Tutti i problemi di un concorso che fa fuori Tfa e autonomia intervista a Valentina Aprea il Sussidiario 12.9.2012
Il prossimo 25
settembre la Gazzetta Ufficiale dirà finalmente come il ministro
Profumo intende assumere 12mila docenti. Il nuovo concorso però fa
discutere, e non solo per le ultime novità che ipotizzano di
spalmare su tre anni, invece che in uno, i 12mila posti in palio,
assottigliando di molto il contingente che potrebbe entrare nella
scuola prima di un nuovo bando. Per Valentina Aprea, assessore
all’Istruzione della Regione Lombardia, il concorso ha il grave
difetto di centralizzare il reclutamento dei docenti, passando un
colpo di spugna su 15 anni di sforzi per introdurre e consolidare
l’autonomia scolastica. Per non parlare della volontà di premiare i
giovani e il merito, nulla più che un’apprezzabile dichiarazione di
intenti.
Innanzitutto, ritengo
inopportuno emanare un bando di concorso senza aver operato una
revisione della disciplina di reclutamento che dia maggior peso alle
scuole autonome. In secondo luogo, mi pare inopportuno bandire un
concorso contestualmente ai percorsi di Tfa.
Appunto. Si creano in
questo modo due canali abilitanti, in concorrenza tra di loro. Una
volta fatto il concorso ci sarà un numero molto elevato di abilitati
con legittime aspettative di assunzione.
Occorre precisare,
perché non tutti lo sanno, che la legge di riferimento per il bando
di questo concorso è del 1999: la 124 del ’99, per l’esattezza.
Questo merita di per sé qualche considerazione, che farò più avanti.
Per prima cosa, i requisiti di accesso creano molte, molte riserve.
Potranno accedere al concorso i già abilitati anche vincitori di
concorso o iscritti nelle Gae (graduatorie a esaurimento, ndr); e in
tal caso la finalità dei partecipanti è quella di acquisire un
miglior punteggio. In questo caso, il concorso si rivolge a chi ha
già titolo per l’assunzione…
Semplice: in caso di
mancato superamento del concorso rimarrà in graduatoria, con
prospettiva di immissione in ruolo. Si è detto che così facendo,
permettettendo cioè di scalare posizioni in graduatoria, si
accelerano le assunzioni e le immissioni in ruolo. A me sembra solo
un «facite ammuina» di borboniana memoria: un rimescolamento
generale, ma con gli stessi protagonisti interessati da un lato alle
supplenze annuali, dall’altro all’immissione in ruolo. Non si
parlava di premiare i capaci e i meritevoli?
Un momento. Rimaniamo
per un attimo sul tema del merito. Dove sono i criteri meritocratici
di selezione, visto che stiamo agendo su categorie «protette» di
insegnanti che, comunque vadano a finire le prove di selezione,
entreranno comunque in ruolo nella scuola, magari fra qualche anno?
Quando parliamo di queste cose occorre sempre una riflessione di
lungo corso. Se invece apriamo la possibilità di abilitare semplici
laureati per concorso avremo a che a che fare con persone di 40-50
anni − per carità, tutte rispettabilissime e competenti −, alcune
delle quali, azzardo quest’ipotesi, sono ormai fuori dal mondo della
scuola e fanno altro. E qui viene la seconda questione, più
raccapricciante, legata alla sua domanda.
Sì, ma chiediamoci: di
quali non abilitati stiamo parlando? Potranno accedere al concorso
anche i non abilitati con laurea − o diploma se si tratta di
diplomati − conseguita entro l’anno accademico 2001-02. Ora, appare
fuori da ogni logica dare una possibilità di abilitazione a
40-50enni quando c’è un canale abilitante predisposto per le nuove
generazioni, e cioè il Tfa. Torna allora la domanda di fondo: chi
sono i giovani per questo governo? Perché non dev’essere possibile
entrare in ruolo oggi, tra i 20 e i 30 anni d’età, dopo aver
completato gli studi?
Formazione iniziale e
Tfa hanno permesso di acquisire un principio fondamentale che va
salvaguardato, quello della distinzione tra abilitazione e
reclutamento. Ovvero: non perché ho l’abilitazione ho anche diritto
ad un posto. Ma allora, perché il Miur ha deciso nel 2012 di
riferirsi a una normativa del ’99, che prospettava scenari
completamente diversi sia per l’abilitazione che per il
reclutamento? A quell’epoca non c’erano ancora né le Ssis né la
formazione iniziale in università, e neppure le graduatorie
permanenti, che nacquero in quegli anni. Posso capire che ci sia una
fase finale di abilitazione per non abilitati attraverso forme
concorsuali ministeriali, ma non riesco ad accettare che il
reclutamento, oggi, avvenga in primis mettendo tutti, più categorie,
dentro in un unico calderone.
Il punto è proprio
questo. Perché vede, dal ’99 ad oggi c’è stata una maturazione
legislativa, dalla quale a mio avviso non si può prescindere, a meno
di non volere consapevolmente azzerare tutto e riportare indietro il
calendario. Il Parlamento in questi anni è andato avanti; si
discute, da tempo, di un maggiore ruolo delle autonomie scolastiche,
anche nel reclutamento. Può esserci una selezione, possibilmente
seria, che prescinde da una valutazione dei professionisti fatta
dalle scuole o da reti di scuole, e circoscritta regionalmente?
No, quella è un’altra
cosa, vuol dire semplicemente che le commissioni ministeriali
saranno definite dagli Uffici scolastici regionali e che quindi ci
saranno più sedi di concorso. Quando io parlo di bacini regionali mi
riferisco ad albi regionali di docenti idonei, abilitati, che
possano poi essere valutati e selezionati dalle reti di scuole
autonomie sulla base di un confronto accurato delle effettive
esigenze dei territori e delle scuole. È questa l’unica strada,
oggi, per valorizzare davvero il curriculum, la passione e
l’attitudine del docente. Tutto questo presuppone che le regole del
reclutamento siano riscritte.
Ritengo che si debba
procedere con la stabilizzazione del maggior numero di docenti nel
minor tempo possibile, ma con il canale privilegiato degli abilitati
tramite un percorso di specializzazione. Se addirittura questo
concorso annunciato è solo per 4 mila posti perde ancora più di
significato.
Io sono convinta che
Profumo sia in buona fede quando dice di voler aprire le porte al
merito, a docenti giovani, aggiornati e preparati, ma devo
constatare che la sua scelta torna indietro di 15 anni. Non si può
prevedere una formazione professionale per i docenti e poi smentire
questa importante rivoluzione, ostacolando di fatto il loro ingresso
nelle scuole.
I diritti vanno
rispettati: come ho detto fin dall’inizio, sono a favore della
stabilizzazione. Senza tradire i giovani e la formazione iniziale,
però. Le pressioni sindacali hanno avuto la meglio, i giovani sono
stati messi in coda a tutti gli altri e ora il ministro Profumo
vorrebbe dare qualcosa a tutti, rimescolando le carte. Ma è un
«gioco» che non premia, anzi penalizza l’ultima generazione.
Quello che non abbiamo
saputo creare, né con il ministro Moratti, né con il ministro
Gelmini, è un sistema di reclutamento centrato realmente
sull’autonomia. Ma se né noi né la sinistra ci siamo riusciti,
almeno il governo tecnico poteva proporlo con più coraggio. La mia
ultima proposta di legge regionale voleva scalfire l’impostazione
rigidamente centralistica che rappresenta il nostro male più grave.
Non ci sono riuscita ed è stata una grande delusione. Questo governo tecnico si trova a vivere una stagione politica assolutamente inedita e unica. Aveva − e credo abbia ancora − ampi margini di manovra, ma che non sembra intenzionato a sfruttare. Dalla compagine di tecnici scelta dal professor Monti ci saremmo aspettati un salto di qualità più netto a favore delle autonomie, ma devo riconoscere che non si è visto nulla. |