PROVE INVALSI E DINTORNI… Sandra Moldi, Stefania Marangoni, Cristina Puggiotto, Antonella Giacomelli OltreScuola, 25.4.2013 Questo documento è nato con l’intento di avviare all’interno del nostro istituto un dibattito ed un positivo confronto in merito alle prove Invalsi. Lo scorso anno, infatti, la decisione di somministrare le prove non è stata preceduta da alcuna riflessione all’interno dei dipartimenti ed è stata frettolosamente risolta, da un punto di vista finanziario, quando ormai la contrattazione d’istituto si era già conclusa. Ritenendo che il collegio debba esprimersi in merito alle questioni della valutazione oltre che della didattica, intendiamo quindi avviare una riflessione al fine di arrivare nel collegio che dovrà esprimersi in merito, ad una presa di posizione più chiara, consapevole e il più possibile condivisa. Per questo abbiamo steso questo scritto che contiene informazioni sulla questione, oltre che spunti di riflessione e, soprattutto, delle domande (segnalate così ⌘☺) che vorremmo sottoporre a tutti.
PRIMA PARTE - UN PO’ DI STORIA E DI INFORMAZIONE “L’INVALSI è l’Ente di ricerca dotato di personalità giuridica di diritto pubblico che ha raccolto, in un lungo e costante processo di trasformazione, l’eredità del Centro Europeo dell’Educazione (CEDE) istituito nei primi anni settanta del secolo scorso. Sulla base delle vigenti Leggi, che sono frutto di un’evoluzione normativa significativamente sempre più incentrata sugli aspetti valutativi e qualitativi del sistema scolastico, l’Istituto:
L’INVALSI è soggetto alla vigilanza del Ministero della Pubblica Istruzione che individua le priorità strategiche delle quali l’Istituto tiene conto per programmare la propria attività. La valutazione delle priorità tecnico-scientifiche è riservata all’Istituto.” (dal sito www.invalsi.it) Dalla citazione si evince che tra gli scopi primari di questo ente vi è quello di valutare conoscenze e abilità degli studenti e, di riflesso, delle scuole e della loro offerta formativa. v Ma quali sono gli strumenti di VALUTAZIONE? Sono i test elaborati dall’INVALSI che tra l’altro sono esplicitamente indicati come strumenti anche nella recente proposta Gelmini sulla sperimentazione delle scuole “meritevoli”.
Quindi non siamo di
fronte ad una valutazione che si rivolge ai soli studenti ma che nel
futuro dovrebbe riguardare anche i docenti, le scuole stesse e la
loro offerta formativa. E’ risaputo che la “cultura del test” non è di matrice italiana ma è stata importata in Italia prendendo spunto da scuole pedagogiche ed orientamenti filosofici che poggiano i loro presupposti soprattutto sui concetti di “osservazione” e “oggettività” che ne dovrebbero garantire efficacia e scientificità. Quante volte abbiamo sentito dire, infatti, che i test sono strumenti validi per valutare proprio perché garantiscono una valutazione oggettiva delle conoscenze? Vorremmo far notare in merito: Nella pratica quotidiana, l’esperienza ci suggerisce che non solo ciò che verifichiamo attraverso un test è un tassello minimo, diremmo quasi minimale, del sapere di uno studente ma che dobbiamo per forza ricorrere a delle “domande aperte” ( orali o scritte) se vogliamo verificare se è in grado di compiere analisi e sintesi rispetto a ciò che apprende, nonché se è dotato di senso critico. Sempre nella pratica, ogni docente avrà senz’altro notato come gli studenti di fronte ad una prova-test abbiano nel tempo maturato un vero e proprio codice comunicativo che consente loro un passaggio rapido di informazioni: in altre parole sappiamo bene quanto sia più facile copiare! E quanto questo a volte ci costringa a innescare strategie difensive (compiti a file diverse, etc); quanto inoltre la “cultura del test” abbia nel tempo creato studenti via via sempre meno capaci di esporre e di argomentare in modo coerente e corretto! Ancora: se il nostro unico strumento di valutazione è un test, si perdono tutti quei segnali verbali e non verbali che lo studente ci mette a disposizione nella quotidianità e nel fluire del percorso didattico. Anche se il docente non li registra “oggettivamente”, al termine dell’anno ha formulato un giudizio globale sullo studente ed è quello che propone allo scrutinio. Negli ultimi anni, è stato richiesto al docente un sempre maggior numero di verifiche a fronte di un significativo aumento del numero di alunni per classe (anche in presenza di alunni diversamente abili). Il docente quindi si è trovato a dover affrontare pressioni contrapposte: svolgere un programma per intero, aumentare il numero delle verifiche e valutare sempre più alunni. La risposta a cui si è ricorso più spesso è appunto il test! Ma se rimettiamo tutto ai test, in cosa consiste allora la nostra capacità di assumerci in prima persona la responsabilità della valutazione? Citando Armellini si potrebbe allora dire: “ La situazione dell’insegnante che valuta uno studente è simile a quella del medico che deve definire le condizioni di salute di un suo paziente: l’apporto dei dati risultanti dagli esami di laboratorio può essere un punto di riferimento fondamentale, ma la diagnosi consisterà in una interpretazione dei dati, strettamente legata al dialogo instaurato col paziente, non nella loro combinazione matematica.”.
(HYPERLINK “http://www.funzioniobiettivo.it/glossadid/valutazionedidattica.htm”) La valutazione è l’insieme di più fattori e non può prescindere né dalla soggettività del docente né da quella dello studente e del gruppo-classe. Riguardo, infine, alla “cultura del test”, rimandiamo alle parole di (HYPERLINK “http://en.wikipedia.org/wiki/Diane_Ravitch”) Diane Ravitch, (autorevole storica della formazione americana, consulente di Bush (padre) e di Bill Clinton) in un primo tempo convinta fautrice dei test, ha pubblicato di recente un testo nel quale li critica pesantemente come strumenti valutativi sia per i docenti sia per gli studenti (si legga in merito HYPERLINK “http://unicobaspiemonte.altervista.org/diane-ravitch-come-i-test-hanno-distrutto-la-scuola-americana/”) La domanda a questo punto è questa: v Se un test è insufficiente per valutare complessivamente uno studente, quali conclusioni si possono trarre dalle prove Invalsi? E ancora, quale giudizio “di ricaduta” avrebbero le prove sulla valutazione delle scuole e dei docenti? Vorremmo inoltre far notare che, oltre alla parzialità dei risultati ottenuti con un test, i saperi “testati” sono soltanto due (italiano e matematica), ininterrottamente, dalla scuola elementare fino alla secondaria superiore. Ecco allora un’altra domanda:
v
Abbiamo davvero bisogno di testare i
saperi minimi per tutti questi anni, sostenendo così alti costi? PARTE TERZA – INVALSI E CRISI DEI FINANZIAMENTI L’Ente di Ricerca Invalsi è nato con degli obiettivi di alto livello ma, nel tempo, i finanziamenti sono andati diminuendo tanto che i responsabili dell’Ente fanno appello alla collaborazione dei docenti per sopperire alla mancanza di fondi per pagare i correttori delle prove (cosa che avveniva in passato). v Per quale motivo, ci chiediamo, ogni scuola dovrebbe sacrificare una parte del FIS, già così ampiamente ridotto dai tagli voluti dall’ultimo governo, per pagare i colleghi “correttori delle prove”? v Non sarebbe più opportuno, invece, destinare questi fondi ad attività che rivestano una maggiore importanza per lo sviluppo del nostro istituto?
Dal nostro punto di
vista, molte sono le perplessità che riguardano tali prove. Scegliamo di riferirci ad alcuni interventi di Giorgio Israel, ordinario di matematica alla Sapienza di Roma (ma anche collaboratore dell’ex ministro Gelmini, quindi non certo sospettabile di essere “di parte”…), che ha espresso in varie occasioni, sui giornali e sul web, forti critiche sull’uso e sulla qualità dei test adottati. Sostanzialmente le sue riflessioni si possono suddividere in due ordini di problemi. E’ assurdo pensare che questi test garantiscano un’oggettività e una scientificità della valutazione per il fatto che sono pensati nella maggioranza dei quesiti come domande a risposta chiusa. Dopo aver esaminato le prove proposte, Israel rileva, a proposito di quelle d’italiano, che “…sconcertanti sono i test di interpretazione di brani letterari dove si chiede di indicare con una crocetta il ‘vero’ senso del comportamento di un personaggio. Non soltanto la crocetta giusta è discutibile, ma appare del tutto legittima la miscela di due interpretazioni, o addirittura pensare a una risposta non inclusa tra quelle proposte”. E Israel continua sottolineando che “…l’interpretazione di un testo – a meno che non si tratti di un manuale di istruzioni – non è mai univoca, è cosa estremamente più complessa e ricca. Qui quel che occorre insegnare e apprendere è proprio a pensare la molteplicità di senso e le sfumature del testo.” (www.il sussidiario.net). Quindi le categorie di “giusto” e “sbagliato” – necessarie per costruire questo tipo di prove – molto spesso, per essere applicate, costringono ad una “forzatura” della materia che snatura completamente la sua ragion d’essere. E questo non si creda valga soltanto per l’italiano: anche rispetto alla matematica Israel solleva molte perplessità. Innanzitutto, nel caso di un problema da risolvere, le domande a risposta chiusa non permettono di far luce sul procedimento che lo studente ha seguito per giungere al risultato. Molto spesso c’è più di una strada per arrivare alla soluzione e – cosa più importante - non tutte le strade richiedono competenze matematiche specifiche per essere percorse: a seconda dei casi si può arrivare a fornire il dato numerico corretto per via intuitiva, logica, visiva. Cosa ci può dire allora un test di questo tipo sulla conoscenza della matematica di chi l’ha svolto? (E sul suo insegnante di matematica?). A questo limite strutturale si aggiungono due difficoltà: “…la prima è che non esistono più “programmi” e quindi non esistono conoscenze imprescindibili cui fare riferimento nella formulazione del test; la seconda deriva dalla versione estrema dell’ideologia delle competenze, per cui contano soltanto capacità generiche indipendenti dalle conoscenze…” (Il Messaggero, 12/5/11). Per tutti questi motivi i test di matematica che vengono prodotti, secondo Israel, più che alla matematica rinviano “…all’enigmistica, neppure a quella delle parole crociate che richiede almeno conoscenze generiche, e anche un buon matematico non è necessariamente un buon risolutore di enigmi. […] Naturalmente non tutti i test sono così privi di retroterra conoscitivo da ridursi all’enigmistica e all’indovinello, ma molti hanno questa discutibile natura.” (Il Messaggero, cit.). Si può concludere che in questo mondo in “bianco o nero” dei test, dove tutto o è “vero” o è “falso”, si possono accertare esclusivamente “…livelli minimi di capacità di calcolo matematico o di competenze grammaticali o sintattiche. Appena si va oltre si entra su un terreno scivoloso e aperto a tutte le contestazioni.” (Il Messaggero, cit.). v Ci interessa davvero mettere in moto la gigantesca e costosa macchina delle Invalsi per verificare questi livelli minimi? E, dato che l’apprendimento è un processo, può la misurazione di questi livelli minimi essere definita una verifica degli apprendimenti? L’altro problema messo in evidenza da Israel è la ricaduta dell’uso dei test sulla qualità dell’insegnamento. L’ansia da prestazione che inevitabilmente i test producono anche negli insegnanti (teniamo conto che queste prove rientrano nell’esame della scuola sec. di I grado e che forse saranno adottate come terzo scritto dell’esame di stato) genera il cosiddetto “Teaching to test”, ovvero un addestramento mirato a superare i test che finisce per sostituire l’insegnamento. Non si tratta di un’ipotesi fumosa agitata come spauracchio per creare allarmismi prematuri: in Finlandia, ad esempio, è già successo. Come ci fa sapere Israel in un articolo apparso sul Foglio (23 aprile 2011), un documento firmato nel 2006 da più di duecento professori finlandesi denuncia il fatto che la cultura matematica diffusa si è clamorosamente abbassata nel Paese proprio a causa dell’insegnamento finalizzato al superamento di quei test Ocse Pisa in cui i finlandesi risultano ai primi posti. Per questo motivo molti finlandesi oggi sono in difficoltà nel fare moltiplicazioni e divisioni, non capiscono la quantità espressa da una frazione e così via. Che la deriva del “Teaching to test” sia tanto reale da costituire una fetta di mercato appetibile, lo dimostra poi la quantità di manuali di preparazione alle Invalsi che le case editrici si sono prontamente affrettate a pubblicare (e molti insegnanti di elementari e medie ad adottare)… Infine, un’ultima ma non meno importante critica la muoviamo rispetto alla partecipazione dei ragazzi portatori di handicap, che possono sostenere le prove a discrezione dei dirigenti scolastici. Con il risultato che questi ragazzi o vengono esclusi dai test o producono prove che non vengono valutate nei dati nazionali. Ci sembra grave che ciò avvenga in un Paese che si è distinto a livello europeo per la capacità di integrazione del suo sistema scolastico dei portatori di handicap.
Il tema della valutazione delle scuole e dei docenti è all’attenzione di molti paesi, non solo europei. Il problema di chi valuta chi, che cosa e con quali strumenti, sembra essere oggetto di un dibattito particolarmente vivo negli Stati Uniti dove la “cultura del test” sembra suscitare sempre maggiori perplessità se non atteggiamenti di critica aperti (vedi il testo sopra citato della Ravitch). Non crediamo che nessun docente oggi voglia sottrarsi per principio ad una valutazione sia individuale sia d’istituto, quanto piuttosto condividere forme/modalità di valutazione di più ampio respiro e meno riduttive rispetto ad un test come finora proposto dall’INVALSI.
In ogni caso occorre
avviare un vivo dibattito in merito affinché, prima di proporre
qualsiasi valutazione di scuole, docenti e studenti (solo per i
saperi di base) ci si confronti con i soggetti che nella scuola
lavorano quotidianamente!
Ci sembra infine doveroso segnalare che sul tema Invalsi si sono avviate da tempo non solo iniziative di netta opposizione da parte di scuole e di genitori (è sufficiente cliccare in Google il termine Invalsi per rendersi conto di quale sia il “clima “ nel nostro paese!!!) ma da parte anche di docenti che in Europa, oltre che negli USA, criticano oramai fortemente la didattica del teaching to the test (a questo proposito si veda HYPERLINK “http://noisiamolascuolapubblica.wordpress.com/2011/05/02/prove-invalsi-leuropa-le-sta-abbandonando/”) Inoltre, nel contesto di una riforma che ha significato soprattutto tagli pesanti ai finanziamenti alle scuole e al personale docente, non ci sembra proprio il caso di appoggiare comunque una linea che obbliga i docenti all’assunzione di mansioni che non spettano per contratto ( somministrazione-correzione prove ) e che li vincolano ad un orientamento didattico non più condiviso nemmeno in Europa. v Perché non iniziamo a valorizzare le nostre esperienze didattiche senza pensare che le altre metodologie didattiche debbano essere per forza di cose migliori delle nostre?
Facciamo inoltre
presente che lo scorso anno le prove sono state comunque
somministrate nel nostro istituto. In una riunione preparatoria alla
quale avevano partecipato le coordinatrici di dipartimento di
italiano e matematica, era stato dichiarato dai responsabili Invalsi
che gli esiti delle prove sarebbero senz’altro pervenuti a settembre
in modo che i docenti potessero ricevere dei “significativi input”
per la loro programmazione annuale di dipartimento.
Invitiamo quindi TUTTI (anche docenti di altre discipline) a riflettere sull’effettiva efficacia e validità di una valutazione basata esclusivamente sui test INVALSI apportando il proprio contributo a queste riflessioni… |