E’ nato un nuovo Ministro…

di Claudia Fanti Educazione & Scuola 28.4.2013

E’ nato un nuovo Ministro…

allora partiamo da qui:
Il magistrato e il narcotrafficante: “Da bambini giocavamo assieme”.

Ebbene, non ho più tanta voglia di dedicarmi al tema della valutazione che mi ha coinvolto in tanti anni di “resistenza” ai voti, alle differenziazioni in base al tanto evocato “merito”…Eppure, quando ho letto l’atricolo sopra linkato, per l’ennesima volta è scattata in me la molla, la solita molla, per molti fastidiosa come una zanzara.

Tante volte ho scritto che non si tratta di essere buonisti, teneri e materni. Tante volte, troppe volte.

Si tratta invece di comprendere che proprio al contrario di ciò che molti sostengono, i migliori risultati si ottengono con un insegnamento e un aggiornamento che rifuggano dall’apparire, dai punteggi, dal tempo speso per visionare slide sull’Invalsi, per ascoltare i nuovi profeti del digitale, per elucubrare su termini in voga quali competenze, produzione, smart school, verifiche, obiettivi, traguardi prescrittivi, ecc…

E ancora una volta sosterrò che nulla può portare alla guerra contro la dispersione se non un’attenzione totale ai soggetti, a una reale personalizzazione fatta di gesti, parole e collaborazione in relazione e in apprendimento, e non di piani scritti e poi lasciati morti sulla carta.

Ma la personalizzazione va pensata tenendo in massima considerazione il soggetto dentro la collettività nella quale vive. Infatti non ha senso nella scuola fingere che le relazioni fra pari siano ininfluenti all’apprendimento e alla costruzione della propria personalità. L’insegnante se ne accorge in ogni istante: le bambine e i bambini si guardano l’un  l’altro per chiedere approvazione, stima, fiducia, sorrisi, ai compagni più che all’adulto, il quale viene sì visto  come colui che sa e che dispensa approvazione o disapprovazione in termini numerici, ma non entra a far parte dell’anima che chiede di essere riconosciuta dai propri pari. E qui sta il punto ancora inesplorato della riuscita o meno dell’opera d’istruzione-formazione che spetta alla scuola e cioè la serena determinazione dell’insegnante a imparare in itinere a gestire i conflitti e le gioie di un gruppo non sottovalutando alcun apporto dei singoli. Scontato? No, mi sembra proprio ci sia la necessità di ripeterlo visto come vanno le cose e come sono scritte le leggi che richiamano la scuola a farsi comunità, ma poi costringono insegnanti e alunni a sottoporsi al tormentone dei risultati da verificare e giudicare immantinente, a spendersi per scrivere improbabili curricoli. La botte piena e la moglie ubriaca. Certo che la pedagogia della lumaca, quella della categoria delle possibilità, quella conversazionale ne hanno ancora di grida da levare alte e forti affinchè possano venire prese in considerazione. Ma non dispero, non si sa mai che il vento cambi, anche perché prima o poi qualcuno di buon senso dovrà pure accorgersi che il vento per ora ha fatto disastri se consideriamo il dato dell’analfabetismo di ritorno italiano in continuo aumento e la situazione di degrado culturale delle periferie (per la verità ormai anche dei centri storici) delle grandi città.

La tendenza a individualizzare e “personalizzare” facendo sconti, presupponendo una mancanza di capacità del soggetto, è sempre in agguato: ci si accorge di ciò quando leggendo fascicoli personali di alunni provenienti da altre scuole ci si imbatte in frasi il cui succo è: “non comprende…, quindi è stato affiancato da…in spazi e tempi a lui dedicati”. Ecco, la famosa parola “accoglienza”, che ormai non si sente più nominare nei diversi scritti di esperti scolastici, andrebbe invece riesumata e riempita di significato, di azioni atte a renderla efficace nel tempo. Accogliere nel senso di inglobare nella classe, accogliere nel senso di scambiarsi apprendimenti nella quotidianità, accolgliere nel senso di stare tutti insieme, non in tempi e spazi dedicati, a sconfiggere la paura di non riuscire e di non saper comunicare vissuti e opinioni, accogliere nel senso di affrontare cooperativamente i nodi più imbrogliati dell’apprendimento, accogliere nel senso di fare in modo che nessuno si senta inferiore anche fuori dalla scuola, aiutando i ragazzi a tessere nel tempo reti di protezione fra loro, reti molto più utili che non l’interventismo dell’adulto che tutto vuole organizzare e offrire…

Se l’insegnante, che è, comunque sia fatto e comunque la pensi, l’anziano di riferimento, colui che ha fatto esperienza e conosce la sua disciplina, studia i propri alunni per conoscerli e non per giudicarli, compie un atto formidabile di valutazione, l’unica possibile a scuola, quella che lo fa sentire partecipe di un dialogo bidirezionale, nel quale anche l’alunno  può studiarlo e rimandare a lui, senza paura e vergogna, la sua valutazione, i suoi dubbi, le sue fobie, la sua fragilità, le sue scoperte, le domande, ecc.

E’ un lavoro lento da cominciare dalla scuola dell’infanzia e da continuare fino all’università. Sì, fino all’università. Nessuno sorrida, perché la questione è molto seria: le aule delle facoltà sono colme di ragazzi e ragazze che hanno perso la bussola del proprio io molti anni prima, che hanno vissuto fra mille difficoltà familiari, oppure ricevendo input educativi di segno opposto: da un lato il permissivismo e dall’altro la pretesa che gli adulti hanno di esigere da loro competenze di alto livello, capacità di sacrificarsi e di tenuta nello studio.

Quando si legge la letteratura contemporanea su ciò che servirebbe alla scuola, si viene respinti senza se e senza ma: ritorno al numero chiuso nelle iscrizioni, introduzione di graduatorie ad exscludendum per entrare addirittura alle superiori, test d’ingresso selettivi, test attitudinali perfino a ragazzini di 13 anni, continuo richiamo alle prove Invalsi e alla loro validità per migliorare l’autovalutazione delle scuole… Ebbene tutto ciò che si legge è un invito a fare esattamente il contrario dopo aver visto a cosa portano tali “novità”: scalette di voti che non spiegano nulla, libretti di esercizi, somministrazione di prove prima di quella “vera”, quella dell’Invalsi, un battere e ribattere su alcuni argomenti per allenare come si fosse in un campo di calcio!

Non c’è che dire: tra le classi, le scuole sgarrupate, gli insegnanti ridotti a meri esecutori senza fantasia quando di ruolo, invisibili quando precari, e le direttive ministeriali sempre cadute dall’alto, con i ministri insensibili ad ascoltare e a vedere le peculiarità dei diversi ordini di scuola, c’è proprio incomunicabilità nonostante siamo nell’era della comunicazione!

Ho appena sentito che al Ministero dell’Istruzione c’è Maria Chiara Carrozza che un giorno disse che se fosse stato in suo potere avrebbe stravolto l’università e la ricerca, ebbene spero tanto che stravolga la scuola a cominciare da quella di base nel senso di un abbandono dei tecnicismi, dei test, delle esclusioni, dei voti, del rendere conto burocraticamente di ogni respiro delle attività. Auguro ai nostri alunni e alunne che possano avere tempi distesi di apprendimento, lunghe pause per lavorare sul sé, sulla lingua per esprimersi, per ragionare sulle scoperte matematiche, lasciando spazio al narrare, argomentare, alla lettura, alla creatività…una scuola come laboratorio di pensiero e azione, senza anticipazioni, senza forzature imposte dall’esterno. Una scuola così presuppone fiducia e valorizzazione dei docenti finalmente considerati depositari di esperienze, di strategie e la sospensione di tutte le direttive che hanno imprigionato e bloccato ricerche, pratiche positive e immissioni in ruolo dei precari.

E per favore si cancelli la riforma che ha imposto il “maestro unico”, ha impedito la diffusione del tempo pieno su tutto il territorio, ha distrutto i moduli nella primaria, ha sacrificato le compresenze in nome dei risparmi sulle supplenze non certo in nome dell’attenzione e la cura agli alunni. Gli insegnanti elementari si sono ritrovati fra le mani una scuola completamente svuotata, impoverita in ogni senso possibile e contemporaneamente caricata di assurdità pedagogiche come i voti, l’Invalsi, l’eliminazione di programmi nazionali, della Storia Moderna, classi con numeri spropositati di alunni anche in presenza di portatori di qualche disagio o disabilità, tagli sul sostegno…

Se le economie dello Stato soffrono, si cerchi almeno di risparmiare su capitoli del ministero inutili alla nascita di una scuola equa: troppe spese superflue sono state fatte senza pensare all’essenziale e cioè alla cura per la vita delle persone.