In
Lombardia, Veneto e Piemonte
La lingua di Confucio conquista l'Italia:
In 5 anni i ragazzi che studiano il Mandarino
passati da 553 a 3.251 di Antonella De Gregorio, Il Corriere della Sera 18.12.2013 È boom di corsi di cinese a scuola«...bà-a, ba!». Accompagnano i suoni col movimento della testa, pronunciano quei monosillabi stretti come fossero filastrocche, versi di animali, giochi di parole. Hanno appena ascoltato la leggenda dell’Imperatore Giallo, che si racconta abbia inventato la scrittura osservando le tracce lasciate dagli uccelli nel fango. E ora provano a praticare i toni e memorizzare qualche parola nella lingua di «KungFu Panda» - cartone animato molto amato dai più piccoli - incuranti delle difficoltà. Sono cinque bimbi di seconda elementare, frequentano uno dei corsi della Fondazione Italia-Cina, che tiene lezioni di Mandarino presso diversi istituti di Milano e Como e da un paio d’anni organizza classi di «baby-studenti» nella sede di via Clerici a Milano. BISOGNA AVERE ORECCHIO - «La difficoltà principale è la scrittura - dice l’insegnante, Jada Bai - Imparare a leggere e a scrivere richiede molta pazienza e uno sforzo mnemonico importante, perché i cinesi utilizzano 5mila caratteri e l’unica maniera per memorizzarne il più possibile è scriverli tante volte». Poi c’è la difficoltà della pronuncia: il cinese è una lingua tonale, ossia utilizza parole corte mono o bisillabiche che cambiano significato solamente per una variazione del tono della voce. «Avere un buon orecchio musicale aiuta molto nell’apprendimento. In compenso, la grammatica e la sintassi non sono complesse, per cui non è così difficile imparare a parlare almeno a livello base ed elementare». NON C’È POSTO PER TUTTI - «Per esprimersi con un minimo di scioltezza servono almeno due-tre anni», conferma Giuseppe Polistena, preside del liceo linguistico Manzoni di Milano, tra i primi a introdurre, sette anni fa, la lingua cinese curricolare insieme al Pigafetta di Vicenza e al Deledda di Genova. «Da allora - dice il preside - le cose sono molto cambiate: se il primo anno abbiamo fatto fatica a riempire le due classi che offrivano l’insegnamento del cinese (54 posti in tutto, ndr), l’anno scorso abbiamo dovuto dirottare su percorsi alternativi metà dei 105 ragazzi che avevano superato il test d’ingresso; e quest’anno alle preiscrizioni abbiamo già ricevuto 300 domande, ma potremo accoglierne solo un sesto». PAZZI PER IL CINESE - Tutti pazzi per il cinese, insomma. Una lingua che sta prendendo sempre più piede e che si incomincia a studiare sempre più presto. I dati li ha resi noti Carmela Palumbo, direttore generale per gli Ordinamenti e l’Autonomia scolastica. Negli ultimi cinque anni, si è passati da 553 a 3.251 alunni che frequentano istituti dove si insegna il cinese; 1.283 le matricole, cioè gli iscritti al primo anno. Anche le scuole sono in costante aumento: da 9 istituti dell’anno scolastico 2008-2009 a 52 nel 2012-2013. La Lombardia, con 17 scuole, è la regione in cui l’offerta è più ricca. Segue il Veneto con 8, il Piemonte con 6, Lazio e Campania con 4 e le Marche con 3. Due istituti ognuna per Abruzzo, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia. Un solo istituto in Liguria, Puglia, Sicilia e Trentino Alto Adige. Scuole in prevalenza statali, ma non mancano alcune paritarie. MERCATO IN ESPANSIONE - Ultimo ad aprire alla lingua dei Mandarini, il liceo Ariosto-Spallanzani di Reggio Emilia dove il corso - 50 ore in tutto - è nato dall’intesa tra enti locali e investitori privati che guardano a Oriente per provare a inserirsi in un mercato in espansione. Le aree geografiche con la maggior densità di tale insegnamento sono d’altronde il Nord Est e il Nord Ovest. «Un fenomeno destinato ad aumentare - dice Palumbo -. Perché facilita l’ingresso nel mondo del lavoro sia all’estero, per chi vuole trasferirsi, sia in Italia, con soggetti che hanno scambi con la Cina». Ed è questo il senso di una maggiore diffusione nelle regioni in cui le attività economiche hanno più propensione all’internazionalizzazione del tessuto economico e produttivo del territorio. A CONCORSO - Gli Stati Uniti sono partiti molto prima: nel 2010 più di mille licei erano attrezzati per l’insegnamento del cinese ufficiale. In Italia, l’inizio è stato soft: negli anni Novanta lo si insegnava solo in quattro atenei: l’Università degli Studi a Milano, Cà Foscari a Venezia, la Sapienza a Roma, l’Orientale a Napoli. L’anno scorso la svolta, con il protocollo d’intesa tra Miur e fondazione Italia-Cina per portare il cinese negli istituti tecnici e professionali, per preparare i ragazzi all’accesso al mondo del lavoro. Da quel momento, le esperienze si sono moltiplicate. «Nell’ambito della revisione delle classi di concorso e di abilitazione - aggiunge Palumbo - è prevista la creazione di un apposito contingente di insegnanti abilitati all’insegnamento della lingua cinese» SOGGIORNI E SCAMBI - Oltre allo studio curricolare della lingua cinese, per il quale è previsto l’inserimento anche nell’esame di maturità, molte scuole, come il Convitto Nazionale «Marco Foscarini» di Venezia, prevedono poi stage più o meno lunghi e scambi di studenti. Che la Cina piaccia sempre di più, agli studenti e alle loro famiglie, lo dimostra anche il successo dei programmi di Intercultura. «Molto richiesti sia la frequenza dell’intero anno scolastico, che il soggiorno breve estivo: 400 le domande, nell’ultimo anno, 102 i ragazzi effettivamente partiti, di cui 70 con borsa di studio. E la Cina rappresenta la seconda destinazione, dopo gli Stati Uniti, per i 1.800 ragazzi che ogni anno partono con Intercultura, per 60 Paesi del mondo. |