I BUONI E I CATTIVI DEL 2013/2 - Ecco i 100 migliori e peggiori protagonisti

Peggio di così non potevano fare

Da Bersani lo sconfitto al forcone Calvani in Jaguar

 di Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 31.12.2013

Nell'anno peggiore per la politica italiana e i suoi dintorni, ci sono anche i peggiori in persona. Ovviamente non come persone ma per quello che potevano fare e non hanno fatto. O viceversa. Quelli sopravvalutati, dagli altri o da se stessi. Quelli che hanno sbagliato per colpa di altri, ma comunque hanno sbagliato.

Quelli che han fatto tutto da sé. Eccone 50.  [Maria Chiara Carrozza]

 

Ambrosoli Umberto: Beto, come lo chiamano gli amici, prima ha detto di no alla chiamata del centrosinistra, poi s'è lasciato tirare per la giacca da Giuliano Pisapia ed è sceso in campo per le regionali lombarde, mettendo k.o. gli avversari alle primarie, Alessandra Kustermann in testa. Quindi ha perso, certo non solo per colpa sua ma anche per molti, troppi, che nel Pd lombardo pensavano altrove. Ma poi, anziché fare il capo dell'opposizione, s'è perso nel Pirellone. Voto: 4/5.

Anzaldi Michele: l'ex-portavoce di Francesco Rutelli, uno dei pochi che Renzi ha voluto nella manciata di posti concessigli da Pier Luigi Bersani alle politiche, è stato il teorico di un paio di sortite improvvide: quella critica di una intervista di Francesco De Gregori, che più renziana non si poteva, e quella contro il Monopolyi come simbolo della finanza deteriore. Sarà un caso che, proprio in quel periodo, il Rottamatore abbia liquidato in fretta e furia la corrente renziana? Voto: 4.

Barca Fabrizio: brillanti studi economici, carriera rispettabilissima e lontana dalla politica, l'ex-ministro della Coesione territoriale di Mario Monti e figlio del dirigente comunista Luciano, aveva fatto sperare molti nel Pd.

Sembrava essere l'uomo nuovo ma lontano dal nuovismo di Renzi. Le attese erano state frustrate subito, quando Barca aveva prodotto un documento cerebrale, nel quale spiccavano concetti come «catoplebismo» e «mobilitazione cognitiva». Il tutto in un'idea di partito fortemente novecentesca. La «Ditta» trasformata, tutt'al più, in aziendina coi bilanci certificati. Voto: 3.

Basilio Tatiana: è la cittadina deputata più creativa del M5s. Ma la sua affermazione, via Facebook, sull'esistenza delle sirene, poi corretta in «mammiferi antroporfi», contro la cui scoperta complotterebbero le difese occidentali, ha fatto arrabbiare più di un militante grillino. Voto: non classificato.

Bersani Pier Luigi: è lo sconfitto dell'anno. Quello che secondo Renzi «ha sbagliato un gol a porta vuota», perdendo le politiche di febbraio. Ai molti errori della campagna elettorale, tutta di sinistra hollandiana, affidando all'esangue Centro democratico di Bruno Tabacci e Massimo Donadi il compito di portare gli elettori di moderati, Bersani ha aggiunto la triste pagine del «governo del cambiamento», quando s'è intestardito di portare in maggioranza Beppe Grillo che, fino al giorno prima, aveva chiamato «fascista del web». Dopo consultazioni di massa, con il Club Alpino Italiano e Roberto Saviano, l'epilogo è stato la trattativa trasmessa via streaming, coi portavoce di Grillo che lo insolentivano a ogni pié sospinto.

Drammatica la gestione del partito: inutili convocazioni della direzione fedelissima, manifestazioni «contro la povertà» che hanno fatto arrabbiare i militanti piddini dei quartieri da salvare, proclami antiCav e antigovernissimo, per poi proporre un candidato quirinalizio, Franco Marini, che avrebbe dovuto benedire dal Colle le larghe intese. Voto: 2.

Boccia Francesco: lettiano di ferro, tra i primi ad avvicinarsi a Renzi, l'economista della Liuc di Castellanza e sfidante di Nichi Vendola alle primarie pugliesi di qualche anno fa, s'era illuso di mettere nell'angolo giganti come Google e Amazon con una tassa da molti giudicata illiberale ed inapplicabile. Finché il neosegretario Renzi ne ha imposto lo stralcio. Sconfitta politica ma certo di minor impatto di un tweet che difendeva i famosi caccia F-35, per il loro uso nella protezione civile. Castroneria che fu addebitata a uno stagiaire rimasto ignoto. Voto: 4.

Boldrini Laura: la terza carica dello Stato, dopo aver invocato il controllo del web a causa di un volgare fotomontaggio che la riguardava, dopo aver speso improvvide parole giustificazioniste, poi corrette, alla notizia dello sparatore folle di Palazzo Chigi a fine aprile, è scivolata definitivamente sul viaggio in Sud Africa per commemorare Nelson Mandela, dove si era recato già il premier Letta. A chi le contestava la presenza del compagno al seguito, Boldrini rispondeva che non un euro di danaro pubblico era stato speso, notando, secondo alcuni maliziosamente, che anche Letta viaggiava con la first-lady, Gianna Fregonara. Voto: 4.

Bonanni Raffaele: c'è lui ma ci poteva stare benissimo il suo omologo Uil, Luigi Angeletti. Il ruolo dei due sindacati, sempre più gemelli, nell'attuale quadro politico è piuttosto sbiadito. Poca lotta ma scarsissima proposta. Unico attenuante: fare gli interessi dei lavoratori nel mezzo di una crisi straordinaria è difficilissimo. Voto: 5.

Bondi Sandro: archiviata la stagione del coordinamento pidiellino, voltata la pagina ministeriale alla cultura, che ha scontato una severità un po' sopra le righe, l'ex-sindaco comunista di Fivizzano (Ms) stenta a trovare il proprio ruolo. Situazione rappresentata plasticamente dal dibattito nel giorno della sfiducia a Letta: intervenuto con un veemente discorso contro l'esecutivo un attimo prima di B., gli è toccato sentire il Capo che, con un doppio salto mortale carpiato, ribadiva la fiducia. Voto: 5.

Bossi Umberto: il crepuscolo non è facile per nessuno ma il Senatur si cerca un dispiacere dietro l'altro. La scelta di candidarsi alla segreteria federale, prima messa in crisi dalla mancanza di firme e poi bastonata dal responso delle urne, a favore del maroniano Matteo Salvini, rendono più amaro il declino dell'uomo politico che pure aveva dimostrato una sensibilità unica comprendendo gli umori del Nord al disfacimento della Dc. Voto: 5.

Bray Massimo: dai giri in bici alla Reggia di Caserta, ai passaggi anonimi in Circumvesuviana, questo dalemiano passato dalla Treccani al Collegio romano, sede del ministero, per adesso cerca più che altro di far buon viso, anzi buona immagine, a cattiva sorte, ovvero la scarsezza delle risorse. Ma quello già basta: si è sbriciolato un vecchio muro a Pompei e nessuno l'ha messo in croce come Bondi. La sua risposta, nel merito, è stata quella di nominare un generale dell'Arma direttore per le antiche vestigia romane. «Dite qualcosa di sinistra», scongiurava Nanni Moretti, in una scena di Aprile, guardando in tv D'Alema parlare. Non aveva ancora visto Bray. Voto: 4 e mezzo.

Calvani Danilo: col suo comizio in jaguar ha fatto più danni al movimento dei suoi Forconi dei chicchi di grandine che rovinavano le colture nella sua azienda agricola di Latina. Braccia rubate all'agricoltura. Voto: 4.

Camusso Susanna: spesso in urto col Rottamatore ben prima della primarie dell'anno scorso, quando la segretaria della Cgil s'affrettò a far sapere d'aver votato Bersani e che «se avesse vinto Renzi, sarebbe stato un problema». Con la vittoria del sindaco all'ultimo congresso Pd, la cinghia di trasmissione si è rotta definitivamente. Voto: 5.

Cantone Carla: in risposta ai salti sul carro del vincitore annunciato del congresso Pd, Renzi, la ruvida leader dei pensionati Cgil è saltata a pié pari sul carro del perdente, Cuperlo, con prese di posizione al fulmicotone ed email agli iscritti. Una reazione scaturita dal discorso alla Leopolda del finanziere David Serra, critico sulle pensioni italiane. Superato il collateralismo col partito, siamo a quello con le minoranze. Voto: 4 e mezzo.

Cancellieri Annamaria: finita certamente nel tritacarne del giustizialismo italiano per la vicenda Ligresti, in cui le è stata addebitata una condotta tenuta anche per altri detenuti, non dimettendosi ha deluso però i molti che ne avevano persino auspicato un'ascesa al Quirinale. Oltre il merito della vicenda, c'era un metodo da salvaguardare: quello che le istituzioni vengono prima anche delle proprie ragioni. Voto: 5 e mezzo.

 

Carrozza Maria Chiara: questa ambiziosa ex-rettrice del S.Anna di Pisa è sospettata da alcuni di voler frenare sulla valutazione nella scuola, piazzando a capo dell'Invalsi, l'istituto ministeriale inviso ai sindacati della scuola, una figura che rompa con la tradizione dei predecessori. Lei nega, affidando l'istruttoria a una commissione guidata all'ex-ministro Tullio De Mauro, però notoriamente critico con l'Invalsi. Per il resto, una dichiarazione dietro l'altra: dal liceo d'accorciare, agli stage da potenziare, alla cultura finanziaria da introdurre a scuola. Immagina, puoi verrebbe da dirle con le parole di un noto spot. Poche parole sul Pd, invece. Eppure un tempo era bersaniana convinta. Voto: 5.

 

Casini Pier Ferdinando: ha condotto i suoi, che pure non erano tantissimi, sotto le insegne del professor Mario Monti, dopo aver lungo flirtato con Bersani. E poi, fatti due calcoli, constatato che il progetto gli aveva fatto perdere più consensi di quanti gliene avesse portati, se n'è andato sbattendo la porta. Via per un'altra avventura neocentrista. Come per altri, della prima e seconda repubblica, la cosa più difficile è ammettere i propri errori. Voto: 4-.

Corda Emanuela: s'è distinta dal gruppone parlamentare grillino per l'infausta commemorazione del kamikaze di Nassirya, insieme alle sue vittime italiane. Nomen, il suo nome significa «cuori» in latino, troppo omen. Criticata da molti compagni di partito. Niente «sursum» allora.Voto: 2.

Cota Roberto: il governatore piemontese è sotto schiaffo per alcune centinaia di scontrini allegri finiti nei rimborsi regionali. Lui dà la colpa alla segretaria. Ma a gennaio potrebbe arrivare la tegola delle firme false di una lista a lui collegata e il Tar del Piemonte potrebbe invalidare le elezioni del 2010. Aldilà dei guai giudiziari, un governo regionale che non ha fatto sognare, certo per colpa anche degli alleati, divisi qui prima che altrove. In certi casi chi guida non può chiamarsi fuori. Voto: 5.

Cuperlo Gianni: dopo tanti anni di ghost writing dalemiano e tanti anni nell'ombra in parlamento, il 52enne intellettuale triestino ha deciso di pagare un tributo d'amore alla Ditta, con questa competizione di bandiera alle primarie. Ma oltre l'onore delle armi, resta il risultato devastante, ben inferiore al peso specifico delle componenti che l'avevano prescelto. Cuperlo ha fatto il liquidatore inconsapevole di una tradizione. Niente a che vedere però con la tragica consapevolezza con cui Achille Occhetto aveva archiviato un pezzo di storia: l'ex-precoce giovane comunista giuliano sembra fatto a l'insaputa. Voto: 4.

D'Alema Massimo: prima attacca con ironia, poi tratta, quindi blandisce, poi minaccia, poi torna a diffidare. È la linea di condotta, ultra ondivaga, del «lider Maximo» verso il leader nuovo, forse minimo ma certo tale, Renzi: bastone, carota, bastone. Con l'effetto d'essere stato rottamato già, come parlamentare italiano e di esserlo presto come deputato europeo, salvo il dumping in qualche sconosciuta formazione socialista europea. Voto: 4.

De Luca Vincenzo: il sindaco sceriffo di Salerno, di cui si ricorda un colorito intervento antirenziano nell'ultima assemblea del vecchio mandato, s'è convertito al Rottamatore in dirittura d'arrivo. Nel frattempo continua il suo contenzioso col ministro Maurizio Lupi, che non vuol dargli le deleghe perché il sindaco campano non vuol mollare il municipio. Ormai fra i due siamo alle querele. Avvitamenti democratici. Voto: 5.

De Magistris Luigi: finito il tempo in cui il primo cittadino napoletano tuittava proclami in stile Masaniello 2.0 e vagheggiava liste arancioni nazionali, l'ex-pm cerca di tenere insieme una giunta che è stata spesso sul filo della maggioranza, dovendo imbarcare un consigliere dell'Udc per tener botta. Il Pd, diventato renziano, pur debole, potrebbe dichiarargli guerra. Voto: 5.

Di Girolamo Nunzia: dopo tanto berlusconismo militato, la giovane politica beneventana, scelta da Letta per l'agricoltura (e qualche maligno ci ha visto lo zampino del marito Boccia, lettiano), ha deciso di seguire il Ncd. Ministero interpretato in maniera dinamica. Troppo quando è andata al Brennero a sostenere la Coldiretti che bloccava i camion che importano gli alimenti e per difendere il made in Italy: per poco non c'è scappato un inno ai dazi ante Mec, nel senso di mercato comune europeo. Voto: 5.

Di Pietro Antonio: dalla foto di Vasto (Chieti), alla Caporetto dell'associazione che stava in testa all'Idv custodendone i patrimoni; dal matrimonio elettorale, di deboli interessi e poco amore, con Antonio Ingroia e molti altri, finito in una rapida separazione al sostegno convinto a Renzi alle primarie, un anno fa amichevolmente maltrattato. Mister che c'azzecca, non ne azzecca una. Fine della corsa. Voto: 3.

Emilano Michele: l'anno scorso, schierato con Bersani, aveva punto Renzi a più riprese. Quest'anno, convertito tardivamente sulla via della rottamazione, ha convinto il sindaco a inziare da Bari la campagna congressuale facendogli però trovare il padiglione della fiera del Levante mezzo vuoto. Voto: 4/5.

Fassina Stefano: nell'ultimo anno del leader dei Giovani turchi si ricordano più dichiarazioni su Renzi, suo storico bersaglio polemico, che sull'Economia, di cui è sottosegretario del governo Letta. Da questo esecutivo, in novembre, quando aveva scoperto che sulla legge di stabilità non l'avevano consultato, si era quasi dimesso. Quasi. Voto: 4.

Fini Gianfranco: dal «che fai mi cacci» di B., alcuni anni fa, alla cacciata dal Parlamento, a febbraio, per mano degli elettori. La parabole dell'allievo di Giorgio Almirante, rinato al moderatismo passando le acque a Fiuggi e pronunciando frasi coraggiose sull'Olocausto, sembra volgere al declino. Le adunate di Mirabello (Ferrara), ad arringare la folla, abbronzatissimo e in doppiopetto chiaro, paiono vecchi di trent'anni e non di tre. Voto: non classificato.

Formigoni Roberto: alle inchieste giudiziarie e le campagne stampa che ha subìto e che avrebbero annichilito chiunque, il Celeste ha risposto alternando aggressività a comunicazione un po' balzana (il «formaglione», il «forcaffè»). Quando Alfano e Lupi hanno guidato la scissione, lui ne ha subito alzato il vessillo al Senato, seminando tweet impertinenti. Un po' di democristiana discrezione non avrebbe guastato. Voto: 5.

Giannino Oscar: nell'orribile 2013 la sua vicenda assume i contorni della commedia dell'arte. Un uomo di grandi competenze economiche che sente il bisogno di fregiarsi di titoli mai avuti. Fatto che mostra quanto sia profondamente contorta, talvolta, la psicologia umana. Uno scherzetto che però è costato a Fare per fermare il declino qualche centinaio di migliaia di voti. Giorni bugiardi. Voto: non classificato.

Gotor Miguel: cantore delle gesta bersaniane, in quanto autore di una biografia essenziale sul leader di Bettola (Pc), suo consigliori prediletto, esponente dell'antirenzismo colto («nuovista arcaico» l'apostrofò su Rep) e firmatario di appelli di accademici e intellettuali pro-Bersani. Al Senato per questi meriti e atteso a un incarico governativo di primo piano, dopo la «non vittoria», come anche lui la definì a Porta a Porta la sera della disfatta, si è volatilizzato. Nei giorni convulsi delle elezioni del Quirinale e della tese assemblee al Capranica è emerso che l'uomo della strategia non era neppure iscritto al Pd. Storico: lui, docente a Torino, ma pure il fatto in sé. Voto: 4.

Ingroia Antonio: dopo i due mesi dil lotta al narcotraffico guatemalteco, ecco la candidatura in un partito personale, il suo, Rivoluzione civile, fatto coi saldi della seconda repubblica: da Di Pietro ai Verdi, da Rifondazione ai Comunisti italiani. Sconfitta sonora. Malgrado le canzoni di Fiorella Mannoia e le agende rosse antimafiose, il Popolo viola, Dario Fo e la Tavole della pace. Dalle cabine elettorli percentuali miserrime: più involuzione che rivoluzione, tanto che ora continua in solitaria, con Azione civile. Voto: 3.

Landini Maurizio: s'è messo a dialogare di buzzo buono con l'anticgiellino Renzi, non si sa perché vuol approfittare del riposizionamento a sinistra del Rottamatore o perché più interessato a far contare i metalmeccanici nella Cgil. Voto: 5.

Madia Marianna: lo scambio di persona fra il ministro del lavoro, Enrico Giovannini, e quello dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, è stato certamente ingigantito, ma il problema della giovane deputata sta, come ha protestato Chiara Geloni, nel suo excursus: da veltroniana a giovane turca a neorenziana. Troppo. Voto: 5.

Mecacci Patrizio: da segretario del Pd fiorentino aveva attaccato duramente il sindaco Renzi, particolarmente durante le primarie 2012. E il Rottamatore aveva vinto a Firenze e in Toscana, anche al secondo turno. Finito il mandato, il giovane post-delemiano, è diventato coordinatore nazionale della mozione Cuperlo. E Renzi ha stravinto. Nessun nesso causale, ovviamente, ma rischia di diventare il talismano del sindaco. Voto: 4.

Montezemolo Cordero Luca: il brillante presidente della Ferrari s'era invaghito della politica ma poi, subodorando la fregatura, aveva fatto un rapido passo indietro. Lasciando Andrea Romano, Irene Tinagli, Edoardo Nesi e qualcun altro a far la guardia al bidone di petrolio montiano. Fra i responsabili dello squagliamento di Scelta civica c'è però anche lui. Voto: 5.

Monti Mario: il Professore ha dato la colpa della sua sconfitta a molti fattori, tutti esterni, fra cui l'impudenza di Daria Bignardi, che in tv gli aveva lanciato in braccio il cagnetto Empy, ma «salendo in politica» qualche errore l'ha fatto pure lui. Innanzitutto lasciando il mondo tecnocratico, dal quale aveva riaccreditato il Paese in Europa, per gettarsi nella tenzone della bassa politica, ma anche scegliendo i consulenti e i candidati, alcuni dei quali venivano dritti dalla prima repubblica. Errori anche dopo, quando ha pensato di gestire un rassemblement nelle spirito degli amici del bridge e non pensando di dover passare dalle forche caudine della democrazia di partito. E la superbia è un peccato che pure un cattolico-liberale come lui deve confessare. Voto: 4.

Moretti Alessandra: ultimamente qualche maligno aveva messo in giro che avesse cercato di farsi renziana, venendo respinta dalla non-corrente. Voci di alcuni bersaniani ancora indispettivi per la sua «emancipazione» dal capo. Dopo il voto di febbraio, ha chiarito lei stessa, s'era semplicemente schierata fra i non-allineati. La bella avvocatessa vicentina, già portavoce di Bersani alle primarie 2012, e come tale catapultata alla Camera dal Porcelllum, poteva essere il volto nuovo della vecchia Ditta, ora dovrà lottare per un posto in lista alle prossime politiche. Voto: 4/5.

Nencini Riccardo: dopo aver dichiarato d'aver condotto 125mila socialisti italiani a votare Bersani alle primarie dell'anno scorso e aver sovente fatto baruffe con Renzi a Firenze, il segretario del Nuovo Psi s'è convertito sulla via della rottamazione, andando all'ultima Leopolda e schierandosi enfaticamente «con Matteo». Galeotta, giura, è stata la volontà del sindaco di condurre il Pd nel Pse. Voto: 4.

Paglini Sara: volendo bacchettare la collega Corda per le sue sconsiderate dichiarazioni su Nassirya, la senatrice grilina ha aggiornato la hall of fame dei peggiori dittatori sudamericani, creando il generale cileno «Pino Chet». Voto: 4.

Passera Corrado: fra un raduno di Todi e l'altro, dove doveva scattare la ricomposizione cattolica e lui diventare l'uomo della Provvidenza per il cardianal Angelo Bagnasco e i vescovi italiani, l'ex-banchiere s'è trovato a piedi. E risalire a bordo potrebbe non essere facilissimo. Voto: 5.

Pisapia Giuliano: la rivoluzione gentile s'è concretizzata nell'allargamento della zona interdetta al traffico, peraltro inventata dalla predecessora, Letizia Moratti. E in un incremento del bike sharing, voluto dalla sindaca di centrodestra. Oltre che in un buon lavoro su Expo, per la cui assegnazione la Moratti aveva dato un contributo decisivo. Unico segnale di discontinuità, qualche faticosissima ma parziale privatizzazione (Sea) e una battaglia annonaria per difendere i diritti dei tassisti contro i noleggiatori che viaggiano con le app. Per il resto, una grande smania di uscire da Palazzo Marino, prima con Ambrosoli, poi con l'endorsement a Renzi. Insomma, chiamiamola solo gentile, la rivoluzione s'è persa. Voto: 4.

Prodi Romano: legittimamente indignato per l'imboscata tesagli da 101 grandi elettori del suo partitio nell'occasione delle elezioni presidenziali, il Professore s'era rifiutato di prendere la tessera del Pd. E pareva votarsi all'Africa. Poi invece ha votato ai gazebo, facendolo sapere in anticipo. Secondo alcuni per senso di responabilità democratica, secondo altri per salire, anche lui, sul carro di Renzi, sin qui tenuto a distanza. Anzi, alcuni erano disposti a giurare che Prodi ritenesse proprio il sindaco fra i principali congiurati. Voci smentite dalla decisione di andare alle primarie. Sarebbe stato più trasparente dirlo, allora.

Voto: 5.

Rossi Enrico: un anno fra le invettive al turbocapitalismo e ai «padroni», gli strilli alle operaie grossetane in mobilità ree di affibbiargli colpe non sue e i post polemici contro Renzi sui socialnetwork. E qualche chiosa di sapore scissionista come quando, commentando i risultati del congresso Pd fra gli iscritti e il risultano non plebiscitario del Rottamatore, aveva scritto: «Il popolo della sinistra ha reagito ed è in piedi». Così, da quasi ministro del governo Bersani I, Rossi si avvia ad essere verso una difficile riconferma nelle regionali toscane del 2014. Voto: 4.

Salvini Matteo: dopo aver vinto a mani basse contro il vecchio Senatur al congresso, l'eurodeputato milanese ha improntato la guida della Lega 2.0 contro «Bruxelles ladrona» e lisciando il pelo dei Forconi, fingendo di non sapere che milioni di Italiani hanno voltato le spalle al Carroccio per le eterne promesse sul federalismo, spesso fatte dai banchi del governo, e per la gestione «creativa» del finanziamento pubblico al partito. Voto: 3/4.

Santanché Daniela: durante i giorni della decadenza ha sparso sale sulle ferite interne del Pdl, cercando lo scontro sempre ma il suo berlusconismo è stato spesso esasperato, considerando che, nell'era di Internet, erano ancora in circolo alcune sue dichiarazioni piuttosto feroci sul Cavalierle. Voto: 4.

Scalfari Eugenio: dopo aver detto peste e corna di Renzi, l'aveva rivalutato, per simpatia del suo editore, De Benedetti, che aveva, a sua volta, ripensato il sindaco. Poi non ha resistito, ed è tornato a criticarlo. Ma appunto, un uomo della sua età e del suo calibro, che per sua ammissione fa dire al Papa anche quello che non ha detto, poteva risparmiarsela. Voto: 5.

Squinzi Giorgio: il capo degli industriali italiani s'era presentato come verace imprenditore lombardo, poco incline a fare sconti alla politica. Cammin facendo la colla di Mr. Mapei è sembrata avere una scarsa tenuta e a Viale Astronomia è andato in scena lo stop&go: duri un giorno, blandi l'altro, possibilisti un altro ancora. Cosicché è potutto accadere che Squinzi abbia detto che è presto per dire che la recessione è finita e il suo centro studi che, invece, ne eravamo fuori. Voto: 5 +.

Vendola Nichi: la narrazione s'è interrotta col tonfo elettorale prima che con una risata, quella dell'intercettazione galeotta con l'uomo delle pr degli «acciaioli» Riva. Prima del voto, raccontava le sorti magnifiche e progressive di un'Italia svoltata a sinistra, paradiso dei diritti, dell'ambientalismo spiccio, sanamente antindustriale. Oggi, tratta la reunion col Pd, anche con quello renziano. Remake di Tutti a casa. Voto: 3.

Verdini Denis: l'uomo che una banca ce l'aveva davvero, anche se piccola e anche se a Campi Bisenzio (Fi), era voluto entrare caparbiamente nel gotha berlusconiano, comprandosi anche un pezzo del Foglio lariano, nel senso di Veronica. Alla fine di questo 2013, si ritrova con un filotto di guai giudiziari, e il ridotto forzista come prospettiva davanti ma scavalcato da Santanché, Brunetta e Raffaele Fitto. Si stava meglio quando si stava peggio: banchiere di provincia e politico con Mariotto Segni. Voto: 5.