Le buste erano trasparenti. Puntuale, perfetta e interessante la sentenza del Consiglio di Stato, che ha ordinato al Miur di procedere alla sostituzione delle buste e di nominare una nuova commissione per la correzione degli elaborati nel rispetto di tutte le norme di legge. inviato da Polibio, 24.8.2013
Puntuale,
perfetta e interessante la sentenza del Consiglio di Stato, che ha
ordinato al Miur di procedere alla sostituzione delle buste
(affidando il compito “a un dirigente di prima fascia incardinato da
almeno un anno presso gli uffici centrali ministeriali e ad altri
due dirigenti di analoga collocazione, estranei ala vicenda
amministrativa in esame”) e di provvedere “a nominare una nuova
commissione composta da soggetti aventi i prescritti requisiti
legali, con il compito di procedere ad una nuova valutazione degli
elaborati di tutti i candidati che hanno superato la prova
preselettiva. La commissione nominata procederà poi alla correzione
degli elaborati nel rispetto di tutte le norme di legge e di quelle
contenute nel bando di concorso”.
Paradossale,
stupefacente, ma anche esilarante, il “giudizio” espresso
dall’Associazione nazionale presidi (ANP), e peraltro negando, o non
conoscendo affatto, l’esistenza della norma che, a tutela di tutti i
candidati (ciascuno deve vedere riconosciuto il proprio legittimo
diritto), e pertanto di fondamentale importanza, sancisce, quindi
impone in concreto, corretto sul piano “concreto” e niente affatto
“astratto”, all’amministrazione, obbligandola a pena di annullamento
delle prove scritte, certamente per quanto abbia a riguardare la
correzione e la valutazione degli elaborati, a servirsi di buste
assolutamente non trasparenti, cosicché i nomi dei singoli candidati
non siano leggibili.
Si tratta di una
norma che tutela l’anonimato, la cui finalità è quella di
assolutamente evitare che l’anonimato possa essere violato, la cui
violazione riguarda l’avere l’amministrazione utilizzato (per
superficialità o per leggerezza, per mancato controllo, per
incompetenza, e pertanto divenendo unica responsabile delle
conseguenze) buste trasparenti, ciascuna delle quali contenenti il
cartoncino con le generalità del candidato al concorso: il principio
della norma è quello che non deve essere consentito di vedere in
trasparenza il nome del concorrente, al di là dell’avere accertato,
da parte dei giudici, che la commissione si sia effettivamente
avvalsa di questa possibilità.
L’avere
eventualmente accertato che qualcuno della commissione si era
avvalso della possibilità di “individuare” uno specifico autore (o
più autori) di uno o di entrambi gli elaborati, oltre a emettere la
sentenza di annullamento della prova scritta per violazione
dell’anonimato con riferimento alla norma che impone l’uso di buste
assolutamente non trasparenti e invece le buste erano trasparenti, i
giudici del Tar e/o quelli del Consiglio di Stato, trattandosi nella
fattispecie di un reato penale, trasmettono gli atti alla competente
Procura della Repubblica.
A essere
danneggiati sono certamente tutti i concorrenti, sia quelli che
risultavano “ammessi” prova orale del concorso, sia quelli che non
erano stati ammessi alla prova orale del concorso e che hanno
legittimamente esercitato un diritto, costituzionalmente garantito e
protetto, sancito da una norma di legge.
Paradossale, anche per quanto concerne il concorso per dirigente scolastico in Lombardia a sostenere comunque il Miur quando è dichiarato perdente dalle sentenze della giustizia amministrativa, è il “giudizio” espresso dall’ANP là dove viene affermato che “la giustizia amministrativa non esiste per librarsi su principi astratti, ma per governare scontri di interessi concreti. E nelle sue decisioni non può ignorare i danni che eventualmente produce”. A cui sovente fa eco anche qualche altra associazione professionale-sindacale ancorché di modesta consistenza, peraltro presente soltanto in alcune regioni, e si potrebbe presumere perché alla ricerca di acquisire l’adesione, e quindi il tesseramento di nuovi iscritti tra i futuri “vincitori” del concorso (soprattutto se hanno “superato” le prove scritte ancorché svolte, corrette e valutate in violazione del rispetto delle norme di legge e di quelle contenute nel bando di concorso), assolutamente necessario per raggiungere, se non è stato raggiunto, o per mantenerlo, se risicato e con pericolo di perdere iscritti, il numero necessario per essere ammessi alla contrattazione nazionale e a quelle integrative in ambito regionale.
Invece di “rimproverare” l’amministrazione (centrale e periferica a livello regionale) per avere omesso di esercitare il necessario e non eludibile controllo sulle buste, ma anche per quanto è stato “affermato” sia sulle buste, sia sull’ambiente in cui sono avvenute le operazioni di correzione degli elaborati, e perché quelle precedenti che hanno riguardato le buste contenenti le generalità dei concorrenti, nella sostanza viene “rimproverato” il Consiglio di Stato, perché “nelle sue decisioni non può ignorare i danni che eventualmente produce”. Va detto che i “nomi astratti” indicano in genere tutto ciò che non ha consistenza materiale, tra i quali la leggerezza e il sospetto. Leggerezza e sospetto che in un pubblico concorso non debbono esistere. Pertanto, non può esserci la leggerezza consistente nel mancato controllo sulla trasparenza delle buste, perché può emergere dalla trasparenza delle buste il legittimo sospetto che qualcosa di irregolare può (o, in ipotesi, potrebbe) essere accaduto durante la fase di correzione e di valutazione degli elaborati dei concorrenti.
Forse si voleva,
in violazione della norma di legge, che il Tar prima e il Consiglio
di Stato poi – ma in questo caso se i giudici del Tar avessero a
suo tempo chiuso i loro occhi per non vedere e quindi per non
accorgersi di ciò che era assolutamente evidente, e pertanto
spettava ai giudici del Consiglio di Stato vedere e accorgersi della
“violazione del principio dell’anonimato, avendo l’amministrazione
utilizzato buste, contenenti il cartoncino per l’indicazione dei
dati anagrafici, non idonee, per la loro consistenza, a garantire il
rispetto di tale principio” – omettessero di vedere, chiudendo a
loro volta gli occhi, ciò che non era possibile non vedere anche se
con gli occhi socchiusi o con vista mancante addirittura di non
pochi gradi?
Di certo, nelle
loro decisioni i giudici, al di là delle conseguenze che dalle loro
sentenze possono derivare, la cui responsabilità grave su chi ne è
stato causa per superficialità o per incompetenza (o per chissà
quale altro motivo o intento), si attengono doverosamente alle norme
di legge e ai regolamenti vigenti, peraltro anche con puntuale
riferimento alla giurisprudenza amministrativa consolidata e alla
giurisprudenza costituzionale.
La personale opinioni di Polibio è quella di accoglimento delle ordinanze e delle sentenze della magistratura, nei confronti delle quali ciascuno ha il diritto di criticare e di manifestare, liberamente, il proprio pensiero in ordine agli aspetti che condivide e a quelli che, mettendo in evidenza il perché, ritiene di non condividere e che possano essere oggetto di discussione franca e di chiarimento (ma correttamente e senza paradossalmente affermare che “nelle sue decisioni” la giustizia amministrativa “non può ignorare i danni che eventualmente produce”, che c’è “l’elemento sfavorevole” consistente nella “sovrana indifferenza dei giudici amministrativi per la salvaguardia degli interessi comuni”, oppure che il “risultato” ha creato “profondo sconcerto in tutta la scuola lombarda”).
Passiamo adesso agli aspetti, prevalentemente posti tra virgolette, che caratterizzano, sul piano giudiziale, la sentenza del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) – n. 03747 dell’11 luglio 2013 – sul concorso a dirigente scolastico in Lombardia. Il primo degli aspetti è particolarmente importante e illuminante, a dimostrazione che le sentenze vanno attentamente lette e soprattutto comprese (evitando così le espressioni del tipo “sconcertanti decisioni della giustizia amministrativa in materia di concorsi”, “profondo sconcerto”, “sovrana indifferenza dei giudici amministrativi per la salvaguardia degli interessi comuni”) soprattutto da chi ricopre cariche dirigenziali, nazionali e regionali, in associazioni sindacali e purtroppo non riesce a cogliere l’attimo nonostante che esso non sia affatto fuggente, ma addirittura posto in bella evidenza proprio nella parte iniziale della sentenza (nel caso di specie, la sentenza del Consiglio di Stato n. 03747 dell’11 luglio 2013), al punto 2 della parte riguardante il “fatto” – con specifico riferimento a taluni concorrenti che non avevano superato la prova scritta e che avevano proposto tredici autonomi ricorsi al Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, Milano – ossia “alle modalità di correzione degli elaborati”, secondo dei tre gruppi di una serie di motivi che “sono stati fatti valere”.
Polibio metterà in evidenza, posti tra virgolette, i motivi che hanno assunto particolare importanza in ordine alla decisione del Consiglio di Stato, e in definitiva il motivo che ha prevalso e che, essendone stata accertata la sussistenza, ha evitato, non essendo stato completato il percorso concorsuale fino alla conclusione della prova orale e alla pubblicazione della graduatoria dei “vincitori” e degli “idonei”, l’annullamento del concorso (e comunque di quanto era stato già fatto) e la ripetizione delle prove scritte.
In Lombardia,
“una volta espletate le prove preselettive, la commissione di
concorso, suddivisa in due sottocommissioni, ha avviato la fase di
correzione degli elaborati consegnati da 996 candidati. I candidati
ammessi alla prova orale sono stati 476” (avendo ottenuto un
punteggio non inferiore a 21/30 in ciascuna prova scritta).
E veniamo a
quanto è stato dedotto dal Tribunale amministrativo regionale della
Lombardia in relazione “alle modalità di correzione degli
elaborati”: 1) “la violazione del principio dell’anonimato, avendo
l’amministrazione utilizzato buste, contenenti il cartoncino per
l’indicazione dei dati anagrafici, non idonee, per la loro
consistenza, a garantire il rispetto di tale principio;” 2)
“l’inosservanza della regola del collegio perfetto, in quanto, nel
verbale del 9 gennaio 2012, n. 16, era previsto che ‘ciascuna
commissione correggerà le prove in modo indipendente dall’altra
mentre il presidente sarà sempre presente nel momento della
valutazione’; in particolare, si è stabilito che il presidente
assiste alla correzione e valutazione degli elaborati nell’ambito di
una sottocommissione mentre nell’altra, dopo avere letto le prove,
le valuterà collegialmente (si cita la sentenza 29 maggio 2009, n.
477 del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione
siciliana che, in relazione ad una fattispecie analoga alla presente
relativa al concorso per dirigenti che si è espletato in Sicilia, ha
affermato che viola le regole relative alla composizione dei
collegio la circostanza che l’unico presidente si sposti dall’una
all’altra delle commissioni)”.
Procedendo nel
testo della sentenza del Consiglio di Stato, sempre con riferimento
al “fatto”, e superando altre deduzioni, è evidenziato che
l’Amministrazione statale si è costituita nei giudizi.
“Ha proposto
appello il Ministero, deducendo che le buste e i cartoncini ‘si
presentano di conformazione tale da non essere, né far apparire,
ictu oculi, alcuna possibile violazione del loro contenuto e quindi
del principio di riservatezza e di anonimato delle prove’. Ciò
sarebbe confermato, da un lato, dal fatto che l’acquisito delle
buste è avvenuto tramite la Consip, dall’altro, che ‘in sede di
esame nessun commissario, nessun componente del comitato di
vigilanza o addetto alla vigilanza d’aula e soprattutto nessun
candidato (…) ha rilevato o contestato alcunché’.
“Nel merito”, le
parti che hanno proposto appello incidentale autonomo, “oltre a
contestare la trasparenza delle buste”, assumono che “le stanze dove
si è svolta la correzione sono ‘delle stanze prive di finestre e
comunque dotate di una scarsa illuminazione naturale’, essendo
presenti solo ‘dei lucernai, peraltro di vetro opaco, di
modestissime dimensioni che fanno da cornice alle porte, senza
volere trascurare poi il fatto che le porte danno su un cortile
interno buio’”, che “la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha
affermato che l’accertamento deve essere svolto in concreto e non in
astratto (si cita Cons. Stato, V, 1 ottobre 2002, n. 5132, relativo
all’apposizione di segni di riconoscimento, e Cons. Stato, IV, 6
luglio 2004, n. 5017, relativo allo ‘scollamento’ di buste, ritenuto
non invalidante per mancanza di intenzionalità del candidato di
farsi riconoscere)” e “la leggibilità dei nominativi presupporre un
comportamento ‘fraudolento’ della commissione”. (…).
“Le parti
ricorrenti in primo grado si sono costituite in giudizio. (…) Con
ordinanza 28 agosto 2012, n. 3295, la Sezione ha rigettato la
domanda cautelare, ritenendo, all’esito di una sommaria delibazione,
che ‘le buste contenenti i nominativi dei candidati hanno natura
tale da rendere astrattamente leggibili i nominativi stessi’ e che
‘tale circostanza risulta dalla verifica diretta delle buste
prodotte agli atti del giudizio’. Con la stessa ordinanza è stata
fissata, per la trattazione nel merito della controversia, l’udienza
pubblica del 20 novembre 2012. In vista della predetta udienza il
Ministero appellante ha depositato una relazione tecnica, redatta da
una commissione perizia su carte valori presso l’Istituto
poligrafico dello Stato. Nella relazione si conclude affermando che
‘in condizioni di luce riflessa le scritte compilate sui cartoncini
racchiusi all’interno delle buste sono risultati non leggibili a
colpo d’occhio’. Si aggiunge che ‘in assenza di strumentazione
l’unica possibilità per leggere le scritte risulta l’esposizione
delle buste a luce solare direttamente sul retro della busta (luce
trasmessa) nonché l’uso di una lampada da tavolo utilizzata come
piano visore (luce trasmessa)’. La commissione ritiene che ‘queste
due modalità non possono essere definite ictu oculi’”.
“All’esito della
predetta udienza, la Sezione, anche al fine di verificare
l’attendibilità delle conclusioni contenute nella predetta
relazione, ha disposto, con ordinanza 26 novembre 2012, n. 5959, una
verificazione tecnica volta: ‘a) ad accertare, mediante un’indagine
tecnica sulla composizione e sulle caratteristiche materiali delle
buste, la loro natura e consistenza; b) a verificare se e con quali
modalità siano leggibili i nominativi dei canditati posti
all’interno delle buste’. A tale fine, è stato nominato ‘il
Direttore del Dipartimento di scienze merceologiche dell’Università
La Sapienza di Roma’. La causa è stata rinviata al 15 gennaio 2013
ed è stato disposto che il verificatore dovesse depositare la
relazione entro il 4 gennaio”. Ma “con atto depositato il 14
dicembre 2012 il verificatore ha rinunciato all’incarico, facendo
presente di non avere ‘a disposizione le attrezzature necessarie per
svolgere la verifica tecnica’. All’esito dell’udienza del 15 gennaio
2013, pertanto, questa Sezione ha, con ordinanza depositata il
successivo 21 gennaio, nominato, quale nuovo verificatore, il prof.
Teodoro Valente, Direttore del Dipartimento di Ingegneria Chimica
Materiali Ambiente dell’Università degli Studi di Roma ‘La
Sapienza’. Con questa ordinanza sono stati posti gli stessi quesiti
della precedente ordinanza” (…).
“La relazione
tecnica è stata depositata l’11 aprile 2013. Con istanza depositata
in pari data la difesa dell’Amministrazione ha chiesto lo
spostamento dell’udienza già fissata ad altra data, al fine di
potere avere un tempo adeguato per esaminare il contenuto della
relazione tecnica e depositare una memoria difensiva. All’udienza
pubblica del 30 aprile la causa è stata, pertanto, differita al 4
giugno. All’udienza del 4 giugno la causa è stata trattenuta in
decisione”
In “diritto”,
dopo aver attestato l’infondatezza di diverse eccezioni poste al
proprio esame, il Collegio ha posto in evidenza, “in via
preliminare”, che “in via preliminare non è inutile rammentare, su
un piano generale, le previsioni costituzionali rilevanti in tema di
concorso pubblico così come considerate dalla Corte costituzionale,
oltre che, sul piano specifico, le norme di legge e regolamentari
poste a garanzia del principio dell’anonimato.In generale, va
sottolineato che l’art. 97, terzo comma, della Costituzione prevede
che, salvo i casi stabiliti dalla legge, ‘agli impieghi nelle
pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso’. Ciò
significa che la ‘forma generale e ordinaria di reclutamento per le
pubbliche amministrazioni’ (Corte cost., 9 novembre 2006, n. 363) è
rappresentata ‘da una selezione trasparente, comparativa, basata
esclusivamente sul merito e aperta a tutti i cittadini in possesso
di requisiti previamente e obiettivamente definiti’ (Corte cost., 13
novembre 2009, n. 293).La giurisprudenza costituzionale ha rilevato
la stretta correlazione a questa norma costituzionale degli articoli
3, 51 e 97, primo comma, Cost. Il concorso pubblico, infatti: i)
consente ‘ai cittadini di accedere ai pubblici uffici in condizioni
di eguaglianza’ (artt. 3 e 51); ii) garantisce il rispetto del
principio del buon andamento (art. 97, primo comma), in quanto ‘il
reclutamento dei dipendenti in base al merito si riflette,
migliorandolo, sul rendimento delle pubbliche amministrazioni e
sulle prestazioni da queste rese ai cittadini’ (Corte cost. n. 293
del 2009, cit.); iii) assicura il rispetto del principio di
imparzialità, in quanto ‘impedisce che il reclutamento dei pubblici
impiegati avvenga in base a criteri di appartenenza politica e
garantisce, in tal modo, un certo grado di distinzione fra l’azione
del governo, normalmente legata agli interessi di una parte
politica, e quella dell’amministrazione, vincolata invece ad agire
senza distinzioni di parti politiche, al fine del perseguimento
delle finalità pubbliche obiettivate nell’ordinamento; sotto tale
profilo il concorso rappresenta, pertanto, il metodo migliore per la
provvista di organi chiamati ad esercitare le proprie funzioni in
condizioni di imparzialità e al servizio esclusivo della Nazione’
(Corte cost. n. 293 del 2009, cit. e 15 ottobre 1990, n. 453).
Subito dopo, è
stato evidenziato che, nello specifico, “l’art. 14 d.P.R. 9 maggio
1994, n. 487 disciplina gli adempimenti dei concorrenti e della
commissione al termine della prova scritta (analoghe disposizioni
sono contenute nel d.P.R, 3 maggio 1957, n. 686)” e che, in
particolare, oltre a ad altri adempimenti, “la commissione è tenuta
a consegnare al candidato in ciascuno dei giorni di esame due buste
di eguale colore: una grande munita di linguetta staccabile ed una
piccola contenente un cartoncino bianco (comma 1)”. E che, “sul
piano funzionale, va considerato il dato essenziale che
l’ordinamento, con queste norme, intende assicurare il rispetto
effettivo del principio dell’anonimato – vale a dire della non
riconoscibilità, anche ipotetica, dell’autore – degli scritti
concorsuali, che costituisce ‘garanzia ineludibile di serietà della
selezione e dello stesso funzionamento del meccanismo meritocratico’
(Cons. Stato, VI, 6 aprile 2010, n. 1928) e rappresenta ‘il diretto
portato del criterio generale di imparzialità della pubblica
amministrazione, la quale deve operare le proprie valutazioni senza
lasciare alcuno spazio a rischi, anche soltanto potenziali, di
condizionamenti esterni’ (Cons. Stato, V, 5 dicembre 2006, n. 7116;
Cons. Stato, V, 1 marzo 2000, n. 1071).
”Sul piano
strutturale, per perseguire nella realtà pratica un tale obiettivo,
l’ordinamento prevede norme cogenti che, in rapporto ai suddetti
principi costituzionali, configurano regole di condotte tipizzate,
riconducibili alla ‘amministrazione’ e ai ‘candidati’, che
indefettibilmente vanno osservate nelle procedure concorsuali. La
violazione di tali norme comporta un’illegittimità da pericolo
astratto e presunto: solo con una siffatta rigorosa precauzione
generale, infatti, è ragionevolmente garantita l’effettività
dell’anonimato nei casi singoli. Con queste cautele, elevate a
inderogabili norma di condotta, la soglia dell’illegittimità
rilevante viene anticipata all’accertamento della sussistenza di una
condotta concreta non riconducibile a quella tipizzata.
L’ordinamento non chiede dunque che il giudice accerti di volta in
volta che la violazione delle regole di condotta abbia portato a
conoscere effettivamente il nome del candidato. Se fosse richiesto
un tale, concreto, accertamento, lo stesso – oltre ad essere di
evidente disfunzionale onerosità – si risolverebbe, con inversione
dell’onere della prova, in una sorta di ‘probatio diabolica’ che
contrasterebbe con l’esigenza organizzativa e giuridica di
assicurare senz’altro e per tutti il rispetto delle indicate regole,
di rilevanza costituzionale, sul pubblico concorso.
“Riguardo alla
casistica ad oggi formatasi sui ‘comportamenti dei candidati’, il
caso più ricorrente riguarda l’apposizione di segni di
riconoscimento sugli elaborati scritti: a tale proposito, si è
affermato che ‘ciò che rileva non è tanto l’identificabilità
dell’autore dell’elaborato mediante un segno a lui personalmente
riferibile, quanto piuttosto l’astratta idoneità del segno a fungere
da elemento di identificazione’ (da ultimo, Cons. Stato, V, 11
gennaio 2013, n. 102; VI, 26 marzo 2012, n. 1740; si v. anche V, 29
settembre 1999, n. 1208). Più in dettaglio, la casistica stessa
varia poi in relazione all’identificazione della nozione di ‘segno’
astrattamente riconoscibile.
Passiamo alla
questione della trasparenza delle buste. “Viene qui in rilievo il
‘comportamento dell’amministrazione’ che ha fornito ai singoli
candidati le buste contenenti il cartoncino su cui apporre i propri
dati anagrafici. L’art. 14 del d.P.R. n. 487 del 1994 prevede, come
già sottolineato, che la commissione consegni ai singoli candidati
una busta piccola contenente un cartoncino bianco su cui indicare i
propri dati anagrafici. Questa busta deve avere natura e consistenza
tale da non consentire la lettura dei predetti dati. Occorre allora
qui accertare se la condotta concreta posta in essere
dall’amministrazione sia o meno riconducibile alla condotta tipica
voluta dall’ordinamento. Questa verifica ha presupposto, in primo
luogo, l’acquisizione, disposta dal primo giudice, della
documentazione costituita dalle buste nella disponibilità
dell’amministrazione. Sul punto non può, pertanto, ritenersi che i
ricorrenti in primo grado non abbiamo fornito la prova dei fatti
dedotti.
“La relazione ha
premesso che la tipologia di tecniche e strumenti potenzialmente
utilizzabili per la lettura dei ‘dati identificativi’ è assai ampia.
In particolare, ha ritenuto che la modalità guida sulla base della
quale selezionare le tecniche di indagine debba essere quella ‘ictu
oculi’ affiancata da determinazioni strumentali sul grado di bianco
e da misure di opacità. Sono state, pertanto, escluse tecniche
sofisticate da laboratorio, quale la video-comparazione, la
digitalizzazione di immagini e la loro elaborazioni con software
dedicati, l’uso di sistemi di microscopia equipaggiati con lenti di
ingrandimento e software di analisi, gestione ed elaborazione di
immagini. Il verificatore ha, inoltre, dichiarato di avere
‘provveduto alla eliminazione dello strato d’aria tra busta e
cartoncino mediante pressione meccanica esercitata con le dita,
simulando una operazione di stiraggio ancorata ai lembi laterali
delle buste’. Il verificatore ha concluso ritenendo che la misura
del grado di bianco è compatibile con i valori medi e la misura di
opacità ‘è considerato congruo rispetto al segreto epistolare di
tipo comune’.
”Per quanto
attiene alle valutazioni ictu-oculi, ha effettuato una serie di
accertamenti, valutando tutte le possibili condizioni ambientali
nella fase di correzione degli elaborati. In particolare, egli ha
accertato quanto segue:
Infine,
l’infondatezza di altri motivi avanzati dagli appellanti. Infatti,
contrariamente da quanto da loro affermato, “dai verbali del
concorso e, più in generale, dagli atti acquisiti al processo
risulta che la busta piccola era nella ‘disponibilità’ della
commissione”, quindi le buste contenenti i nominativi erano nella
“disponibilità” della commissione. “Infatti, gli elaborati di
ciascuna delle due prove scritte erano inseriti in una busta bianca
unitamente alla busta piccola. Le due buste bianche sono state poi
inserite in un’unica busta gialla. Al momento della correzione, la
commissione ha proceduto ad assegnare un numero progressivo alla
busta gialla e alle due buste bianche in quella contenute, per poi
procedere all’apertura di una delle due buste bianche, assegnando un
numero progressivo alla busta piccola e procedure alla correzione
dell’elaborato. Appare evidente, pertanto che, contrariamente a
quanto affermato dagli appellanti, la busta piccola sia stata nella
disponibilità della commissione al momento della valutazione dei
temi”. Inoltre, pur non essendo possibile individuare con certezza
un luogo unico di correzione in un ambiente mancante di finestre e
non avente “una luce naturale insufficiente”, “erano, comunque,
presenti, come ammettono le parti stesse, dei “lucernai” e “la
leggibilità poteva avvenire, come sopra rilevato, sia in assenza di
luce solare sia mediante luce artificiale”. Inoltre, a proposito
delle regole dell’anonimato è stato chiarito che la violazione non
consiste nel ‘presupporre’ “un comportamento ‘fraudolento’ della
commissione”, non essendo “necessaria la prova dell’effettiva
lettura dei nominativi”, ed è stato ‘sottolineato’ che “è
sufficiente un accertamento astratto e non concreto della
violazione”. (…) “Infine, si deve rilevare come non sia necessario,
per la lettura dei nominativi, un comportamento effettivamente
‘fraudolento’ della commissione, in quanto, come già sottolineato, è
sufficiente un impiego ‘ordinario’ delle buste affinché si possa
venire a conoscenza dei nominativi dei candidati”.
Per quanto
concerne la censura relativa “alle modalità di correzione degli
elaborati” – “l’inosservanza della regola del collegio perfetto, in
quanto, nel verbale del 9 gennaio 2012, n. 16, era previsto che
‘ciascuna commissione correggerà le prove in modo indipendente
dall’altra mentre il presidente sarà sempre presente nel momento
della valutazione’; in particolare, si è stabilito che il presidente
assiste alla correzione e valutazione degli elaborati nell’ambito di
una sottocommissione mentre nell’altra, dopo avere letto le prove,
le valuterà collegialmente (si cita la sentenza 29 maggio 2009, n.
477 del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione
siciliana che, in relazione ad una fattispecie analoga alla presente
relativa al concorso per dirigenti che si è espletato in Sicilia, ha
affermato che viola le regole relative alla composizione dei
collegio la circostanza che l’unico presidente si sposti dall’una
all’altra delle commissioni)” – veniamo a trovarci di fronte a una
perspicacia illuminante. Questa censura e quella concernente la
“composizione della commissione” – così nella sentenza del Consiglio
di Stato – “possono non essere esaminate, in quanto la fase della
procedura, nel cui ambito le illegittimità lamentate sarebbero state
commesse, deve essere rinnovata in ragione della violazione delle
regole dell’anonimato”. Violazione delle regole dell’anonimato
avvenuta nella fase delle prove scritte, e pertanto da essere
esaminata per prima. La censura sulla “modalità di correzione degli
elaborati”, peraltro con il precedente della sentenza del CGA per la
Sicilia che aveva annullato per vizio insanabile il concorso che era
stato bandito nel 2004, avrebbe di certo portato all’annullamento
delle prove scritte e quindi alla ripetizione delle stesse.
Conseguentemente, così nella sentenza del Consiglio di Stato nella
parte in cui “dispone le misure idonee ad assicurare l’attuazione
del giudicato”: “Nel caso in esame l’attuazione del giudicato deve
avvenire in modo da preservare, in rispetto del principio di
economicità, la validità degli atti della procedura che non sono
stati inficiati dall’illegittimità qui riscontrata. In questa
prospettiva, non è necessario che venga ripetuto lo svolgimento
delle prove scritte, in quanto lo stesso è avvenuto, per le ragioni
indicate, nel rispetto delle relative norme”. Nella premessa di
questo intervento, in sintesi, ciò a cui dovrà attenersi il
Ministero dell’istruzione. Come si concluderà la vicenda concorso per dirigenti scolastici in Lombardia resta un’incognita: dalla muova correzione e valutazione degli elaborati potrebbero derivare – e nella sostanza è facilmente presumibile che ciò possa avvenire, peraltro si tratta di due elaborati per ciascuno dei concorrenti – “non ammessi alla prova scritta” che erano precedentemente stati “ammessi” alla prova scritta, e viceversa, cioè di concorrenti che non erano stati “ammessi” alla prova scritta e che vengono a trovarsi tra gli “ammessi”. A parte quanto di anomalo ha caratterizzato e continua a caratterizzare, purtroppo negativamente, la nomina per concorso dei presidi (e al momento viene trascurato il seguito), la soluzione potrebbe essere quella dell’elezione democratica del preside, nella funzione per sei anni, così come avviene nelle università per quanto riguarda il rettore, i presidenti di dipartimento e i presidenti dei corsi di laurea, che peraltro mantengono lo stipendio al momento della nomina, ottengono un’indennità mensile di alcune centinaia di euro, continuano a fare ricerca e a insegnare, al massimo potendo ottenere, su richiesta, la riduzione del carico didattico.
Polibio
Polibio informa i suoi lettori che presto sarà attivato il sito
http.//www.polibio.net. Si sta provvedendo a inserire in archivio
tutti gli articoli da lui scritti dal 10 luglio 2010 al 31 dicembre
2012. Nel sito saranno postati, oltre a essere postati nei siti che
attualmente li accolgono, tutti gli articoli personali, di volta in
volta successivi, e quelli di chi, avendo fatta richiesta, ha avuto
il permesso di postarli. |