Dal preside imposto
a tempo indeterminato per concorso al preside democraticamente eletto
al massimo per sei anni.

Tra gli aspetti “negativi” del concorso per dirigente scolastico, c’è l’assenza delle precauzioni per evitare ogni e qualsiasi sospetto di azione “clientelare”. L’elezione democratica del preside di una scuola sia come quella del rettore dell’università.

inviato da Polibio, 9.4.2013

Tra gli aspetti “negativi” del concorso per dirigente scolastico, c’è l’assenza delle precauzioni per evitare ogni e qualsiasi sospetto di azione “clientelare”. Pur persistendo l’autonomia, si potrebbe procedere all’elezione democratica del preside di un istituto scolastico così come avviene l’elezione democratica del rettore dell’università. Con l’elezione democratica del preside si può eliminare la turbolenza del concorso, caratterizzata, come lo è peraltro quella dell’attuale concorso, da una enorme serie di ricorsi, di sentenze del Tar e del Consiglio di Stato, di annullamenti, di sospensioni, di buste trasparenti in lunga attesa di essere periziate benché siano trasparenti, di denunce alla Procura della Repubblica e di conseguenti indagini, nonché di tant’altro, compreso il “mercato delle vacche grasse” delle preparazioni svolte (dentro le scuole e a pagamento da parte dei candidati al concorso frequentanti) da dirigenti scolastici di scuole consorziate e/o associate; e magari nelle scuole di dirigenti preparatori si è poi svolta la prova preselettiva per quiz a risposta multipla, una soltanto delle quali esatta, peraltro dopo quattro ore di attesa durante le quali c’era piena libertà di utilizzare computer, telefoni cellulari e altri oggetti informatici, poi trattenuti dai candidati durante lo svolgimento della prova, di piccole dimensioni (come, per esempio, “l’orologio da polso” dal duplice schermo e dalla duplice funzione: sopra, le ore e, 180 gradi dopo, sotto, il collegamento informatico con l’esterno nel rapporto interno-esterno e viceversa). 

Prima di passare alla trattazione del “preside eletto a tempo indeterminato per una scuola efficace e democratica”, così come eletto a tempo indeterminato è il rettore dell’università, prestiamo attenzione alla banalità del sistema per concorso, al preside “super partes”, alla necessità di legalità e di trasparenza, al “concorso severo” che suscita sospetti, ai controlli per prevenire le illegalità e alla repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, ai comportamenti autoritari, dispotici, affaristi e demagogici di taluni presidi che è riduttivo qualificare “presidi-padroni”. E anche di concorsi che di “severità” hanno soltanto la facciata, cosicché le ammissioni alla prova orale suscitano spontanei sospetti che non solo non si estinguono, ma che addirittura crescono. Polibio sottolinea che il suo unico intento è sempre stato ed è unicamente quello, esercitando legittimamente il diritto, di rango costituzionale, di libera espressione riguardo a fatti di pubblico interesse, di portare a conoscenza della pubblica opinione elementi “discutibili” affinché la gestione delle istituzioni scolastiche sia corretta e trasparente, e i diritti dei lavoratori e degli utenti siano rispettati. 

Per quanto concerne il “teatro dell’assurdo”, il pensiero va anche al concorso del 2004, soprattutto a quello annullato dal CGA della Sicilia e rimesso in vita da una legge, la 202/2010, che all’articolo 2 – dopo aver premesso che erano ammessi a sostenere “una prova scritta sull’esperienza maturata nel corso del servizio”, peraltro svolto nonostante la sentenza del CGA di annullamento del concorso sin dall’origine per vizi insanabili, coloro che avevano prestato servizio “con funzioni di dirigente scolastico con contratto a tempo indeterminato” – ha sancito che “i rapporti di lavoro instaurati con i predetti dirigenti scolastici” sarebbero stati confermati “a seguito del superamento di tale prova con esito positivo” (sic! “superamento con esito positivo”!). Un amico ha detto a Polibio che il “superamento con esito positivo” poteva essere la traduzione dell’espressione siciliana (d’altra parte, il disegno di legge, poi definitivamente approvato dalla Camera e dal Senato con quella “celerità” che invece doveva essere rivolta, ma non veniva affatto rivolta, a questioni di fondamentale importanza per il sistema scolastico, per l’occupazione e per lo sviluppo del Paese, era la risultante dell’accoppiate di due parlamentari siciliani, una del Pd e l’altro dell’Mpa) “senza furriu”, “senza furriari”, cioè “senza girare”, “senza andare in giro” (e il significato è del tutto comprensibile) , perché in buona sostanza si sarebbe trattato di un compito preparato a casa e formalmente scritto in “bella copia” nella sede in cui ciò doveva avvenire (in sostanza: la prova l’avrebbero superata tutti “con esito positivo”, così come è avvenuto).

Per quanto concerne le precauzioni, il riferimento, di certo negativo perché proprio le precauzioni sono mancate, è all’espressione di chi, ovviamente da preside, si è detto “certo” che il preside deve essere “super partes” (e non un primus inter pares”) e che “è nominato dopo un concorso severo e non sulla base della simpatia e dell’accondiscendenza che ha verso i suoi docenti”. Sì, ha scritto “concorso severo” e “i suoi docenti”: “suoi”, aggettivo possessivo che  indica una “appartenenza”, una “proprietà”. Sfuggendogli che i docenti non sono “suoi”, bensì sono dipendenti dello Stato con funzioni di fondamentale importanza per l’istruzione e per la formazione culturale e professionale  delle giovani generazioni, finalizzate a realizzare ottime condizioni di vita, lavoro, benessere personale e sociale, e a partecipare allo sviluppo e alla crescita economica del nostro Paese nel contesto europeo e internazionale.

Certo, “la dirigenza scolastica nasce come conseguenza dell’autonomia”, ma si tratta di un’autonomia di facciata, di un’autonomia per la sperimentazione, di un’autonomia per l’utilizzazione di un risicato fondo d’istituto e di risorse in definitiva “destinate”, così da parte di organizzazioni sindacali, a un determinato gruppo di “privilegiati”, di  accondiscendenti al volere del preside, che potrebbe essere definito, satiricamente, “preside-padrone” (con il termine “padrone” quale espressione assai diffusa per indicare personaggi che assumono comportamenti “rigorosi” al di là del consentito, personaggi che da parte di rappresentanti sindacali vengono definiti “dittatore”, “duce”, “ducetto”, oppure “presidi ‘hitleriani, cioè autoritari, o presidi affaristi e demagoghi”, “figure”, queste ultime, delle quali un dirigente scolastico ha confermato l’esistenza  con un “non nego che esistano queste tipologie, come esistono in tutte le categorie”. E invece, dice Polibio e con lui lo dicono i docenti e gli appartenenti al personale Ata (con l’eccezione degli “interessati” a prebende che con gli spettano e che invece ottengono), non dovrebbero esistere, soprattutto nella scuola.

Comunque, a parte le risorse economiche finalizzate alla realizzazione di progetti (anche in questo caso con l’esistenza di “assegnatari”, interni o esterni alla scuola, stranamente “privilegiati”, e comunque dovrebbero essere esclusi i parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo grado, soprattutto del preside, ma anche di altri dipendenti statali in servizio in quella determinata scuola), il “fondo d’istituto” derivante da “un’autonomia” delle scuole che è servita – essendo meno che dimezzata, né poteva e potrebbe essere altrimenti – soltanto a “creare” un esercito di dirigenti scolastici – oggi ridotto a 8.000 dopo essere stato decurtato di 2.500 unità negli ultimi due anni e complessivamente di parecchie migliaia di unità nel corso degli ultimi sei-otto anni – che appartengo allo Stato e che si lamentano addirittura perché il “fondo” non è, stando  a quanto viene dichiarato, nemmeno sufficiente ad acquistare il necessario, compresi la carta per le fotocopie, la carta igienica e i detersivi.

C’è chi ritiene un “segno di sfiducia verso l’autogoverno delle scuole” la centralizzazione degli acquisti; centralizzazione che invece troverebbe riferimento – a parte il forte risparmio che ne deriverebbe per lo Stato, nonché l’eliminazione delle “clientele” e dei diversi prezzi praticati da differenti ditte  per lo stesso oggetto messo in vendita – nell’attuazione della legge n. 190/2012, “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”. Cioè, quella legge “concernente la nomina del responsabile della prevenzione della corruzione al quale la legge affida compiti significativi in materia di predisposizione del piano anticorruzione e, nelle more dell’adozione dello stesso, relativamente alla mappatura delle aree a rischio e alla programmazione della formazione personale”. Una legge finalizzata, attuando la trasparenza assoluta e la massima correttezza, a evitare gli intrallazzi nelle forniture e nelle gare d’appalto (purtroppo denunciati e accertati, con le conseguenze di legge nei confronti dei lestofanti emanate con sentenze da parte della magistratura giudicante e della Corte dei conti) nel settore della pubblica amministrazione.

Certamente, se da una parte si punta alla repressione della corruzione e dell’illegalità, dall’altra parte si punta sulla prevenzione. Pertanto, i controlli nelle cosiddette “scuole autonome” vanno esercitati, oltre che sui bilanci annuali delle singole scuole, sugli aspetti che, per esempio, riguardano l’installazione delle macchinette per bibite e panini (che peraltro consumano energia elettrica), i prezzi al consumo dei singoli prodotti (che non possono essere differenti), gli scontrini fiscali nei bar interni alle scuole (oltre alle modalità, e quindi alla gara d’appalto, per la concessione dei locali, e ai canoni mensili o annuali), le gite scolastiche (che in definitiva non rappresentano un aspetto di poca entità di spesa e fiscale) per quanto concerne la regolarità delle gare d’appalto e quindi le offerte, e anche per quanto riguarda le agenzie alle quali vengono avanzate le richieste e dalle stesse sono state inviate le offerte, nonché se in esse, anche in forma incrociata, magari su province diverse, operano, a qualsiasi titolo, parenti o affini del preside, dei collaboratori del preside, delle funzioni strumentali, dei componenti il Consiglio d’istituto, di rsu, del dsga, di docenti e di personale ata.

E i controlli vanno fatti, oltre che per prevenire illegalità, anche per accertare, poiché le voci corrono, se a qualsiasi titolo, i genitori degli alunni intervengono (al di là di quei contributi volontari richiesti al momento dell’iscrizione dei figli a scuola, che qualche preside li ha “indicati” come “obbligatori”, e pertanto ne è derivata la recente reprimenda del capo dipartimento dell’istruzione Lucrezia Stellacci) con il versamento di somme per l’organizzazione di feste (e di consumi nel bar interno) nel pomeriggio o in ore serali dentro la scuola, o per qualsiasi altra attività svolta da personale interno e/o da personale esterno alla scuola, ovviamente senza che vi siano stati un bando e una regolare procedura per l’assegnazione del cosiddetto “incarico”.

I controlli vanno fatti anche sui consorzi e sulle associazioni di scuole autonome, soprattutto se le singole scuole associate o consorziate corrispondono alla “scuola capofila” un canone annuo d’iscrizione, deliberato una volta dal Consiglio d’istituto e corrisposto automaticamente negli anni successivi. Anche perché, per esempio, se i preparatori e i formatori che hanno operato in un corso (i cui frequentanti, per la preparazione a un concorso, per  l’aggiornamento, per la formazione professionale, hanno corrisposto a mezzo di bonifico bancario la quota fissata per iscriversi) hanno prestato la loro opera gratuitamente, ma hanno ottenuto il rimborso delle spese di viaggio, di soggiorno, di vitto, di produzione di dispense, di acquisto di hardware e spese vive, è necessario che ci siano, e quindi che siano state conservate, le fatture e le ricevute fiscali concernenti quei rimborsi.  E comunque vanno conservate le ricevute fiscali prodotte da quelle persone che hanno ottenuto il rimborso, mentre per quanto concerne le spese di soggiorno (cioè, di albergo) la fattura può essere intestata direttamente al consorzio o all’associazione di scuole autonome, ma deve corrispondere alla notte o alle notti dei giorni di permanenza in albergo del preparatore o del formatore che ha svolto la sua opera gratuitamente, tranne il rimborso delle spese delle quali si è detto.

Ritorniamo al “concorso severo”, quello del preside “super partes” (e non un primus inter pares”) e che “è nominato dopo un concorso severo”. Del preside che non può essere “super partes” e invece deve essere un “primus inter pares” (ma qui non si generalizza soprattutto perché Polibio e con lui moltissimi docenti, ata, sindacalisti conoscono presidi corretti e rispettosi dei diritti dei lavoratori e delle leggi, ed essi stessi lavoratori puntuali e sempre presenti nella scuola in cui svolgono la funzione di preside). Dei presidi che da parte di dirigenti sindacali sono stati indicati con i termini autoritario, dispotico, affarista, demagogo, colpiti da numerose le sentenze di condanna, per comportamenti antisindacali, per mobbing e per sanzioni disciplinari arbitrarie, per reati commessi nei confronti dello Stato e dei lavoratori, emesse dai giudici del lavoro e dalla magistratura penale. Che hanno arrecato gravissimi danni patrimoniali e non patrimoniali a docenti e a personale Ata;  “dirigenti scolastici” che è riduttivo – come abbiamo avuto modo di rilevare anche dalla lettura di interventi già pubblicati da dirigenti sindacali e da persone che hanno messo in evidenza i comportanti da “dittatori” attuati da quei “dirigenti”– qualificare “presidi-padroni”.

Non c’è peggio di un preside che dimentica di essere stato docente, e che da preside denigra i docenti (ma anche il personale ata) e li colpisce con comportamenti arbitrari per obbligarli a quanto lui vuole, che attiva nei loro confronti procedimenti disciplinari seguiti da sanzioni: denunciante, magistrato istruttore e giudice. C’è veramente da temere. E allora, per tutelarsi ciascuno tenga pronto il registratore.

Appare assurdo che non vi sia in ciascuna scuola una commissione democraticamente eletta, composta da tre persone tra docenti e personale ata, con funzione di collegio giudicante, e che il preside, oltre a essere un preside-padrone, sia un monarca assoluto. Peggio del tempo dell’inquisizione.

Sembra di trovarsi in un sistema piramidale di stampo medievale (Ufficio scolastico regionale, Uffici scolastici provinciali, dirigenti scolastici, e al vertice qualcuno che quando attua una reprimenda perché sono state commesse scorrettezze da parte di componenti di quella piramide viene energicamente rintuzzato da parte di chi a ruota libera cerca di ribaltare l’accusa di irregolarità commesse manifestando la mancanza di fondi  peraltro di competenza degli enti locali, e che agli enti locali non sono stati richiesti con determinazione e compattezza). Un sistema piramidale composto di fasce che si proteggono a vicenda e alla cui base, schiacciati dal peso di quelle fasce, ci sono circa 900.000 tra docenti e personale ata, che se denunciano comportamenti scorretti commessi da chi appartiene agli strati “superiori” non ottengono immediate risposte e soprattutto immediati interventi per il rispetto della legalità e dei diritti personali e dei lavoratori. Anzi, diventano soggetti che debbono subire le conseguenze dell’aver denunciato le irregolarità, l’arbitrio, il mobbing, il malaffare. Quindi, i docenti e il personale ata usino il  registratore per tutelarsi.

Un concorso per essere “severo” non deve essere affidato a commissioni composte da persone della stessa regione o che comunque con quella regione hanno avuto e/o hanno costanti rapporti, magari perché si tratta di persone originarie di quella regione. Né i commissari possono essere presidenti di associazioni che operano in quella regione, come non possono esserci dirigenti scolastici che si troveranno a correggere gli elaborati (e poi a interrogare gli autori) dei loro collaboratori, degli appartenenti al Consiglio d’istituto, di altri docenti con i quali, anche perché a essi sono state affidate funzioni strumentali e incarichi, la collaborazione è stata giornaliera, per diversi anni, fino alla nomina a commissario/a d’esami del concorso. Soprattutto se, ma bisognerebbe essere esperti del calcolo delle probabilità, tra gli ammessi a sostenere la prova orale del concorso ci sono quattro o sei candidati docenti in ciascuna delle scuole i cui dirigenti scolastici fanno parte, rispettivamente, delle due sottocommissioni.  Né possono esserci, tra i preparatori, dirigenti scolastici o docenti universitari che hanno ottenuto incarichi dall’Ufficio scolastico regionale e/o dagli Uffici scolastici provinciali. Se il presidente e i commissari sono dirigenti scolastici, ma anche persone alquanto conosciute per le cariche ricoperte e per le funzioni che svolgono, nella stessa regione, allora esistono gli amici degli amici, i politici particolarmente interessati, gli appartenenti allo stesso consorzio e/o alla stessa associazione di scuole autonome, nonché i dirigenti sindacali provinciali, soprattutto se di presidi, iscritti allo stesso sindacato. Legittima la loro esistenza, ma è fonte di sospetto. Ed è il sospetto che deve avere motivo di sorgere spontaneo.

Coloro che compongono la commissione (se unica) o le sottocommissioni (in qualche caso due) non debbono avere, né debbono avere avuto, alcun rapporto con la regione, soprattutto con gli uffici scolastici e con le scuole, nella quale sono chiamati a svolgere la funzione di presidente o di commissario/a. Altrimenti, il sospetto sorge spontaneo e fa fatica addirittura a ridursi, anzi cresce allorquando si viene a conoscenza dei risultati, parziali o totali che siano. E delle persone che ne hanno tratto vantaggio. Anche se meritato, ma purtroppo non è dimostrabile in presenza di quegli elementi che il sospetto hanno fatto sorgere.

Volendo fare “l’avvocato del diavolo”, si potrebbe dire (ma chi è del mestiere, per favore, non lo smentisca) che è alquanto facile “individuare”, se opera una sola commissione, e magari se le sottocommissioni sono due, un determinato elaborato scritto, addirittura una serie di elaborati scritti, ovviamente appartenenti a persone diverse. A parte una molteplicità di segni assolutamente incontestabili, ma ne è sufficiente soltanto uno, bastano le prime parole, e le espressioni del Tizio o del Caio presidente o commissario/a assumono durante la lettura meraviglia, positività e approvazione, e infine si trasformano in un giudizio positivo e nel punteggio altrettanto positivo negli indicatori della padronanza dei temi trattati e dell’ampiezza delle conoscenze possedute, della capacità di analisi del caso e di proposta di soluzioni pertinenti, della qualità dell’articolazione del testo e delle relative argomentazioni, della qualità della forma espositiva (nelle scale a tre o a quattro livelli), anche se nell’elaborato ci sono macroscopiche imperfezioni, errori di grammatica e di sintassi (che invece nei compiti di altri concorrenti, non ammessi alla prova orale, non ci sono). Peraltro, gli errori si trovano nelle schede della commissione, in una delle quali, di una determinata commissione in una delle regioni sedi di concorso, si legge: “Capacità di Analisi del Caso” (sì, con la vocale “a” e con la consonante “c” scritta in maiuscolo, e anche con la consonante “c” scritta, alternativamente, due volte in maiuscolo e una volta in minuscolo) e con “Totale Punti” (sì, con la consonante “p” in maiuscolo, in entrambe le schede. Complimenti!

E si potrebbe anche dire (a parte il “fermarsi”, in qualche caso eclatante per le inesattezze e gli errori,  alla lettura delle prime righe, o della prima pagina, soprattutto se le inesattezze sono effettivamente evidenti, e conseguentemente esprimere un giudizio negativo) che, in un elaborato, per esempio, che riguardi “le modalità di utilizzo degli strumenti di valutazione adottati dall’Invalsi al fine di programmare le strategie di miglioramento della scuola nella quale si svolge la funzione di dirigente scolastico”, il voto inferiore a 21 e la non ammissione alla prova orale possono (si tratta sempre di un sospetto che sorge spontaneo) essere determinati, se “convinti invalsioni” sono i componenti della commissione, dalla critica e dalla contrarietà espresse dal/la candidato/a in ordine agli strumenti di valutazione adottati dall’Invalsi. Il sospetto sorto spontaneo cresce soprattutto se l’accesso agli atti viene reso problematico, se viene limitato agli elaborati di due candidati soltanto, poi esteso a quelli di altri otto candidati, e lì fermarsi nonostante la commissione per l’accesso ai documenti presso la Presidenza del Consiglio dei ministri abbia formalizzato che il richiedente, avendo partecipato al concorso, ha pieno diritto all’accesso a tutti gli elaborati e ad avere copia di tutti gli elaborati dei candidati che sono stati ammessi alla prova orale del concorso.

E cosa dire del giudizio positivo e dell’ammissione alla prova orale a candidati al concorso che nella personale prova scritta sul tema dello studente che durante l’intervallo delle lezioni ferisce gravemente con una pietra un alunno dell’istituto, a proposito dei provvedimenti e delle sanzioni disciplinari che da dirigente scolastico avrebbe promosso e attuato, hanno, rispettivamente, scritto sulla responsabilità della sorveglianza e sulla sanzione disciplinare ciò che qui viene sintetizzato?

Uno/a dei candidati ha scritto che la responsabilità della sorveglianza sulla classe è del docente, che può delegare, per urgenti e gravi motivi, “l’assistente scolastico”. Un altro (o un’altra) dei candidati ha scritto che, a proposito dell’alunno che aveva scagliato contro il compagno di classe il sasso trovato nel cortile, colpendolo alla testa, nessuna responsabilità era da attribuire al personale docente perché i docenti, come da disposizioni impartite (ma non si sa da chi) all’inizio dell’anno, si trovavano nei corridoi, negli spazi antistanti le aule, e quindi il dirigente promuove il procedimento disciplinare nei confronti di un collaboratore scolastico e gli infligge una sanzione. Ancora un altro o un’altra candidato/a ha scritto che al verificarsi dell’episodio era in servizio, ma si era allontanata per una decina di minuti per necessità impellente e aveva delegato alla sorveglianza il collaboratore scolastico, il quale aveva assistito al verificarsi dell’evento, consistente nell’alunno che aveva tirato fuori dal suo zaino una pietra e con essa aveva ferito un suo compagno di classe (Conclusione. Da dirigente scolastico avrebbe punito il collaboratore scolastico). Eppure, questa la riflessione di Polibio, l’alunno aveva “tirato fuori dal suo zaino” la pietra con la quale aveva ferito il suo compagno, e certamente il collaboratore scolastico, seppur presente in assenza dell’insegnante, non poteva minimamente intervenire per evitare l’incidente (il sasso “tirato fuori dalla borsa” e scagliato contro il compagno), e non soltanto perché non teneva per mano l’alunno che quella pietra aveva scagliato contro il compagno di classe. Sembra di trovarsi nel “teatro dell’assurdo”.

In un altro elaborato c’è la sanzione della sospensione del docente dall’insegnamento per dieci giorni, con perdita del trattamento economico, per essersi allontanato senza giustificato motivo. La sanzione, questa volta, potrebbe essere giusta, e il collaboratore scolastico non può essere incolpato perché, avendolo comunicato, si era prima allontanato.

In un altro elaborato c’è, e appare interessante e originale, il caso della pietra presa da un alunno dal presepe, sistemato nell’aula, e da lui scagliata contro un compagno, ferendolo. Ma se la pietra era nel presepe, perché vi era stata messa dato che poteva rappresentare un pericolo? Come e perché il preside non se ne era accorto, e comunque non lo sapesse? E forse non era responsabile anche il dirigente scolastico, anche perché era stata riscontrata, allorché avrebbe dovuto accertare le eventuali responsabilità dei docenti, una certa ambiguità nel regolamento d’istituto in merito al momento della ricreazione? Però il preside è considerato senza colpa e senza peccato, e quindi l’elaborato, nonostante assolutamente chiaro, dall’analisi positiva e pertinente in ordine alla proposta di soluzioni pertinenti, con chiarezza ed efficacia espositiva e con padronanza linguistica, e comunque raffigurante un caso del tutto diverso dalla banalità di “tirare fuori dalla borsa” una pietra, o di trovarsi con una pietra in un cortile che di pietre non ne aveva, non ha ottenuto il “soddisfacente” 21. A differenza degli elaborati degli altri candidati, che, sia pure con errori e con imperfezioni, il 21 lo hanno avuto e magari lo hanno superato. Ma c’è tempo per ritornare sull’argomento, magari con indicazioni più esplicite.

In un’azienda privata, il proprietario (o chi con pieni poteri lo rappresenta) nomina il capo del personale e coloro i quali saranno responsabili dell’organizzazione e della conduzione delle sedi diffuse sul territorio. Nell’azienda statale, si procede per concorso e sulla base di una gerarchia di dirigenti che in definitiva, ma non sempre, agiscono in autotutela collettiva per quanto concerne il loro operato. Nel sistema scolastico, i “responsabili” dell’organizzazione e della conduzione delle scuole sono i presidi (o dirigenti scolastici) assunti dallo Stato per concorso, che dovrebbe essere “severo”. L’autonomia della scuola, sebbene si tratti di un’autonomia di facciata e assai poco sostanziale, e peraltro ciascuna scuola oggi dispone di “spiccioli” (e addirittura si teme che dalla fine di questo mese di aprile i supplenti non potranno essere regolarmente retribuiti per il lavoro già svolto e per quello che svolgeranno), vede in ”primo piano” la figura del “dirigente scolastico”. Ma di essa se ne potrebbe fare a meno, e con notevole risparmio per lo Stato, perché il preside potrebbe essere democraticamente eletto, così come avviene per il rettore dell’università, e peraltro a costo “quasi zero” perché il preside eletto manterrebbe lo stipendio maturato (semmai maggiorato di un’indennità mensile di due o trecento euro, al loro di imposte e tasse) e magari svolgerebbe fino a sei ore settimanali di attività didattica. Certo, non deve trattarsi di una figura di scarso spessore culturale e professionale, bensì di una persona (un professore ordinario a rettore dell’università, un professore con un determinato curricolo a preside della scuola) scelta all’interno di una rosa di qualità. Così dovrebbe, deve, avvenire nelle singole scuole. L’elezione del preside è garanzia di scelta democratica, di effettiva partecipazione, di concreto impegno, di adesione a un programma, di collaborazione alla realizzazione del programma, di permanenza nella stessa scuola. Con l’elezione democratica del preside, nessuna scuola resterebbe senza un preside stabile, a differenza di quanto avviene ormai da parecchi anni con l’affidamento delle scuole in reggenza a dirigenti scolastici titolari in un’altra scuola, con le conseguenza del “mezzo servizio”, e magari con tempi ridotti a meno della metà in una scuola e nell’altra scuola, quando la reggenza è soltanto una, ma capita che di reggenze qualche d.s. ne ha avute assegnate più di una.

L’elezione democratica del preside potrebbe derivare dalla condivisione e dall’accettazione di alcune regole, oltre a quella che i candidati alla carica di dirigente scolastico debbono avere conseguito un diploma di laurea quadriennale, o quinquennale a ciclo unico o triennale seguito dal biennio per la laurea specialistica. Tra le regole, per esempio, la permanenza di un certo numero di anni (almeno cinque dopo aver superato l’anno di prova) nello stesso istituto scolastico, il master universitario di secondo livello in dirigenza scolastica, la frequenza di corsi di formazione e di specializzazione con un determinato numero di ore di attività frontale e il conseguimento del relativo diploma, le abilitazioni all’insegnamento e le specializzazioni conseguite, l’obbligo di non chiedere il trasferimento in altra sede nella qualità di docente fino alla conclusione, tre anni seguiti da una nuova elezione per altri tre anni oppure sei anni continuativi, del mandato. E, nel caso di ulteriore elezione in altra scuola, avranno valore anche gli anni di servizio svolti nella funzione di dirigente scolastico ovvero di preside democraticamente eletto nella o nelle scuole di provenienza. Tra le regole anche la valutazione dell’attività svolta dal preside durante ciascuno degli anni scolastici e quella complessivamente svolta nel triennio o, se in unica soluzione, nei sei anni del mandato. Una valutazione che può essere svolta, in regime di democrazia, e quindi sulla base di una democratica elezione di quanti comporranno il comitato interno di valutazione e di garanzia, in assoluta trasparenza e dando la massima diffusione a quanto è stato accertato e relazionato. A eleggere democraticamente il preside saranno gli insegnanti, il personale ata (anche con voto ponderato), i rappresentanti dei genitori degli alunni nel Consiglio d’istituto.

Nelle università – che a differenza delle singole scuole, la cui “autonomia” è “mantenuta” dagli “spiccioli” peraltro assegnati con forte ritardo, e gli alunni iscritti in ciascuna di esse sono in media 1.000, mentre gli insegnanti e il personale ata sono in media 100-120, dispongono, se gli studenti iscritti sono 60.000 (e ad essi si aggiungono alcune migliaia di specializzandi e di assegnasti di ricerca, se i docenti sono circa 1.350 e se il personale tecnico-amministrativo raggiunge le 1.400 unità) di un fondo di finanziamento annuale di circa 160 milioni di euro – il rettore è democraticamente eletto tra coloro che hanno presentato la candidatura (alla prima tornata elettorale, e così anche alla seconda e alla terza) è necessaria la maggioranza assoluta, 50 per cento più 1, degli aventi diritto al voto, per poi passare alla quarta tornata tra i due candidati che sono stati maggiormente votati rispetto ad altri candidati, e a essere eletto è colui che supera anche di soltanto un voto l’altro candidato).

Il rettore nomina il prorettore. Entrambi possono ottenere la riduzione dell’attività didattica. Il rettore e il prorettore mantengono lo stipendio maturato, a cui si aggiungono alcune centinaia di euro al mese. I direttori di dipartimento (in un’università con 60.000 studenti, i dipartimenti possono essere da 18 a 24) vengono anch’essi democraticamente eletti: due le tornate elettorali, la prima a maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto; la seconda a maggioranza dei voti tra i due primi qualificati. Mantengono lo stipendio maturato, possono ottenere, se richiesta, la riduzione dell’attività didattica, non ricevano compenso aggiuntivo.

Se nelle scuole c’è qualcuno che  paventa il “rischio” che l’eletto alla funzione di preside possa essere qualcuno “disposto” a favorire il “clientelismo”, o che sia un “debole” e proprio perché “debole” essere strumentalizzato, e pertanto non faccia il proprio dovere e non si accerti se gli altri lo facciano, ciò potrebbe accadere con qualsiasi altro tipo di figura, sempre che, nel caso di specie, gli insegnanti siano quei “fannulloni” brunettianamente” intesi e tali dal Brunetta (il “fantuttone”) considerati. Ma non è affatto così. Sull’elezione democratica del preside convergono, e non da ora, anche con disegni di legge (due sono stati presentati, negli appena trascorsi, rispettivamente, dal Pd – alla Camera, dai deputati Francesco Laratta e Cesare Marini, 25 febbraio 2011, n. 4121 – e dall’Idv – alla Camera, dal deputato Zazzera, n. 2442, e al Senato da 11 senatori, 15 ottobre 2010, n. 2385), l’Associazione nazionale docenti, il Sindacato Gilda, molti dirigenti di altre sigle sindacali del comparto scuola, i rappresentanti sindacali unitari, e moltissimi sono gli articoli pubblicati sui siti maggiormente rappresentativi, a livello nazionale, ma anche a livello regionale e a quello provinciale, per quanto concerne l’impegno per il miglior funzionamento delle singole scuole e dell’intero sistema scolastico del nostro Paese.

Ebbene, se per assurdo si volesse un preside per concorso, ma per concorso veramente “severo”, innanzi tutto con presidenti e commissari assolutamente estranei alle singole regioni sedi di concorso, e trasparente in tutte le sue fasi, si potrebbe, sia pure per paradosso, anche discuterne. Ma il preside non dovrebbe permanere nella stessa sede scolastica a tempo indeterminato e in pianta stabile (c’è stata assenza di mobilità, se non motivata da interesse personale del dirigente scolastico sia sul piano territoriale, sia sul piano delle retribuzioni di posizione derivanti, in crescita, dal passaggio dalla quarta alla prima fascia, con unico “volo” di stampo “pindarico”, ma a raddoppiare le indennità, o per scalata da una fascia all’altra, per un’indennità appena più alta).

I presidi dovranno svolgere in ciascuna delle scuole nel tempo assegnate la funzione di dirigente scolastico per tre anni consecutivi, prorogabili per altri tre anni anch’essi consecutivi. Dopo i primi tre anni, o dopo i sei anni, saranno trasferiti d’ufficio in un altro istituto scolastico, prioritariamente, della stessa provincia e, in mancanza di disponibilità di sedi, nell’ambito della stessa regione o, se mancante la disponibilità di sede in essa, in altra regione.

Al fine di evitare disparità di trattamento, e con riferimento al numero degli alunni iscritti, che comunque dovrebbe essere compreso tra 800 e 1.200, non vi saranno più le retribuzioni in aggiunta allo stipendio gabellare. Il dirigente scolastico non potrà svolgere nessuna altra attività comunque e da chicchessia retribuita. Il fondo d’istituto sarà suddiviso in parti uguali, magari con riferimento alla retribuzione maturata, fra i docenti e il personale ata, con riferimento alla quota spettante alle singole categorie, mentre gli incarichi di collaborazione nell’organizzazione dell’istituto scolastico, quali che essi siano, saranno, come avviene per quelli universitari, tutti a titolo gratuito.

Inoltre, per quanto concerne l’aspetto disciplinare nei confronti del personale docente e ata, il preside per concorso potrà irrogare il rimprovero verbale e il rimprovero scritto. Quest’ultimo dopo che è stata espletata, con la procedura e nei tempi previsti dal Ccnl per i procedimenti disciplinari, compresa l’obbligatoria convocazione del dipendente al quale sono stati contestati i fatti, nel rispetto del suo diritto a difendersi, ma su decisione di una commissione interna democraticamente eletta (tre unità, tra docenti e ata). E si potrebbe anche pensare, sempre su decisione della stessa commissione, alle sanzioni disciplinari fino alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni (è appena sufficiente riflettere sulle sanzioni a raffica, tutte di dieci giorni, inflitte, a seguito di procedimenti disciplinari attivati lo stesso giorno nei confronti dello stesso/a dipendente, da qualche dirigente scolastico che ovviamente ha svolto le funzioni di “denunciante”, di “istruttore”, di “giudicante”, una “trinità” di funzioni che in nessuna democrazia può giammai avere cittadinanza.

 

Polibio

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