Sorpresa, la scuola italiana migliora
La scuola italiana è in ritardo? Sì, ma è quella
che recupera di più. di Stefano Montefiori, Il Corriere della Sera 3.12.2013 DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI — Bocciati e promossi non sono gli allievi, ma i governi. Da quando l’Ocse ha introdotto i test PISA (Program for International Student Assessment ), nel 2001, ogni tre anni i risultati sono attesi con fiducia dai Paesi asiatici e scandinavi (quelli con i migliori sistemi educativi al mondo) e con apprensione da Usa e resto d’Europa, spesso in ritardo. Oggi verranno resi noti i dati relativi alla ricerca condotta nel 2012 per valutare le capacità di 510 mila quindicenni di 65 Paesi, e poche ore prima, nel suo ufficio all’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) di Parigi, Andreas Schleicher si occupa delle ultime correzioni. Cinquantenne, tedesco, statistico di formazione, Schleicher è il coordinatore del programma PISA, e consulente del colosso editoriale ed educativo Pearson (partner dell’Ocse), con il quale ha sviluppato il concetto di efficacy framework dell’apprendimento: di un sistema scolastico si valutano non gli stanziamenti, le risorse, i fondi, ma le capacità — e non solo i saperi — che realmente riesce a trasmettere ai ragazzi. Schleicher spiega come i suoi test sono diventati lo spauracchio di tanti ministri dell’Istruzione (anche nel suo Paese, la Germania), e perché l’Italia non va poi così male. «Nei primi anni è stato difficile fare accettare una cultura di responsabilità e di trasparenza, in Italia ci sono state molte critiche, oggi invece il programma PISA è bene accetto». Qual è la particolarità della situazione italiana? «Resistono molte differenze nelle performance tra Nord e Sud, ma io trovo il comportamento dell’Italia davvero incoraggiante. I primi risultati dei test Pisa erano deludenti, e non solo quanto al divario tra Settentrione e Mezzogiorno. L’Italia ha attraversato tempi difficili, molte risorse sono state tagliate, eppure è stata capace di migliorare. Anzi, l’Italia mostra uno dei progressi più rapidi, per esempio nel campo della matematica. Nel 2009 i risultati erano ancora di due punti sotto la media, ma in netto miglioramento. Voi italiani dimostrate che si può fare molto, che i buoni risultati non sono solo questione di più soldi. L’Italia è stata capace di fare quadrare il cerchio, ha ridotto le risorse, ma è riuscita a farle fruttare meglio». Quali sono stati i comportamenti virtuosi, secondo lei? «Il primo passo è stato accettare la realtà. Avevate tanti professori, ma pagati e formati piuttosto male. Le cose sono cambiate, la tendenza è avere meno docenti ma più capaci e professionali. E poi l’istruzione italiana era una grossa macchina centralizzata, oggi c’è più autonomia e creatività». Che cosa possiamo imparare da Paesi come Cina, Giappone, Corea del Sud, che sono in cima alla classifica? «In Asia ogni genitore, ogni nonno investe nei suoi bambini, vuole che i figli e nipoti abbiamo successo. E ogni insegnante pretende il massimo da tutti, nessuno è lasciato indietro». È questo che rende le scuole di Shanghai tra le migliori del mondo? «Sono state capaci di attrarre gli insegnanti più capaci, mettendoli nelle classi più problematiche. Se sei un vicepreside in Italia non devi fare altro che aspettare, invecchiare, e un giorno avrai il posto da preside. Se sei un vicepreside a Shanghai e vuoi fare carriera, il governo ti dirà “ok, forse ti promuoviamo, ma prima facci vedere cosa sai fare in una delle scuole più difficili”». Non dipende anche dal sistema culturale, dai valori radicati nella società? Non giocano un ruolo anche le «madri tigri» asiatiche? «Non nego che la cultura abbia un impatto profondo, ma dobbiamo chiederci: la cultura è ereditata, ci arriva da fuori, dagli antenati, o è creata da noi, da quel che facciamo ogni giorno? La cultura o le tradizioni spesso sono usate come una scusa per rassegnarsi. Pensiamo alla Polonia: negli anni 2000 era sotto la media. Nel 2009, veloce progresso. La Polonia non ha cambiato cultura, ha cambiato il suo sistema educativo». «Torniamo all’Italia: nel primo test PISA, mediocre. Da allora, rapido miglioramento. E potremmo ottenere ancora di più se accettassimo di essere più responsabili: genitori, insegnanti, allievi, presidi. Dovremmo tutti sentirci attori, più che oggetti passivi,, della cultura». Quale consiglio dà ai Paesi europei in marcia ma ancora indietro, come l’Italia? «La scuola non può più essere una specie di lotteria... Una grande ruota della fortuna che ha il compito di tirare fuori dal mucchio i più dotati. Dobbiamo pensare a migliorare i risultati di tutti. Pretendere successi straordinari da alunni ordinari». |