Ma la scuola può aiutare
proprio i ragazzi più difficili»

Così Eraldo Affinati, scrittore di successo, insegnante di italiano presso
la Città dei ragazzi, a Roma, e da sempre impegnato nel recupero dei ragazzi difficili

A. Cam. Il Messaggero 29.12.2013

L’INTERVISTA ROMA «Anche se viviamo nel Paese di Cesare Beccaria, dobbiamo ancora imparare quello che lui scrisse nel 1764 e cioè che la pena non dovrebbe tendere alla punizione, ma alla rieducazione del condannato».

Così Eraldo Affinati, scrittore di successo, insegnante di italiano presso la Città dei ragazzi, a Roma, e da sempre impegnato nel recupero dei ragazzi difficili.

«Per come è costruito l’impianto penitenziario italiano – spiega Affinati -, lo studio in carcere resta ancora oggi problematico. Se l’ambiente carcerario non sostiene il sistema didattico posto al suo interno, prendere il diploma dietro alla sbarre resterà quello che è oggi: una sfida, bella ma difficile».

Perché un insegnante, che ha già un lavoro impegnativo, sceglie di salire in cattedra in condizioni di così forte disagio?

«I ragazzi complicati, bocciati, indisciplinati e ribelli, sono paradossalmente quelli che ti possono regalare le maggiori soddisfazioni. Il peggiore dei miei studenti compie sempre un passo in avanti rispetto al contesto sociale da cui proviene».

Cosa insegnare? Come insegnare?

«Bisogna riuscire a conquistare la fiducia degli adolescenti. Per farlo è necessario esporsi, prendere posizione, farsi accettare, non limitarsi a spiegare e mettere il voto. Sarebbe impossibile insegnare a leggere e a scrivere senza conoscere le storie di chi abbiamo di fronte. La lingua è la casa del pensiero. Se non usi bene le parole, non potrai mai sapere chi sei».

Come vive uno studente problematico l’approccio con lo studio?

«Per lui soltanto leggere un testo può essere un ostacolo insormontabile, figuriamoci studiare! Eppure dentro di sé cova passioni segrete, bellezze inesplorate, energie preziose con le quali potrebbe ottenere tutte le coccarde che vuole. Avrebbe bisogno di adulti credibili in grado di scuoterlo dal torpore».

Nel suo ultimo libro, “Elogio del ripetente”, lei rivela la differenza e l’utilità di conoscere il punto di vista di chi fallisce per capire cosa non ha funzionato.

«Attraverso gli occhi smarriti di Romoletto, noi decifriamo non solo e non tanto ciò che non funziona a scuola, ma la crisi etica che stiamo vivendo in Italia, a mio avviso ben più grave di quella economica. Prima o poi lo spread si abbasserà e i nostri risparmi verranno tutelati meglio di quanto non siano oggi, ma questo non basterà per ridare entusiasmo ai nostri ripetenti».

L’Italia è indietro nelle esperienze di insegnamento come la sua “Penny Wirton”, la scuola per giovani stranieri che ha aperto a Roma. Perché?

«Insegnare gratis la lingua italiana uno a uno, come facciamo da molti anni nei locali della Chiesa di San Saba, all’Aventino, vuol dire niente voti, niente classi, niente registri. Solo competenze e sorrisi. È difficile realizzare tutto questo nella scuola pubblica. Ma io non dispero perché conosco tanti insegnanti che, fuori dalla luce dei riflettori, lo stanno già facendo».