedia dotata di un piccolo tavolo, ho ben due penne nella tasca della giacca, da usare in caso di bisogno. La mia macchina da scrivere, invece, che mi è stata così utile almeno fino al 1992, quando ho comprato il mio primo personal computer, ora si trova nella soffitta della casa dei miei genitori, abbandonata.
Indipendentemente dalla presenza o meno di disturbi dell’apprendimento, l’utilizzo di strumenti diversi agisce in profondità nella mappatura del cervello, modificandone la struttura. Per questo è necessario, da parte degli psicologi dell’educazione e dei pedagogisti, studiare a fondo le conseguenze dell’uso delle nuove tecnologie. Nel frattempo, in attesa di questi risultati, i genitori e gli insegnanti, nel loro modesto ruolo di educatori, devono decidere se nascondere o mostrare ai figli e agli alunni le potenzialità delle nuove tecnologie, che per la prima volta, grazie alla possibilità di digitalizzare i testi di ogni tipo di scrittura, audio, video, perfino quei particolari testi videoludici interattivi che sono i videogiochi, riuniscono in sé funzioni che una volta richiedevano molteplici strumenti e competenze. Oggi, lo stesso dispositivo – smartphone, tablet o notebook o pc – può essere usato in modo semplice per leggere (cosa impossibile da fare con una macchina da scrivere o con una biro), per ascoltare, per parlare, per giocare, per scambiare informazioni, eccetera. Alcune di queste funzioni comportano necessariamente la scrittura (mandare un sms o una mail, compilare un format), ma non è detto che siano i migliori strumenti per scrivere, per esempio, un racconto, un romanzo, una poesia, un progetto o una relazione. Molti sono spaventati dall’utilizzo delle nuove tecnologie nelle scuole, e alcuni ritengono che l’uso precoce dei nuovi dispostivi digitali possa limitare la capacità di usare penne e matite. Non ho una ricetta e non credo che al momento sia possibile averne una, ma posso dire che il problema principale, a scuola, è la situazione di deprivazione tecnologica che vivono alcuni alunni per motivi socioculturali, economici o geografici. L’accesso a internet non è ancora garantito a tutti, né tantomeno si può parlare di una diffusione capillare di pc adeguati. Inoltre, come è stato nel caso della penna biro o, più avanti, del telefono cellulare, solo l’uso ci può insegnare ad apprezzarne le potenzialità e, quindi, a scegliere le funzioni delle tecnologie in base alle effettive esigenze.
La penna la tengo sempre in tasca. Mi serve per firmare il libretto delle giustificazioni e mi dà una grande sicurezza, poiché sono certo che una parola, una frase, un breve testo riuscirò sempre a scriverlo, qualsiasi cosa accada. |