Tablet time/3.
10, 100, 1000 Lussana?

da TuttoscuolaNews, n. 581 8.4.2013

Cosa fare per attrezzare (ripensare, riorganizzare) la scuola italiana in modo da coinvolgere in primo luogo gli insegnanti nella gigantesca operazione di riconversione della loro professionalità richiesta dalle caratteristiche degli studenti del nostro tempo postgutenberghiano?

Le possibili strategie, semplificando forse un po’, ma andando alla radice del problema, sono due: la prima, più in linea con la tradizione anche amministrativa della scuola italiana, è quella top-down, ministerocentrica, che ha alle spalle operazioni come quelle della riforma dell’istruzione tecnica e professionale degli anni ottanta e novanta dello scorso secolo (progetti nazionali assistiti, Progetto ’92, prima applicazione del progetto Brocca), della riforma dell’istruzione elementare di diffusione tra l’altro dell’organizzazione modulare e dell’introduzione obbligatoria della lingua straniera a partire dalla terza classe (legge n. 148/90), o la riforma degli esami di Stato (1999).

La seconda strategia, che potremmo definire (sempre semplificando) bottom-up, si fonda sulla valorizzazione delle esperienze di innovazione tecnologica e didattica maturate negli anni duemila nelle scuole, nel contesto più favorevole al cambiamento promosso (non sempre e non ovunque, come noto) dalle norme sull’autonomia delle istituzioni scolastiche.

A nostro avviso la prima strategia non è più applicabile alla scuola italiana perché strettamente legata a condizioni di fattibilità che non esistono più: una burocrazia centrale e periferica forte e rispettata, direzioni e direttori generali di settore - scuola elementare, media, classica, tecnica, professionale, del personale - potenti e autorevoli (si diceva: i ministri passano, i direttori restano), un nucleo di ispettori centrali capaci di progettare e gestire le novità ordinamentali e la formazione in servizio degli insegnanti. E’ impensabile che queste condizioni possano essere ripristinate, e comunque oggi, al tempo di internet 2.0 e del tablet, avrebbero ben poca efficacia.

L’alternativa, dal punto di vista strategico, è la diffusione dal basso e in orizzontale – in una sorta di reazione a catena – di iniziative come quella delle scuole come il Lussana di Bergamo che hanno dato vita a ImparaDigitale e quelle delle tante altre scuole che stanno provando a riorganizzarsi per reggere la sfida di una didattica e-learning based che conduca anche a una rilegittimazione sociale, oltre che professionale, della funzione docente.

Dal centro possono venire solo incentivi e risorse finanziarie, non modelli (al massimo linee guida, ovviamente non obbligatorie, e un sostegno alla conoscenza delle buone pratiche), oltre che un’azione di sistematico monitoraggio e valutazione dei processi in atto.