Il commento.

Decreto scuola: fra ri-partenza
e occasione mancata (...per gli insegnanti)

di Maurizio Berni e Rosanna Pavan,  ANFIS InForma dicembre 2013

DECRETO Ministro CARROZZA: welfare dello studente, mutui per l’edilizia scolastica, educazione alimentare, lotta alla dispersione scolastica, wireless nelle scuole secondarie per gli studenti, orientamento universitario, concorsi annuali per i dirigenti scolastici; il decreto interviene “quasi” a 360° nell’universo della scuola; tuttavia qualcosa ancora manca all'appello: la valorizzazione della professionalità docente.

I docenti nel decreto  del ministro Carrozza sono presenti in quanto precari da “sistemare” mediante progetti ad hoc, se, a causa della riforma Gelmini, non c'è più posto per loro nelle classi; oppure in quanto “inidonei”, da riutilizzare in qualche modo; oppure in quanto soggetti bisognosi di una “formazione obbligatoria” (peraltro non prevista dal contratto di lavoro) in caso di risultati negativi nelle prove INVALSI: non hanno mai un ruolo come protagonisti dei processi di riforma e come soggetti che partecipano a pieno titolo alle scelte che riguardano la scuola. Ci giungono perfino notizie di percorsi di scuola superiore resi quadriennali da sperimentazioni autorizzate dal ministero e, tuttavia, prive della delibera del Collegio dei Docenti.

E’ pur vero che una legge dello stato interpreta interessi generali dei cittadini e della società e la contrattazione sindacale, per sua natura “di parte”, davanti a una legge deve fare un passo indietro. Allora, però, questa caratteristica peculiare della funzione docente, per cui l'alto livello di responsabilità è tale da porre in secondo piano le esigenze rivendicative di lavoratori, dovrebbe avere ben altro riconoscimento, e uscire da una visione “assistenzialistica”, che nulla ha a che vedere con la “valorizzazione”.

Bene la stabilizzazione dei precari su tutti i posti vacanti e disponibili in organico di diritto, tuttavia non si dica che è una scelta politica; si tratta piuttosto di un atto dovuto di chi, messo ormai alle strette da una pioggia di ricorsi pendenti nei tribunali della Repubblica, e finiti anche sotto la lente della Corte di Giustizia Europea, si è dovuto smarcare per scongiurarne gli esiti, che vedrebbero l'amministrazione certamente soccombente, con una moltiplicazione di spese processuali e di risarcimenti di danni di vario genere: materiali, morali, esistenziali.

Male, invece, l'utilizzo diretto, senza procedure selettive, del personale precario nei progetti contro la dispersione. La visione assistenzialistica del problema non ha fatto intravedere la possibilità che questi progetti potessero essere portati avanti, mediante selezione per titoli, anche da docenti di ruolo, con un piccolo disimpegno dell'orario di cattedra, su cui nominare, e quindi far esercitare nella didattica attiva, quegli stessi precari che le buone intenzioni del decreto volevano impegnare. Le buone intenzioni non sono state evidentemente accompagnate dalla preoccupazione di garantire la qualità dei processi da attuare.

Problematico appare il reinserimento di una sola ora di geografia economica, in uno solo  dei primi due anni di scuola superiore: questo costringerà i docenti interessati ad avere cattedre con 18 classi e, nella maggior parte dei casi, articolate su più scuole.
L'unico timido accenno alla valorizzazione delle competenze professionali dei docenti si trova nell'articolo riguardante l'abolizione dell'obbligo di adozione dei libri di testo, e la conseguente opzione verso strumenti alternativi, anche multimediali. Si prevede la costituzione di una banca dati a piattaforma aperta su cui verrebbero raccolti materiali validati dalle scuole, nelle quali verrebbe individuato un docente supervisore che, avvalendosi eventualmente della collaborazione di altri colleghi, dovrebbe garantire la qualità sotto il profilo scientifico e didattico delle opere prodotte.

Tuttavia, questo, come molto altro ancora, va attuato “senza oneri”. In quest’ottica, se riflettiamo sulla proposta, siamo sicuri che si tratta di valorizzazione della professionalità dell’insegnante o piuttosto di ulteriore sfruttamento del lavoro dell’insegnante? Sembra un invito ai docenti a rinunciare a qualsiasi possibilità di vedere valorizzato il proprio lavoro e ai potenziali diritti d’autore, a seguito della pubblicazione della propria opera. Siamo proprio sicuri che basta raccogliere quanto viene prodotto quotidianamente – molto probabilmente in modo dispersivo e non certo organizzato, vista la totale mancanza di investimenti ad hoc - per avere la possibilità di sostituire così i libri di testo? Chi propone questa modalità mostra di non sapere quanto tempo serve e quanto lavoro c’è nella selezione, mediazione didattica e produzione di materiali per un’opera destinata agli studenti. Inoltre i materiali “invecchiano”, vanno adattati alle situazioni e alle classi e non tutto si può produrre “in casa”; basti pensare, ad esempio, ai materiali audio e video per l’insegnamento della lingua straniera: si possono, sì, reperire “materiali autentici”, tuttavia occorrono tempo e risorse per la loro selezione che ne consenta l’utilizzo più efficace.

Più in generale, a fronte di una lista molto nutrita di cose da fare, sono risibili le risorse disponibili. La frase “nell'ambito  delle   risorse   umane,   strumentali   e finanziarie disponibili a legislazione  vigente  e,  comunque,  senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica” si ripete ossessivamente lungo tutto il decreto.

In questo quadro di “risparmi”, si inserisce la procedura concorsuale annuale per l'individuazione dei dirigenti scolastici, che per la prima volta diventa onerosa per i candidati; essi dovranno infatti pagare delle tasse per sostenere le prove concorsuali di accesso al corso-concorso, e coloro che supereranno queste prove dovranno pagare di tasca propria le spese di viaggio, vitto e alloggio per i periodi di formazione residenziale previsti presso la Scuola nazionale dell'Amministrazione. Con questo meccanismo oneroso la selezione avverrà per censo, prima che per merito: tenuto conto infatti che lo stipendio medio di un insegnante è appena al di sopra della soglia di povertà relativa (fonte ISTAT), non tutti potranno permettersi di sottrarre al bilancio familiare questo tipo di spese. E anche questo non va certo nella direzione di una valorizzazione delle risorse umane.

Una considerazione particolare merita infine la formazione degli insegnanti. Attualmente se un docente vuole aggiornarsi lo deve fare a sue spese, e spesso implorare per avere la possibilità di andare a corsi o incontri durante l’orario di servizio. Aggiornamento e formazione dovrebbero essere qualcosa di strutturale e “ordinario” mentre nel decreto sembra limitarsi a interventi “una tantum”. Del tutto incomprensibile è poi l'idea di finalizzare le risorse a quelle scuole dove gli esiti INVALSI presentano maggiore criticità: sembra ci sia l’intenzione di rifarsi sui docenti considerati incapaci e unici colpevoli dei risultati raggiunti.

Si tratta di una presa di posizione ingiusta e vessatoria, in quanto le prove INVALSI, che peraltro sono circoscritte a due sole discipline, l'italiano e la matematica, nella scuola superiore sono somministrate una tantum. Di conseguenza non permettono un confronto del tipo prima/dopo, tale da poter mettere in evidenza punti di forza e di debolezza dell'azione didattico-educativa. L'errore non consiste tanto nel voler somministrare le prove INVALSI, che di per sé costituiscono uno dei tanti elementi da prendere in considerazione nel valutare l'istituzione scolastica, quanto piuttosto la pretesa di considerarle come unico strumento di valutazione. E, come ben sanno tutti i docenti, che di valutazione hanno certamente esperienza, una errata interpretazione dei risultati, a qualunque causa si voglia imputare, compresa quella di una sopravvalutazione degli strumenti utilizzati, non porta alcun beneficio alla qualità dei successivi interventi di recupero. Al loro costo non corrisponderanno i benefici attesi, portando il livello dell'efficienza del processo asintoticamente a zero e quindi, nei fatti, a uno spreco delle già scarse risorse disponibili.