Scuola & autismo. In oppure out? La scuola sa essere davvero inclusiva per i bambini autistici? O meglio puntare su percorsi dedicati? Il servizio in edicola su Vita che, con gli interventi di Franco Bomprezzi e Gianluca Nicoletti, prova a dare delle risposte. di Sara De Carli, Vita 7.8.2013
Chi ci guarda da fuori l’ha detto senza giri di parole: «voi italiani
avete incluso i bambini autistici nelle classi al pari dei
termosifoni». Theo Peeters è un neurolinguista belga e pochi come
lui, in tutto il mondo, hanno studiato i disturbi dello spettro
autistico. Il suo giudizio è una pugnalata al cuore per quella
scuola dell’inclusione che dell’Italia è sempre stato il vanto, ma
che da più parti ora si sta mettendo in discussione. Non è un caso
che sia proprio l’autismo a far emergere le falle del modello,
perché siamo tutti impreparati e spaventati di fronte a quella che
Se ti abbraccio non aver paura (fortunato libro scritto dal papà di
un ragazzino autistico) definisce una vita «diluita nel mezzo e
troppo densa ai lati». Basti allora pensare al recente arresto di
due maestre in provincia di Vicenza, che nella “stanza del sostegno”
(che troppo spesso è una “stanza di compensazione”) davano
dell’«animale» a un ragazzone colpevole di col orare uscendo dai
contorni delle figure, piuttosto che all’idea del Comune di Palermo
di istituire una classe speciale per bambini autistici. La
retromarcia è stata immediata, ma il dibattito è aperto.
Luigi Mazzone fa il neuropsichiatra infantile al Bambin Gesù di Roma.
Racconta della «frustrazione » sua e delle famiglie dinanzi a
insegnanti che ancora liquidano i comportamenti oppositivi di un
ragazzino autistico come «maleducazione» e che «bocciano anche 2
volte perché “deve capire che non può comportarsi così”».
Ciononostante è convinto che «l’idea di creare classi speciali è
solo una scorciatoia per tamponare un sistema che non funziona, ma
che può essere migliorato». Che l’inclusione sia un obiettivo
raggiungibile, non un’utopia, lo provano i 90 ragazzini autistici
che quest’estate con la sua associazione, Progetto Aita, ha inserito
nei summer camp per tutti organizzati dalle più prestigiose società
sportive di Catania, Milano e Roma: «C’è un tutor per ogni bambino,
uno psicologo specializzato sull’autismo, che indossa la stessa
divisa degli istruttori sportivi. Non c’è motivo di “marchiare” il
bambino, è essenziale però con oscerlo prima e progettare nei
dettagli il suo inserimento», spiega. Benedetta Demartis invece è la
combattiva presidente di Angsa Novara. Sua figlia ha 22 anni e ha
appena finito le magistrali: le è capitato di cambiare undici
insegnanti di sostegno in un solo anno, che hanno alzato bandiera
bianca. «La scuola di tutti è l’opzione migliore, ma oggi
l’inclusione è solo sulla carta», dice. Dal 2002 a Novara
l’associazione messa in piedi da «cinque genitori arrabbiati» offre
un punto di riferimento non solo per la diagnosi e la terapia, ma
anche per accompagnare bambini e famiglie nell’inserimento
scolastico. La cosa inspiegabile, però, sono le resistenze che
alcune scuole pongono: «Capita che alcuni insegnanti vivano la
nostra come un’intromissione indebita. Ma è solo quando si riesce a
formare l’intera rete che i risultati arrivano, straordinari ».
Questo percorso, oggi, grava completamente sulle tasche dei
genitori, con cifre che sfiorano anche i mi lle euro al mese: «Serve
una legge nazionale che obblighi le Asl a farsi carico di questi
servizi e metta fine alla terribile ingiustizia di sapere che tuo
figlio potrebbe avere un futuro migliore, ma tu non hai i soldi per
darglielo».
In Parlamento una proposta di legge c’è. L’ha presentata alla Camera
Franca Biondelli (Pd), riproponendo il testo che nella passata
legislatura si era già iniziato a esaminare: «Il primo nella storia
della Repubblica che nomini l’autismo», dice. Al Senato invece si
sta muovendo Manuela Serra, insegnante di sostegno del M5S, che
nella Commissione Cultura ha dato il via a un tavolo di lavoro per
l’autismo che valorizzi proprio la scuola. I numeri dicono che una
legge è necessaria: benché in Italia non esista un dato certo, sono
almeno 400mila le famiglie con un ragazzo autistico, con 3 casi ogni
mille bambini. Carlo Hanau insegna all’Università di Modena e Reggio
Emilia e coordina uno dei recenti master voluti dal Miur per formare
gli insegnanti sull’autismo: corsi che coinvolgeranno quasi 2mila
professionisti. «È una rivoluzione, perché ad oggi il problema è
l’insufficiente specializzazione degli insegnanti di sostegno,
insieme alla mancanza di supervi sione, necessaria anche per il
docente più qualificato. Le “scuole polo” previste sette anni fa?
Mai realizzate». E se negli Usa ci sono le liste d’attesa per essere
messi in classe con un compagno autistico (pare che il rendimento si
impenni), Hanau sottolinea che nessun Paese al mondo «prevede il
rapporto uno a uno che abbiamo in Italia: si tratta di qualificare
le risorse che già paghiamo». Il suo modello ideale quindi vede più
specializzazione, l’obbligo di portare l’alunno fino alla fine del
ciclo scolastico, una supervisione forte, un intervento precoce. La
carta decisiva è proprio l’ultima: «l’autismo grave viene
diagnosticato a 18 mesi. Fino ai sei anni la classe non esiste, il
problema del “dentro” o “fuori” non si pone nemmeno. Devi lavorare
lì, con interventi comportamentali realizzati all’interno della
scuola, facendo una socializzazione... |