Italia. Un cantiere senza progetto In margine ad alcuni interventi del ministro Profumo di Aluisi Tosolini Pavone Risorse, 25.9.2012 Il Paese è cambiato e bisogna perciò "cambiare il modo di fare scuola". Questa è la convinzione espressa dal ministro dell'Istruzione, Francesco Profumo, secondo cui "ci vuole una revisione dei nostri programmi in questa direzione". Intervistato a margine della presentazione della biblioteca del Ministero, che apre al pubblico, Profumo non è tornato esplicitamente sulla questione dell’insegnamento della religione, come aveva fatto qualche giorno fa, ma ha osservato che "nelle scuole ci sono studenti che provengono da Paesi, culture, religioni diverse" e che "la scuola è più aperta, multietnica, capace di correlarsi al mondo di oggi". A prima vista si tratta di parole semplicemente ovvie. Ma nulla è ovvio in questo strano paese. E infatti, giorni fa al ministro che rifletteva sulla necessità di ragionare sul tema della religione a scuola è stato prontamente ricordato, anche in modo piuttosto rude, che c’è un concordato e che non se ne può fare nulla e che il ministro pensasse ad altro.
E invece. Invece il ministro ha solo ragione. E provo a dire perché,
invitando chi legge a lasciare per un momento stare il tema del
concordato. Ovvero: il mio ragionamento va bene anche a concordato
esistente ed immutabile per altri mille anni. Sulla prima parte delle dichiarazioni del Ministro (“dobbiamo cambiare il modo di fare scuola ed i programmi”) in realtà non capisco né lo stupore di alcuni né il plauso di altri. Il ministro ha ragione quando dice che la scuola deve rivedersi in chiave interculturale: ma non dice nulla di nuovo se non quanto è scritto esattamente nelle nuove indicazioni nazionali per il primo ciclo che da un lato sostengono la necessità di formare il cittadino glo-cale e dall’altro riprendono il documento del 2007 curato dall’Osservatorio Nazionale sull’educazione interculturale. Dove troviamo scritto che “la prospettiva interculturale - ovvero la promozione del dialogo e del confronto tra le culture – riguarda tutti gli alunni e tutti i livelli: insegnamento, curricoli, didattica, discipline, relazioni, vita della classe”. E continua, con estrema chiarezza: “scegliere l’ottica interculturale significa, quindi, non limitarsi a mere strategie di integrazione degli alunni immigrati, né a misure compensatorie di carattere speciale”. Che cosa occorre fare, allora? “Si tratta di assumere la diversità come paradigma dell’identità stessa della scuola nel pluralismo, come occasione per aprire l’intero sistema a tutte le differenze (di provenienza, genere, livello sociale, storia scolastica).”
Certo, non possiamo che essere contenti che il Ministro richiami la
necessità di dare corso alle indicazioni (non ai programmi…) appena
pubblicate dal Miur (5 settembre) dopo una intensa fase di
rivisitazione e riscrittura. Ma da qui a urlare alla novità…..
Il ministro pone poi il problema della convivenza tra soggetti che
professano religioni diverse. E qui davvero il ministro tocca un
nervo scoperto della società italiana. In Italia ci sono molte religioni ma tutto ciò non è riconosciuto come una prospettiva perché non produce dinamiche di dialogo e una assunzione di responsabilità alta a tutti livelli. Le Intese si sono sbloccate solo di recente ma siamo ancora molto indietro rispetto al resto d’Europa. Perché la politica italiana ha paura di mettere mano, al tema delicatissimo delle religiose, ovvero dello spazio pubblico da riservare al fenomeno religioso. Questa situazione si riverbera poi nella dimensione sociale arrivando al punto di bloccare la costruzione di luoghi di culto: una moschea, un tempio Indù o sikh, attraverso un referendum tra i cittadini di una comunità, che diventa un problema di ordine pubblico e non di integrazione e di percorsi di dialogo e cittadinanza. Aggiungo un altro elemento ancora più delicato, la questione di presenza nelle scuole di culture religiose differenti. Pur partendo dal riconoscimento dell’insegnamento della religione cristiana definito dal Concordato è necessario andare oltre o meglio aggiungere insegnamenti che siano in grado di poter dare insegnamenti di base sul pluralismo religioso. Non in maniera “balcanica”, ovvero riversando le ore di tutte le confessioni religiose nella attività curricolare (ore di islam, cattolicesimo, buddismo ecc.) ma un insegnamento di storia delle religioni che sia preceduto da una forte discussione pubblica e approfondita per dare a tutti una possibilità di conoscenza che oggi non c’è ed è negata. Ma questo comporta una forte ignoranza sul fattore religioso e aumenta anche la scarsa conoscenza della religione di maggioranza, il cattolicesimo. Purtroppo siamo tornati ad una situazione per la quale la teologia è soprattutto patrimonio dei religiosi, mentre i laici arretrano o restano nell’ignoranza. Spesso coloro che cercano di dare un suo contributo laico alla riflessione rischiano l’emarginazione da parte di molti ambienti ecclesiastici.
Salvarani, direttore di
Cem Mondialità, è uno degli intellettuali maggiormante attento a
questo problematica ed alla proposta della cosiddetta “ora delle
religioni”. Si vedano, ad esempio, gli atti del convegno tenutosi a
Brescia nel 2011 e intitolato
Perché le religioni a scuola? Competenze, buone pratiche e laicità
che affronta da una pluralità di punti di vista il tema della
necessità non solo di convivere con le diverse religioni ma anche di
conoscerle. |