Domani il concorso a cattedra di Pasquale Almirante La Tecnica della Scuola, 24.9.2012 Non hanno torto i precari a rifiutare il concorso: quanti esami si devono sostenere per il posto? E i suoi meccanismi non sono forse troppo limacciosi, capziosi e forse pure obsoleti? Domani in Gazzetta Ufficiale verrà pubblicato il bando per concorrere alla nomina delle circa 12mila cattedre disponibili nel prossimo biennio, nonostante le proteste di piazza dei precari che si sentono defraudati del diritto al posto senza dovere per questo sostenere altri esami, considerato soprattutto che già possiedono una abilitazione all’insegnamento. Quanti esami allora si devono affrontare per lavorare stabilmente, chiedono a gran voce? E non solo. Questo milione di euro impiegato per le prove (e anche il Consiglio nazionale della pubblica istruzione lo sottolinea) non era meglio versarlo per le altre mille urgenze della nostra “sgarrupata” scuola? In più (e da un punto di vista umano non si può che essere solidali) molti di questi candidati al concorso insegnano come supplenti, per cui una loro eventuale bocciatura alle preselezioni, come anche ha sottolineato il nostro Lucio Ficara, avrebbe una pericolosa negativa ricaduta, sia nei confronti della istituzione dove già lavorano, sia nei confronti delle famiglie che immediatamente sospetterebbero una loro presumibile impreparazione. Ma c’è ancora un altro fatto che inquieta ed è tutto rivolto alla struttura stessa degli esami. Stando infatti ad oggi alle indicazioni pubblicate dai sindacati, la prova preselettiva consta di 50 quesiti dove sono richieste: capacità logiche (18 domande); capacità di comprensione verbale del testo (18 domande); competenze informatiche (7 domande); conoscenza della lingua straniera (7 domande). Il tempo massimo per rispondere a tutte le 50 domande è di 50 minuti e considerato che alla risposta non data viene dato zero punti mentre alla risposta errata meno 0,5 punti, è meglio, nell’incertezza, non rispondere. Ma a parte questo, proporre a gente con tanto di laurea test a risposta multipla per capirne le capacità logiche e le capacità di comprensione verbale di un testo non vuole forse certificare che il Miur dubita dell’efficienza didattica delle proprie università? Se in altri termini non è un laureato ad avere capacità logiche e ad afferrare la valenza di un testo chi dovrebbe esserne capace? Tranne che si tratti di un testo settoriale e di astrusa, per esempio, composizione chimica e allora forse anche il migliore umanista cadrebbe e viceversa il nobel in chimica con un testo di filosofia medievale. Inoltre. i 50 test dovrebbero essere conclusi in 50 minuti, quindi un minuto a domanda che è come dire: metti solo la crocetta e punta sulla memoria, visto che ragionarci sopra è pressoché impossibile. Questi i dubbi relativi alle prove preselettive, mentre se consideriamo la seconda fase, quella cioè del concorso vero e proprio e in modo particolare la prova orale, qualche altro dato inquietante appare. La prova orale “consiste in una lezione simulata, della durata di 30 minuti. La prova orale accerta le competenze di trasmissione delle discipline di insegnamento comprese nella classe di concorso per cui si concorre”. Più di un pedagogista, di fronte a tale formulazione, è saltato dalla sedia, perché sa benissimo che il bravo insegnante non tiene “una lezione” ma fa maieutica, coinvolgendo i ragazzi al dialogo, mentre la cosiddetta lezione frontale, tipica delle università, ha inoltre ceduto il posto ad altre forme di insegnamento per appassionare gli alunni, come le attività laboratori supportate dai nuovi strumenti multimediali. Similmente discutibile è la proposta di “simulazione” della lezione che già di per sé dimostra qualcosa di non vero, di finzione e forse anche di teatrale. E la scuola e l’insegnamento di tutto hanno bisogno tranne che di “fiction”. Uguale discorso critico si può fare quando si dice che la prova orale “accerta la competenza di trasmissione delle discipline”. Che significa “trasmettere”? Trasmettere è come dire: riempire un vuoto di conoscenze con delle notizie che se siano poi comprese o meno non ha importanza. Si trasmette un telegramma non un sapere che invece, come recita una vecchia metafora, è la scintilla per accedere il camino della conoscenza. Infatti il bambino, diceva questa antica e logora ormai per uso metafora, non è un vaso da riempire ma un camino da accendere. Chissà se dalla parti del Miur se ne ricordano. |