Alla ricerca del bravo insegnante Dopo tredici anni arriva finalmente un concorso ordinario per ricoprire quasi 12mila cattedre nelle scuole statali. È una buona notizia, perché dovrebbe mettere fine alla giungla delle graduatorie, composte da decine di migliaia di precari che di anno in anno hanno consentito il regolare svolgimento delle lezioni. Ma la scuola italiana ha bisogno di bravi insegnanti. E il concorso sarebbe un'occasione sprecata se non riuscisse a selezionarli. E allora bisogna avere ben chiaro che cosa permette a un laureato di diventare un docente capace di far crescere i suoi studenti. di Patrizia Cocchi, La Voce.info 21.9.2012
Il ministro Profumo ha
annunciato la ripresa dei concorsi
per reclutare nuovi
insegnanti da inserire all’interno
del sistema scolastico e ha indicato una data certa entro la quale
il bando sarà pubblicato. A distanza di tredici anni dall’ultimo
concorso ordinario, si avvia quindi un percorso che dovrebbe segnare
una discontinuità con il passato e permettere l’inserimento di
energie e forze nuove all’interno di una scuola che ha i docenti più
anziani d’Europa. In Italia, infatti, gli insegnanti con
più di 50 anni
sono il 53 per cento del totale, mentre in Francia, Regno Unito e
Spagna non arrivano al 30 per cento.
Stando alle bozze
disponibili, l’accesso al concorso per ricoprire
11.542 cattedre nelle scuole
statali di ogni ordine e grado sarà riservato a laureati già in
possesso di abilitazione
all’insegnamento. Il concorso dovrebbe prevedere tre tipologie di
prove: un test preselettivo, teso ad accertare le capacità logiche e
di comprensione del testo insieme alle competenze informatiche e
alla conoscenza di almeno una lingua straniera comunitaria; una
prova scritta orientata a valutare la padronanza disciplinare dei
candidati; una prova orale incentrata sulle competenze didattiche
del candidato, a sua volta comprensiva della simulazione di una
lezione e di un colloquio di metodologia didattica. Il concorso però non avviene nel deserto, ma nella giungla dei diritti acquisiti delle decine di migliaia di precari che di anno in anno, con contratti eternamente a tempo determinato, hanno consentito un regolare svolgimento delle lezioni nella scuola italiana. La giungla attuale è il risultato preterintenzionale di decenni di politiche troppo attente al contingente. Sin dagli anni Ottanta, infatti, l’accesso ai ruoli del personale docente di ogni ordine e grado è stato garantito attraverso due differenti canali così come esplicitato dal Dlgs 297/94 (Testo unico). Il primo modo prevedeva la partecipazione a un concorso a cattedre per titoli ed esami, ma dal 1990 ne sono stati banditi soltanto due e l’ultimo risale al 1999. La seconda modalità di accesso invece prevedeva la possibilità di partecipare ai concorsi per soli titoli, dopo un periodo di servizio come supplenti nelle scuole statali e purché in possesso di un’abilitazione all’insegnamento. L'abilitazione veniva conseguita con la partecipazione a un concorso con relativo esame finale, a un corso abilitante o, dal 1999, alle Sissis/Siss, scuole di durata biennale istituite presso le università. I due tipi di concorso generavano graduatorie differenti: graduatorie di merito di durata definita per il concorso ordinario e graduatorie permanenti, poi diventate a esaurimento, per il concorso per titoli. In ogni caso, entrambe valide ai fini del reclutamento. In più, attraverso ridefinizioni progressive dei criteri di accesso, le graduatorie sono state integrate con i nuovi abilitati e i nuovi insegnanti che nel frattempo avevano maturato periodi di servizio utili nel sistema scolastico. Il sistema di reclutamento così disegnato, nel corso dell’ultimo decennio, si è rivelato inefficace e inefficiente. Troppi giovani laureati venivano inseriti in un percorso di speranza di posto di lavoro stabile e trattenuti in questo limbo per anni senza alcuna reale garanzia di regolarizzazione, considerate le scelte di razionalizzazione della spesa. Nello stesso tempo, troppo pesante era la ricaduta in termini di qualità dell’offerta formativa della scuola italiana che vedeva un esercito di insegnanti “a tempo” passare da un istituto all’altro e a volte da un insegnamento a un altro. Nel 2007 si è tentato di dare uno sbocco a questa situazione, attraverso la stabilizzazione di molti precari presenti nelle graduatorie permanenti e ipotizzando nuovi percorsi di reclutamento. Nonostante le assunzioni di quell’anno e la trasformazione delle graduatorie permanenti in graduatorie a esaurimento, la situazione non si è modificata di molto, tanto che ancora oggi le graduatorie vedono la presenza di decine di migliaia di aspiranti insegnanti. Anche i nuovi percorsi finalizzati al reclutamento hanno stentato ad affermarsi e solo di recente sono stati banditi i concorsi per poter accedere ai tirocini formativi attivi (Tfa), cioè a scuole di durata annuale organizzate dalle singole università sulla base del reale fabbisogno di insegnanti e tese a consolidare le competenze didattico-metodologiche dei giovani laureati che intendano avviarsi all’insegnamento.
Un nuovo concorso non
può prescindere da questa situazione pregressa e l’ipotesi di
aprirlo ai soli abilitati potrebbe essere un passo concreto per
andare in questo senso. Per reclutare futuri bravi insegnanti è importante avere chiaro che cosa deve possedere un laureato per diventare un docente capace di far crescere i suoi studenti. Un dibattito su questo tema attraversa la scuola europea e non solo quella italiana.
La bozza del bando di
concorso, così come i test proposti per l’accesso ai Tfa, sembra
invece concentrare l’attenzione sulle
competenze disciplinari dei candidati lasciando solo alla
fase finale, alla prova orale con la presentazione di una lezione,
la verifica delle altre competenze necessarie per fare di un erudito
un buon insegnante. I test proposti per i Tfa così come le cinquanta
domande quiz previste per la preselezione del futuro concorso
sembrano concentrarsi su conoscenze che lasciano poco spazio alla
valutazione delle competenze di natura psicopedagogica e delle
capacità relazionali e organizzative necessarie a un buon insegnante
per entrare in contatto con i suoi allievi e per poter operare
all’interno delle comunità educative. |